SAN GIOVANNI IN FIORE «Una volta ci trovammo davanti al municipio di San Giovanni in Fiore con Leonardo Lopez, il secondo portiere. La piazza ospitava un comizio molto seguito. Diversi spettatori ci riconobbero, ci vennero incontro, abbandonarono quella manifestazione e rimasero a parlare con noi, dopo aver intonato cori dello stadio locale». Lo racconta a cena Andrea Mallamace, con soddisfazione incontenibile. Allora il pallone era più attrattivo e affidabile della politica, che pure scaldava gli animi, riuniti in tifoserie a tutti gli effetti.
Mallamace, ex calciatore della Silana ora addetto ai controlli nell’aeroporto di Linate, è al ristorante con le altre glorie della storica società sangiovannese, che in amichevole hanno appena affrontato quelle del Catanzaro, sedute al tavolo dietro.
È finito il torneo calcistico intitolato alla memoria di Antonio Bitonti e Giovanni Aiello, direttore e medico sportivo della squadra di San Giovanni in Fiore negli «anni d’oro del grande Real», delle scorrazzate «in motorino sempre in due» e con la marmitta truccata spetezzante: la “Leo Vinci” ricalibrata in garage. Allora si viveva nella provincia italiana di campanili, tradizioni e miti congiunti nel calcio romanzabile. La globalizzazione di fine Novecento sarebbe arrivata come una specie di virus lento ma letale del pc, programmato per cancellare a piccoli pezzi usi, costumi, legami e simboli di quel periodo della nazione unificata dal benessere, uscita dagli scontri ideologici ma non dalle stragi ripetute del terrore, della mafia e dei suoi complici, sempre più introdotti nei gangli del potere. Era l’Italia non ancora piegata da “Maastricht” né regionalizzata nella scuola e nella sanità; l’Italia che resisteva alle privatizzazioni e alla svendita del patrimonio pubblico, fattori che poi avrebbero determinato un enorme impoverimento culturale, economico e sociale.
La gara Silana-Catanzaro dell’agosto 2023 aveva perciò un significato particolare: quelle vecchie glorie si incontravano con l’obiettivo di riportare gli spettatori indietro nel tempo, di ricordare e celebrare un calcio di poesia, fantasia, sacrificio e pulizia che non esiste più. «Quel calcio era autentico, alimentato da amicizia, correttezza, umanità e talento», spiega commosso Francesco Oliverio, mezza punta della Silana anni ’90, detto Platini per il tocco di palla, la classe e la visione di gioco. «Quel calcio era partecipazione, affezione e idealità», sottolinea Giovanni Bitonti, instancabile, potente terzino sinistro della Silana dei record allenata dall’elegante Teobaldo Del Morgine, di quella del modulo alla Sacchi, diretta dal colto e polemico Tony Mazzacua, e della successiva, guidata dal garbato, secco ma nerboruto, Pantaleone Barbieri. «Quel calcio – aggiunge Giuseppe Iuliano, alias “Rudy”, il calciatore della Silana più forte e amato di sempre – ci fece girare la Calabria, creare rapporti duraturi, rappresentare San Giovanni in Fiore nella nostra regione. Eravamo apprezzati e rispettati ovunque, perché sapevamo vincere e perdere con arte, saggezza, senso della bandiera e dello sport». Ne sono una riprova le biografie sportive dei memorabili Antonio Bitonti e Giovanni Aiello, come quella dello storico massaggiatore della Silana, il compianto Antonio De Marco.
A sentire codesti discorsi si sprofonda nella nostalgia, con il rischio di interdire le emoticon del cellulare, di cedere alle lacrime di deamicisiana memoria, di rifiutare le sfide del presente, in cui si è consolidata l’immagine emblematica dell’«homo homini lupus», risalente all’“Asinaria” di Plauto. E magari si sogna di svegliarsi adolescenti tra i banchi del liceo, quando i voti non erano drogati, il corteggiamento passava da scritti e gesti romantici e ogni cosa si aspettava con il gusto impagabile dell’attesa, dell’immaginazione, della pazienza.
La partita tra vecchie glorie della Silana e del Catanzaro è stata assai gradevole: tecnica di spessore da entrambi i fronti e schemi memorizzati alla perfezione, come un tempo facevano i bambini delle scuole elementari con “L’infinito” di Leopardi oppure con “Pianto antico” di Carducci. E poi rovesciamenti repentini e grande padronanza del pallone ad opera di tutti i giocatori. La Silana si è imposta per 8 a 3, Mallamace è stato decisivo come 30 anni fa e il giallorosso Egidio Belfatto, rimasto asciutto e tonico nonostante i suoi 66 anni, compiuti oggi, ha saputo organizzare la propria squadra, venuta a San Giovanni in Fiore con intramontabili icone del calcio, immortalate nell’album Panini; per esempio, Giacomo Zunico e Armando Cascione.
Protagonista indiscusso del confronto è stato Vincenzo Stasi, cinquantaquattrenne che da lustri gestisce un’attività commerciale nel settore dell’energia. L’ex trequartista della Silana ha mantenuto piedi, testa, cuore e ritmi di una volta.
Il tempo scorre, erode rocce, coste, fondamenti, comunanze e ricordi della vita umana. Forse, però, il calcio, specie nella periferia meridionale dell’Occidente, aiuta a mantenere la memoria del passato e il senso del presente e del futuro. Come dice il difensore della Silana Matteo Merandi, «nulla svanisce». Come assicura Caterina Bitonti, figlia del compianto ds della Silana Antonio Bitonti, «gli affetti sopravvivono alla cattiveria imprevedibile del tempo». «La storia si ripete», osserva Francesco Aiello, figlio del compianto medico sportivo Giovanni Aiello. «Rieccoci», soleva ripetere Paolo Pollichieni, indimenticabile direttore del Corriere della Calabria.
«Ogni storia che abbia lasciato un’eredità immateriale e positiva esiste – come afferma l’ex strabiliante portiere della Silana, Franco Viola – nella mente, nello spirito di chi l’ha vissuta». Ed è giusto divulgarla, farne racconto, paradigma, tesoro.
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