ROMA Pluricandidature alle elezioni europee. Una storia lunga più di 30 anni che, però, in Italia ha avuto una vera e propria svolta con l’avvento in politica di Silvio Berlusconi nel 1994. Anche se va detto che il primo a candidarsi contemporaneamente in ben tre circoscrizioni, fu Bettino Craxi nel 1984. In quella circostanza, il leader del Psi che aveva da poco formato il suo primo governo, ottenne un milione e mezzo di preferenze. Ma, come anticipato, fu il cavaliere a superare ogni record. A scriverlo oggi è il quotidiano Domani attraverso il politologo Gianluca Passarelli che ricorda come da quel momento in poi «Berlusconi cambiò tutto, sempre candidato e (quasi) sempre in tutte le circoscrizioni. Campione di preferenze sinora ineguagliato, con tre milioni di preferenze (1994 e 1999) raccolte candidandosi nell’intero territorio nazionale». «L’impronta di Berlusconi – viene evidenziato sempre su Domani – sulla distribuzione dei consensi all’interno di Forza Italia è stata determinante. Quasi il 30 per cento è il carico del candidato maggiormente votato rispetto al totale della lista e oltre il 50 per cento sulle preferenze espresse. Una concentrazione di consensi su scala nazionale che ricalca la natura propritaria/personale del partito e il contributo della leadership centrale, la cui assenza, come nel 2014, fa crollare il primo candidato fino al 14 per cento sulla lista e al 30 per cento sulle preferenze nonché in valore assoluto. Nel 2019 con la ricandidatura di Berlusconi il suo apporto sulla lista cresce nuovamente (26 per cento su lista e 36per cento su totale candidati) anche al netto della candidatura di Antonio Tajani capolista nella circoscrizione.
In questa speciale classifica, alle spalle di Berlusconi troviamo Matteo Salvini con 2,3 milioni di preferenze totalizzate nel 2019. «Salvini – scrive Passarelli – ha superato il fondatore della Lega (Umberto Bossi, ndr) nel 2014 raggiungendo il 54 per cento, a conferma della natura verticistica e personale del partito. Meno forte il dato del candidato sul totale dei voti di lista (19 per cento media) in virtù di una minore propensione degli elettori leghisti (e del nord in generale) ad esprimere preferenze personali. Ragguardevole il dato di Salvini nel 2019: le preferenze recanti il suo nome hanno rappresentato un quarto dei voti al partito e quasi il 60 per cento dei voti di preferenza. Un vero partito del capo».
Più staccato il duo Andreotti-Bossi con oltre mezzo milione di consensi. La classifica è chiusa dall’attuale premier italiana Giorgia Meloni che «alle scorse elezioni europee da candidata nelle cinque circoscrizioni ha ottenuto poco mezzo di mezzo milione di voti personali».
«Le elezioni europee – viene ricordato dal politologo – si tengono in Italia dal 1979, con voto popolare, prima indirettamente dal 1958. Gli elettori e le elettrici possono esprimere fino a tre voti di preferenza, ma dal 1994 con obbligo di destinarle a candidati di genere diverso se le preferenze espresse sono più di una. In generale, si registra una forte e costante diminuzione dei voti di preferenza espressi (sul totale disponibile) sul totale dei voti validi per i partiti. In effetti, i voti di preferenza a livello nazionale si sono notevolmente ridotti da circa il 35 per cento nel 1979 a poco più del 16 per cento nel 2019, ossia 20 punti in meno. Un sesto degli elettori esprime almeno una preferenza».
Alle elezioni europee del 2024 per la prima volta si potrebbe assistere a un confronto diretto tra i leader dei principali partiti. La segretaria del Pd Elly Schlein potrebbe infatti candidarsi come capolista in tutte le circoscrizioni con l’intento di rafforzare il peso del partito e la sua leadership, soprattutto nei confronti degli oppositori interni. «Il recordman delle europee del 2014, Salvini, – sottolinea Passarelli nella sua analisi – sarebbe costretto nella morsa tra accettare la sfida candidandosi, ma con il rischio concreto di svilire il dato scorso (oltre due milioni di preferenze) ovvero lasciare il partito senza il suo traino elettorale spesso importante. Giuseppe Conte dal canto suo affronta le europee con la consapevolezza che il marchio M5s è storicamente più solido e trascinante dei suoi candidati, anche per la loro relativa minore presenza sociale; perciò dovrà valutare se mettere il proprio nome accanto alla lista tentando di avere un effetto benefico sulla lista e quindi di porre il sigillo sul controllo del partito, chiudendo definitivamente ad altre ipotesi. Infine, la presidente del Consiglio, se uno o più dei suoi avversari si candidasse, non potrebbe non accogliere il guanto di sfida: da un lato polarizzando contro Schlein, ma anche all’interno con Salvini; dall’altro potrebbe mostrare di essere cresciuta in termini di consensi personali rispetto al 2014». (redazione@corrierecal.it)
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