LAMEZIA TERME «Io Rocco Anello l’ho conosciuto a fine 2016, quando lavoravo in uno studio a Filadelfia dove ho fatto il tirocinio all’inizio con loro. Lì ho incontrato la signora Bartucca, che era la moglie, e Francescantonio Anello, il figlio, cliente dello studio e dove già avevano fatto dei lavori loro, privati, accatastamenti, SCIE, tutte pratiche catastali, però private». È l’imputato Giovanni Anello – classe 1989 – a parlare. E lo ha fatto in una delle ultime udienze davanti ai giudici del Tribunale di Lamezia Terme nel corso dell’udienza nel processo “Imponimento” nato dall’inchiesta della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri.
L’uomo è considerato dall’accusa «professionista di riferimento, faccendiere della cosca» quando era assessore ai Lavori pubblici del Comune di Polia, la cui amministrazione è caduta dopo il suo arresto, e «in diretto contatto con i vertici dell’associazione» e il boss Rocco Anello. Accuse respinte nel corso dell’interrogatorio del pm, Romano Gallo. «Nell’informativa – ha spiegato – viene riportato che io ho una frequentazione costante con Rocco Anello, quando anche nell’informatica stessa si può vedere che la mia frequentazione va da ottobre 2016 a settembre 2017». Giovanni Anello nega anche di essere stato “l’autista” del boss dell’omonima cosca. «L’autista, per quello che vedo io, è una persona che va a prendere Rocco Anello e sta con lui tutta la giornata. In questo caso io non vado a casa sua, lo prendo la mattina oppure lo riporto la sera, io vedo Rocco Anello nei giorni in cui lui veniva allo studio per chiedere la pratica della moglie». Per l’imputato, le occasioni in cui il boss era in macchina con lui erano comunque legate a questioni di lavoro. «Veniva e mi diceva “andiamo a fare il sopralluogo per vedere come viene questa Scia” quindi io da là lo accompagno nell’azienda, poi capitava delle volte che mi diceva: “lasciami, magari, dove ci sono gli operai di mio figlio” oppure “lasciami al bar, lasciami qua” ma non è che…».
Tra le accuse contro Giovanni Anello c’è anche quella di intestazione fittizia. Secondo l’accusa, infatti, attraverso un accordo tra Francesco Apostoliti (tra gli indagati) e Rocco Anello circa la reale cessione del terreno «tutti concordavano di stipulare l’apparente atto di compravendita» intervenuto con atto pubblico il 23 agosto 2017, tra Francesco Apostoliti e Giovanni Anello, il quale «accettava di fungere da apparente acquirente». Incalzato dal pm, l’imputato ha spiegato: «Vengo indagato in quanto acquisisco tre particelle di cui una è edificabile e due agricole, e mi viene detto che questo terreno era un terreno di interesse di Rocco Anello». L’ex assessore di Polia spiega che, in qualità di tecnico, aveva riscontrato che il terreno era vincolato ma «Rocco Anello mi dice: “io non voglio firmare nessuna carta nella quale il Comune può venire nel mio terreno, perché, se io vado a fare qualcosa su quel terreno, non voglio che entri un’altra persona e quindi inizia un dibattito”». E tira in ballo Francesco Apostoliti (cl. ’44) già indagato nell’inchiesta della Dda. «La CF Motori aveva tutte le macchine parcheggiate su quella striscia di terreno, che non è di suo possesso ma di Francesco Apostoliti ed era di interesse di Rocco Anello. Io per entrare nel mio terreno c’è la strada provinciale, devo entrare dall’entrata della CF e scorrere la strada privata, cioè dalla Provincia. Il mio terreno io non lo vedo perché è dentro la lottizzazione». «Loro, il terreno dove hanno presentato anche il progetto dell’autolavaggio, l’avevano già in uso, come uso parcheggio. In effetti, su questo terreno c’è il CDU che, come ho detto prima, c’è un vincolo comunale in cui è destinato a uso e parcheggi e a verde privato pubblico, perché l’Amministrazione poteva fare quello che voleva su questo terreno».
