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Luca Addante: «La Calabria ha un’identità possente. Ma ha bisogno di essere unita»

Dialogo con lo storico che lavora e insegna tra Torino e Parigi. Cosenza e la città unica da aprire ai Casali. E la Corsica come modello

Pubblicato il: 31/08/2023 – 12:15
di Paride Leporace
Luca Addante: «La Calabria ha un’identità possente. Ma ha bisogno di essere unita»

Entro in un giardino che ben conosco. Quello della residenza agostana ad Amantea di Luca Addante, 53 anni, storico calabrese di chiara fama e docente universitario di Storia moderna a Torino, che da 14 anni vive, lavora e insegna sotto la Mole con incursioni anche alla Sorbona di Parigi dove molti apprezzano i suoi studi su giacobini, eretici, dissidenti radicali.
Ogni anno lo vengo a cercare per una lunga discussione amicale che dura diverse ore, in questo giardino, sulla nostra amata Calabria, dell’altrettanto amata Cosenza, e poi storia, politica, qualche facezia inevitabile e le memorie delle nostre passate stagioni. Di Addante nel corso del tempo apprezzo sempre più la sua personalità intellettuale che non si adegua, non si rassegna e soprattutto ispirata dalle sue profonde conoscenze che hanno gemmato una raffinata attitudine che lo porta a ragionare con la propria testa. Fattori che mi hanno indotto quest’estate a produrre uno spin off in forma d’intervista realizzata a latere della nostra tradizionale e chilometrica chiacchierata.

Professor Addante, un’altra estate in Calabria.
«Come le vacanze di Natale, con la famiglia non manchiamo mai i due appuntamenti».

Natale a Cosenza, l’estate ad Amantea a casa di tua moglie Maria Lupi. Amantea è un luogo storico ma anche un centro turistico forse poco raccontato e promosso. Condividi?
«Assolutamente, semmai sottovalutato. Sono fresco reduce da un giro agli scogli di Isca e vedendo il centro storico dal mare riflettevo che non ha nulla da invidiare a quelli della Costiera Amalfitana e delle Cinque Terre».

Non è azzardato come paragone?
«No. La differenza sta nella conservazione e manutenzione molto differente da quei luoghi, come spesso capita in Calabria».

Il mare?
«Mi sento di affermare che il tratto di Coreca è uno dei più belli di tutta la regione. Quest’anno pulito come non mai».

Non sei solo turista stanziale. Da autore di libri ti invitano spesso nella Locride, anche quest’anno non ti sei sottratto. Che mi dici di questa zona afflitta da luoghi comuni e problemi reali?
«Un luogo meraviglioso, calabresissimo, e che produce resistenza al male con una cultura diffusa. La partecipazione agli eventi culturali è sorprendente».

Fammi un esempio.
«Quest’anno mi sono trovato nei giorni del gran caldo a Grotteria in una piazza posta alla sommità di una salita pazzesca e ad ascoltarmi con gli altri relatori c’erano oltre 50 persone attente e partecipi. Sono platee che a volte non trovi nelle metropoli».

Rintracci quindi buoni anticorpi civili?
«Non è un caso che nella Locride è nata l’esperienza di Mimmo Lucano a Riace».

Qualche altro history case?
«Uno scrittore come Gioacchino Criaco, che vive a Milano, produce libri pubblicati da Feltrinelli con una letteratura incistata nella sua Locride. Non c’è solo lui a raccontare la Calabria, non voglio far torto a nessuno, ma i nostri autori stanno producendo una bella stagione letteraria molto proficua».

Prendiamo la macchina del tempo e andiamo alle estati degli anni Ottanta. Se ti dico Sangineto…
«Gli anni del Castello e del ritrovarsi al Borghetto. La versione estiva di Piazza Kennedy a Cosenza. Anche per questo ritorno ogni anno, anche per rivedere quegli amici e rievocare anni bellissimi».

Anni belli perché eravate giovani?
«Non penso. Come sai ho vissuto per motivi di lavoro a Parigi. E vedendo in Francia per la prima volta “Il tempo delle mele” che non avevo visto da ragazzo, da adulto riflettevo come non eravamo per nulla periferici, ma molto simili ai nostri coetanei parigini».

