Un punto. È un bilancio magro quello che viene fuori dall’ultima giornata del campionato cadetto per Catanzaro e Cosenza. I ragazzi di Vincenzo Vivarini, imbattuti da cinque gare in cui erano andati sempre a segno, hanno perso di misura a Como, mentre il Cosenza ha ottenuto un pareggio su un campo caldo come quello di La Spezia ma contro un avversario apparso più che vulnerabile.
In serie C, il pareggio casalingo del Crotone contro il Messina, lascia l’amaro in bocca. Il solito Gomez assistito da un Tumminello in giornata di grazia, non sono bastati a coprire le immancabili pecche difensive (18 gol subìti sono troppi per una squadra che vuole riprendersi la B). Sette punti in tre partite sono comunque tanta roba per una squadra che fino a quindici giorni fa sembrava mentalmente sull’orlo del baratro. In serie D il tentativo di rimonta in classifica della Reggina si è interrotto a Ragusa. La squadra di Brunello Trocini, nonostante la superiorità numerica per 40 minuti, non è riuscita a sfondare il muro difensivo eretto dai siciliani e alla fine ne è venuto fuori un pareggio che serve a poco.
La sconfitta del Catanzaro a Como (la seconda dopo 11 partite) è stata un’altra cosa rispetto alla batosta rimediata al “Ceravolo” contro il Parma. Nel senso che, paradossalmente, al cospetto della corazzata guidata da Fabio Pecchia, pur prendendo 5 gol, Iemmello e soci, almeno nel primo tempo, avevano espresso un calcio brillante e propositivo in fase d’attacco. In Lombardia tutto ciò non si è ammirato. Merito soprattutto dei padroni di casa che, comunque, in B mica ci stanno per fare la comparsa. Anzi, se si pensa alla proprietà del Como (i fratelli indonesiani Michael e Robert Hartono possono vantare un patrimonio di circa 45 miliardi di dollari) tra le più ricche, se non la più ricca d’Italia, si comprende bene qual è la differenza tra Aquile e Lariani. Ma, possibilità economiche a parte (che spesso nel calcio possono non incidere), la partita dei giallorossi al “Giuseppe Sinigaglia”, non è stata all’altezza delle precedenti e ci può stare.
Crema: dal grigiore comasco, si è salvato, tanto per cambiare, il solo Jari Vandeputte. Il mediano belga è stato l’unico a tenere in ansia costante l’ottima difesa avversaria, sfiorando anche l’ennesima gioia personale con un tiro sui cui Semper (tra i migliori in campo del Como) ha risposto con prontezza. Per una volta non è stato assecondato e compreso dai compagni e il sorpasso al Parma in classifica, seppure momentaneo, è sfumato. Di positivo, e negativo al tempo stesso, c’è che il Catanzaro ha perso subendo un solo tiro in porta. Ma in serie B – come ha detto Vivarini – le partite le perdi anche in questo modo.
Amarezza: troppe prestazioni sottotono da poterne individuare una in particolare. A Como il Catanzaro è incappato in una giornata storta che non pare preoccupare più di tanto. Anzi, forse potrà servire in ottica futura quando all’agonismo eccessivo dei rivali bisognerà rispondere con un atteggiamento meno sofisticato. La squadra di Moreno Longo, come nessun altro in questa stagione, è riuscita a ingabbiare sul nascere e con una aggressività quasi ai limiti del codice penale la manovra giallorossa che, di conseguenza, si è mostrata lenta e macchinosa.
Un problema, comprensibile, del Cosenza calcio 2023/2024, e probabilmente anche di una buona parte della piazza, è l’autostima. Forse perché si pensa sempre alle stagioni precedenti, quelle in cui strappare una vittoria striminzita, tirare in porta o salvarsi, era un po’ come ricevere una grazia da San Francesco di Paola. Le ultime partite lo confermano. Esempio: si ottiene un pareggio a La Spezia (contro uno Spezia che, come la Sampdoria, attualmente è poca cosa) e si è convinti che sia oro colato. E via con le dichiarazioni di circostanza: «La Sampdoria è stata costruita per la A», così come lo Spezia, la Cremonese e via dicendo. Il punto, ormai assodato, è che questo Cosenza dà la sensazione di non essere sempre in grado di sfruttare al meglio l’enorme potenziale offensivo che ha a disposizione. Qualche difficoltà appare evidente (per carità, si tratta di poca roba rispetto alle esperienze “tragicomiche” del passato): l’abbondanza di uomini offensivi – e potenziali prime donne – che non si riesce a gestire a dovere, la fragilità difensiva, la mancanza di ricambi credibili sulla fascia sinistra di difesa, un’identità di squadra non ancora definita. Tutto ciò, e anche altro, porta a non sfruttare occasioni abbordabili come quelle di La Spezia e Genova, da cui si è usciti con un solo punto in tasca.
Crema: se bisogna ascoltare in religioso silenzio-assenzo quelli che parlano di classifica che si muove, di bicchiere mezzo pieno, di abbandono definitivo delle critiche e di ricordi da film horror delle squadracce degli anni precedenti rispetto a quella di quest’anno, viene da dire che il Cosenza può andare bene così com’è e lo 0 a 0 in terra ligure di sabato scorso, in altre circostanze sarebbe stato una sconfitta. Quindi tutto ok, 15 punti in classifica dopo 11 partite sono un bottino da tenersi stretto e fa bene il tecnico Fabio Caserta a parlare di segnali di crescita costante, anche se non tutti riescono a vederli.
Amarezza: l’amarezza nasce innanzitutto da quel palo (l’ottavo) colpito al “Picco” da Venturi al 90’, che grida ancora vendetta. Poi, se non si ascoltano quelli di sopra, il discorso può allargarsi a dismisura. Contro uno Spezia non trascendentale, specialmente nel primo tempo il Cosenza è apparso confuso, sfilacciato, tatticamente poco solido. I tanti, troppi, cambi di Caserta hanno finito per confondere la squadra. In attesa di rivedere Zuccon e il miglior Florenzi in mezzo al campo, al Cosenza, per puntare a qualcosa di diverso da una salvezza priva di patimenti, servirebbe urgentemente un’idea di ciò che è. (redazione@corrierecal.it)
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