In quanto ai certificati di destinazione urbanistica, l’imputato Giovanni Anello ha spiegato al pm i dettagli di quello relativo al 25 agosto 1960. «Ho già chiarito l’acquisto di questo immobile, oggetto di contestazione, sappiamo che il certificato di destinazione urbanistica è un certificato destinato ai terreni e, essendo fabbricato, non esiste un certificato di destinazione per l’immobile perché già identificato immobile e c’è una visura catastale che lo identifica». In questo caso il riferimento è quella che gli inquirenti hanno definito una “attribuzione fittizia” a Patricia Ciliberto della titolarità di un immobile, in contrada Bordilla a Parghelia. «Io ricevo incarico dal signor Giardino e Fraone, non io, lo studio dove lavoravo, nel 2015. Sono venuti allo studio con un compromesso già fatto di un acquisto che Fraone andava a cedere questa casa alla signora Ciliberto, che era la moglie di Giardino, che all’epoca dei fatti era anche mia zia in quanto ero fidanzato con la nipote, io mi reco a Roma insieme allo studio dove lavoriamo per effettuare quest’atto, senza che io ancora avessi visto mai Rocco Anello, nemmeno lo conoscevo relativamente in generale, perché l’ho conosciuto nel 2016, quando andiamo a fare questo atto notarile». Il tutto si ferma per qualche mese perché, «relativamente a questo immobile – ha spiegato Giovanni Anello – c’erano delle opere abusive e che se io avessi firmato in qualità di procuratore della signora Ciliberto l’atto poteva essere nullo». E spiega ancora al pm: «Rocco Anello si intromette in questa pratica o meglio, chiede di questa pratica a fine 2016, già c’era un anno di lavoro e se quella sera che siamo andati dal notaio nel 2015 firmavamo e facevamo l’atto, io non lo vedevo nemmeno Rocco Anello». Tra le accuse contestate a Giovanni Anello c’è anche la presunta intestazione fittizia, ancora di un terreno, attribuito fittiziamente a Fiore Masdea (altri indagato nell’inchiesta Imponimento) ma in realtà nella completa disponibilità di Rocco Anello, in località Strillazzo di Filadelfia. «Masdea – spiega in aula Anello al pm – voleva fare questo progetto di deposito agricolo, e contemporaneamente incarica noi per dare un supporto sia a livello di rilievi catastali sia a livello di presentazione della pratica. Il mio ruolo era quello di bypassare la SUAP rispetto al PDC nell’informativa, ovvero lo sportello unico per aziende produttive e il permesso a costruire. In questo caso, essendo un magazzino senza una destinazione, tramite SUAP questa attività non si poteva presentare». Poi l’imputato entra nel merito: «Mi contestano che i lavori non sono stati mai iniziati in quanto Rocco Anello è stato arrestato dopo due mesi, sia dal teste che nell’informativa. I lavori hanno avuto inizio il 17 marzo del 2017, quando Rocco Anello ha fatto lo scavo di sbancamento e tutto o, meglio, il figlio. Rocco Anello verrà arrestato nel 2018 e con me non ha intercettazioni in tutta la fase progettuale che, teoricamente, doveva essere committente in quanto veniva detto che doveva essere lui l’interessato di questo capannone, ma con me non si confronta mai».
Nel corso dell’interrogatorio Giovanni Anello si difende anche da un’altra accusa, il pagamento di una fattura dell’impresa individuale Angela Bartucca, moglie del boss Rocco Anello e già condanna in abbreviato a 12 anni di reclusione. «Parto dalla premessa che io avevo un’azienda agricola. E ho acquistato più tranche di pomodori dalla signora Bartucca che vanno ha giugno 2016 ad agosto, più o meno, durante quel periodo, ma non solo da lei, compravo all’ingrosso anche al mercato generale. Mi viene rilasciata una fattura il primo agosto 2016, io in tutto questo percorso di indagine fino al 10 marzo successivo ho una sola intercettazione con Rocco Anello che mi chiede se ho fatto il bonifico e io gli rispondo “sì, sì”, ma realmente non l’avevo fatto perché non avevo la disponibilità. Io pago questa fattura con un assegno circolare sette mesi dopo, il 10 marzo, e in tutto quel periodo io non incontro mai Rocco Anello». «Cioè – spiega – io questo assegno lo do alla signora Bartucca, la signora Bartucca lo paga, quindi vengo accusato di un riciclaggio di una fattura, che pago sette mesi dopo, perché non avevo la disponibilità». (g.curcio@corrierecal.it)
x
x