ROMA «Le parole sono finite. È finita la pazienza, è finito il tempo della speranza, il tempo della fiducia. Oggi rimarrò in silenzio. Vi prego di rispettare la mia scelta». Rosanna Scopelliti, figlia del giudice Antonino ucciso il 9 agosto del 1991, annuncia all’Agi che oggi si «tapperà la bocca». Le parole le ha dette tutte in questi anni e, fedelmente a quanto aveva annunciato l’anno scorso, rimarrà in silenzio in occasione delle commemorazioni del padre. Un silenzio che parla più di mille parole.
Lo scorso 9 agosto aveva affidato ai social un appello durissimo in cui, pur nel «massimo rispetto della magistratura», aveva chiesto di «ricominciare da zero» nelle indagini. Aveva implorato di arrivare finalmente a quella Giustizia, altrimenti «non ci sarà un altro 9 agosto. La morte di mio padre tornerà a essere un fatto intimo personale familiare della comunità che ha amato mio padre, fino a quando non ci avranno dimostrato di fare sul serio nella ricerca della verità». E così, un anno dopo, sarà per Rosanna Scopelliti e per sua figlia. «Avevo sette anni il 9 agosto del 1991. Oggi è mia figlia ad avere la stessa età e a chiedermi perché il nonno è stato ucciso e non la può portare a mare. Trentadue anni dopo – commenta – ascolto da mia figlia le stesse domande che mi ponevo quando cercavo di ritrovare tra le stanze di una casa vuota un abbraccio o un sorriso perso per sempre. E non ho una risposta».
Un omicidio ancora senza giustizia e verità processuale. Anche se sin da subito piuttosto chiaro, tanto che il dottor Giovanni Falcone ebbe a scrivere solo otto giorni dopo su La Stampa: «L’ultimo delitto eccellente, l’uccisione di Antonino Scopelliti, è stato realizzato, come da copione, nella torrida estate meridionale cosicché, distratti dalle incombenti ferie di Ferragosto e dalla concomitanza di altri gravi eventi, quasi non vi abbiamo fatto caso. Unico dato certo è la eliminazione di un magistrato universalmente apprezzato per le sue qualità umane, la sua capacità professionale e il suo impegno civile. Ma ciò ormai non sembra far più notizia, quasi che nel nostro Paese sia normale per un magistrato, e probabilmente lo è, essere ucciso esclusivamente per aver fatto il proprio dovere». Il proprio dovere, appunto. Ovvero rappresentare la pubblica accusa all’udienza del 30 gennaio 1992 nel Maxiprocesso a Cosa nostra. Purtroppo non ci arriverà.
La conclusione della figlia Rosanna che oggi è presidente della Fondazione che porta il nome del padre è amarissima ma lucida. «Dieci, venti trenta trentadue gli anni in cui si è cercata verità e giustizia. Trentadue i colpi inflitti alla nostra voglia di resistere, di crederci, di avere fiducia ancora e ancora e ancora. Trentadue ulteriori colpi inflitti alla memoria di un magistrato, un Uomo che ha servito questo Paese con passione e impegno. Chiedo scusa a Papà, chiedo scusa a mia figlia perché evidentemente in questi trentadue anni non sono riuscita a fare abbastanza per far comprendere l’importanza della verità, la necessità di ottenere delle risposte in tempi celeri dalla magistratura. Chiedo scusa perché ancora oggi si fatica a comprendere che il sacrificio di Antonino Scopelliti appartiene al Paese e non alla nostra famiglia». (Agi)
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