COSENZA Si torna in aula dinanzi al tribunale di Cosenza per l’udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Cloaca Maxima” coordinata dalla procura guidata da Mario Spagnuolo. L’indagine affidata ai carabinieri forestali è partita a seguito di alcune denunce presentate dai cittadini residenti nelle aree contigue all’impianto di depurazione del fiume Crati. In aula è stato sentito uno degli imputati: Vincenzo Cerrone, direttore dell’impianto di depurazione in contrada Coda di Volpe a Rende.
Il pm Cozzolino ascolta, insieme agli avvocati del collegio difensivo, la testimonianza resa dal teste. Che mette subito a nudo le criticità dell’impianto. «Alcuni lavori non furono effettuati, come la vasca di stabilizzazione dei fanghi. Erano previste delle somme sulla postilla di appalto che fu assegnato alla Geko, senza gara e senza offerta, per un importo pari a 2 milioni e 700mila euro». L’attenzione poi si sposta sul funzionamento delle attrezzature della stazione di sollevamento. «Erano previste cinque pompe di sollevamento, mentre la Geko ne comprò 4», dice Cerrone. Che aggiunge: «il fornitore durante la movimentazione distrusse alcuni quadri che non furono sistemati. Furono riparati da un punto di vista visivo, non sappiamo se fu fatta una riparazione anche all’interno». C’era o non cera la predisposizione della quinta pompa a coda di volpe? Chiede un avvocato. Il teste risponde: «Quando il Consorzio Valle Crati (gestore dell’impianto di depurazione) chiese alla provincia il permesso di poter scaricare indicò cinque pompe. E’ stata mai fatta un’attività ispettiva da parte della provincia? «Due volte è stata sull’impianto, una durante la fase di autorizzazione e poi la seconda qualche mese prima che il Consorzio Valle Crati concedesse l’autorizzazione definitiva». Tuttavia, avrà modo di precisare il teste: «Le due autorizzazioni provvisorie della provincia prevedevano delle prescrizioni, le principali erano adeguamenti all’ingresso dell’impianto e non fu fatto; all’impianto di disinfezione e non fu fatto; la presenza di cinque pompe e ve ne erano solo 4 ed infine la presenza a valle dell’impianto di una stazione di sollevamento».
C’è un altro dettaglio svelato dal testimone e riguarda il punto di prelievo dello scarico, indicato dal Consorzio Valle Crati, «diverso rispetto a quello solitamente indicato». Il percorso compiuto dal refluo viene ricostruito da Cerrone. «Il refluo arriva in impianto tramite un canale che si divide in due. Uno porta al bypass dell’impianto e l’altro conduce i reflui alla grigliatura. Le tubazioni necessarie e utilizzate per sollevare il refluo sono molto delicate e arrivava materiale che intasava la stazione di sollevamento. Le pompe hanno dato una infinità di problemi», confessa il teste. Che in aula critica l’intero sistema di funzionamento dell’impianto di depurazione, anche in relazione all’organizzazione del lavoro, spesso gestito da poche unità di personale.
«Sono stati fatti diversi interventi e posso dire che le pompe hanno lavorato ben oltre il limite del collaudo». Cerrone cita alcuni episodi relativi alla rottura delle pompe. «A fine 2016, si rompe una pompa: il fornitore la ritira per ripararla e dopo tre mesi non riusciva a fornirci delle spiegazioni relative al guasto. Ad inizio 2017, si rompono altre due pompe, si bruciano. E dunque non si poteva sollevare nulla». (redazione@corrierecal.it)
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