Addante on l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
in occasione del conferimento del Premio Chabod dell’Accademia dei Lincei

Tornando a temi più adulti. Da professore di Storia a Torino come vedi la Calabria che si spopola di giovani e il tema della restanza?
«Al netto della mia esperienza personale, la mia non è stata una scelta, non a caso dopo la laurea a Roma il mio primo dottorato è stato in Calabria».

Quindi qual è il problema?
«C’è una mutazione evidente del fenomeno migratorio. Un tempo esportavamo braccia, oggi vanno via i cervelli. Professori universitari, primari, avvocati. Io ho rapporti con la Sorbona e a Parigi trovo tanti calabresi. Non sono delle scelte ma delle conseguenze».

È la globalizzazione?
«Sono felice che una personalità e un amico come Vito Teti sia rimasto nella nostra Calabria, perché mi ritengo calabrese, e nella nostra università. Purtroppo molti vanno via, è un dramma maggiore di quello che abbiamo vissuto in passato. Dal resto anche a Torino i cervelli vanno all’estero».

Contromisure ne esistono?
«Al netto delle dichiarazioni d’intenti non vedo grandi politiche nazionali e regionali adeguate. Va aggiunto che il problema è molto complesso».

Torino è una metropoli piena di calabresi. Che mi racconti?
«Che all’università e in altri luoghi della città conosco torinesi integrati che sono di terza e seconda generazione. Per strada ascolto spesso i nostri idiomi».

Indago molto il tema delle Calabrie, tu che hai incrociato lo storico Augusto Placanica che mi dici sul tema?
«Placanica fu decisivo per il mio passaggio dagli studi politologici a quelli storici. Il mio maestro è stato Rosario Villari».

Calabrese anch’egli, ma specializzato in ambiti più ampi. Placanica ci lascia invece una originale storia della Calabria…
«Ci sono fattori di lunghissima durata. Dagli insediamenti italici alle dominazioni straniere si creano due, a volta anche tre Calabrie».

Ma oggi quante Calabrie ci sono?
«Io non amo il termine identità. Ma la Calabria ha un’identità possente. Si percepisce dal Pollino allo Stretto pur con diverse peculiarità e differenze. La frequentazione con un catanzarese come Placanica e un reggino come Villari mi fa sostenere che la Calabria è una».

Ma non pensi che la vicenda dei Moti di Reggio Calabria abbia segnato una frattura profonda?
«Probabilmente ancora sì. Non mi appassionano i localismi. La Calabria ha bisogno di essere unita. Mi colpì un viaggio in Corsica, che è una Calabria che ce l’ha fatta considerate le molte affinità. Su quell’isola non trovi ecomostri o case non finite. Loro hanno trovato l’efficienza della Francia. A noi è mancata la presenza dello Stato».

Ma la malapolitica non è solo una malattia calabrese.
«Non c’è dubbio. Il ceto politico è cambiato in peggio con la fine della Prima repubblica. La Calabria a quel tempo ha avuto buoni esponenti nazionali. Oggi sono scomparsi i partiti».

Parliamo della nostra Cosenza che anche hai molto studiato. Si riparla di città unica. Da storico cosa pensi di questa discussione?
«Ho presente la questione. Io sono tantissimi anni che da storico sostengo il ritorno alla nostra configurazione originaria che comprendeva Cosenza e i suoi Casali».

Spieghiamo per sintesi.
«I Casali erano quelli che vediamo sulle falde della Sila e della catena costiera. Nel Parlamento che si riuniva a piazza Duomo c’erano anche i delegati dei Casali. C’era una doppia cittadinanza».

Ma oggi potrebbe riproporsi in una moderna forma di municipalismo?
«La Sila è sempre stata legata a Cosenza. Credo che ne guadagneremmo tutti con un Comune più abitato. Ovviamente bisogna coinvolgere tutta la cittadinanza e non con un semplice referendum consultivo ex post. Mi sembra limitante pensare ad un’unione solo con Rende e Castrolibero».

La Calabria per Luca Addante?
«I suoi abitanti accoglienti verso il mondo. Poi tanto orgoglio e molti pregiudizi da abbattere».

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