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“Testa del Serpente”, per i giudici è certa «l’esistenza della Confederazione cosentina»

È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza del processo che ha portato alla condanna di 15 persone

Pubblicato il: 02/11/2023 – 6:48
di Fabio Benincasa
“Testa del Serpente”, per i giudici è certa «l’esistenza della Confederazione cosentina»

COSENZA «Il contesto criminale di riferimento attiene ad una fase di fibrillazione del sodalizio storico operante sul territorio cosentino, ovvero la cosca “Lanzino-Ruà-Patitucci” indicata come “gruppo degli Italiani‘ – già stigmatizzata con la sentenza Terminator 4 – che nel biennio 2018 – 2019 stringeva accordi con la fazione degli “Zingari” facente capo alla famiglia degli Abbruzzese detti “Banana” al fine di costituire un sodalizio criminale dedito alla commissione dei reati di usura, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti, previa spartizione del territorio tra i due clan». E’ l’incipit delle motivazioni della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Cosenza, in composizione collegiale, il 18 luglio 2023 nei confronti degli imputati nel processo scaturito dall’inchiesta “Testa del Serpente(QUI LA NOTIZIA). L’operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro ha coinvolto soggetti ritenuti appartenenti alle consorterie criminali operanti all’interno della città di Cosenza.

La “Confederazione” cosentina

Il tema più dibattuto tra accusa e difesa, nel corso degli ultimi processi celebrati contro la ‘ndrangheta cosentina è quello riferito alla presunta esistenza di una “Confederazione” della mala bruzia. L’ipotesi è sostenuta con forza dalla Dda di Catanzaro che nell’operazione denominata “Reset” ha ricostruito fatti, uomini e attività illecite dei sette gruppi criminali operanti a Cosenza e nell’hinterland bruzio e legati non solo da comuni intenti ma anche da una organizzazione ben definita e che troverebbe la sintesi nella “Confederazione”. Sul punto sono stati diversi gli interventi da parte di chi ha vissuto un passato criminale militando in uno o più fazioni dei clan cosentini. Francesco Patitucci, ex capo del clan degli “Italiani“, in una recente udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Bianco e Nero“, ha inteso rendere dichiarazioni spontanee tentando di confutare la tesi della presenza della “Confederazione” di ‘ndrangheta cosentina sostenuta invece con forza dal pentito Daniele Lamanna, secondo il quale «la Confederazione è stata attiva fino al 2014». «Non ne ho mai sentito parlare», ha sentenziato l’ex vertice della cosca degli “Italiani”.

porcaro-e-patitucci
Da sx Daniele Lamanna e Francesco Patitucci

Nelle motivazioni della sentenza depositata il 13 ottobre 2023, il Collegio giudicante fa riferimento alla “Confederazione” quando sottolinea: «Il portato istruttorio evidenzia l’esistenza della Confederazione che agiva per il tramite di Porcaro Roberto, figura di spicco della cosca Lanzino-Ruà-Patitucci nel periodo di riferimento (2018- 2019) e trait d’union delle due consorterie degli “Italiani” e degli “Zingari”, tant’è che il suo operato si va ad innestare in quasi tutte le vicende oggetto dell’odierno procedimento». Secondo i giudici, «è infatti emerso che la nota cosca Lanzino-Ruà-Patitucci stipulava accordi con l’organizzazione criminale del clan dei Banana non ancora acclarata giudizialmente spartendosi il territorio ove le consorterie operavano specularmente: in ragione di tale accordo ai Banana era riservato, in via esclusiva, lo spaccio locale dell’eroina, mentre il traffico di cocaina era di sola pertinenza del clan degli “Italiani”».

L’esistenza di associazioni di stampo mafioso

A tratteggiare i contorni della galassia criminale dei gruppi coinvolti nell’inchiesta sono stati numerosi collaboratori di giustizia: Luciano Impieri, Ernesto e Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Giuseppe Montemurro, Luca Pellicori, Vicenzo De Rose, Francesco Noblea, Giuseppe Zaffonte, Celestino Abbruzzese detto “Micetto” e la moglie Anna Palmieri. Dalle motivazioni della sentenza, emerge chiaramente la sussistenza a parere del Collegio giudicante «dell’uso della forza intimidatrice propugnata all’atto della commissione dei reati di estorsione e di lesioni gravissime, la capillare organizzazione del gruppo, l’ingente disponibilità di armi e stupefacenti, l’ideazione di un piano criminoso volto a sottomettere il territorio al fine di creare disponibilità economiche in uso e per i fini di approvvigionamento delle cosche». Tutti «elementi che dimostrano, senza alcun dubbio, l’esistenza di vere e proprie associazioni di stampo mafioso».

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