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Premierato e riforme, il Dl del governo e quel precedente del Consiglio regionale nel 2003

Analisti e commentatori politici ricordano una norma varata 20 anni fa in Calabria e poi bocciata dalla Corte costituzionale

Pubblicato il: 05/11/2023 – 13:08
Premierato e riforme, il Dl del governo e quel precedente del Consiglio regionale nel 2003

LAMEZIA TERME Una traccia calabrese nella riforma costituzionale varata dal governo Meloni. C’è una similitudine che lega il Dl che introduce il premierato e la nostra regione: a evocarla è Giuseppe Calderisi, già parlamentare di Forza Italia ed esperto della materia, in un articolo per il “Riformista” citato anche da Antonio Polito sul “Corriere della Sera”. Una riflessione non priva di spunti critici all’impianto normativo del testo del governo, quella di Calderisi (e Polito).

La riflessione di Calderisi

«…Il testo del governo – ricorda Calderisi – prevede l’elezione diretta del premier (anzi del presidente del Consiglio come semplice primus inter pares) ma senza minimamente dotarlo di adeguati poteri, in particolare quello dello scioglimento. Avremmo un’elezione inutilmente diretta, che oltretutto creerebbe una grave disfunzione istituzionale perché andrebbe a intaccare la fonte di legittimità del presidente della Repubblica e quindi il suo ruolo di garanzia. Insomma, avremmo un sistema istituzionale non equilibrato, con una inaccettabile scissione tra potere e responsabilità che per il costituzionalismo liberale devono invece sempre andare di pari passo. Il testo del governo rischia addirittura di trasformarsi in un pasticcio abnorme, quasi una barzelletta, con l’ultima modifica apportata dal Consiglio dei ministri alla cosiddetta norma anti-ribaltone: il cambio del premier – con lo stesso programma e con un eletto nelle liste della maggioranza – potrebbe avvenire una volta sola per legislatura, con la conseguenza paradossale che a disporre del potere di scioglimento non sarebbe il premier eletto direttamente, ma il suo sostituto! Solo il secondo premier sarebbe stabile, perché solo per lui varrebbe la regola del simul stabunt simul cadent, in vigore per comuni e regioni! (Una norma analoga fu approvata nel 2003 dal Consiglio regionale della Calabria, inducendo alcune forze politiche, prima che la legge regionale fosse bocciata dalla Corte costituzionale per contrasto con l’articolo 122 della Costituzione, a preferire la candidatura a vice-presidente della Regione, anziché a quella di presidente!). Con questa norma “anti-ribaltone”, il premier eletto direttamente sarebbe subito esposto ad una ferocia guerra di logoramento da parte di chi in seno alla maggioranza ambisce alla successione alla premiership. E – conclude Calderisi – potremmo anche avere una singolare riedizione del famoso “patto della staffetta” (che nella “prima repubblica” almeno non fu il frutto di una norma costituzionale). C’è allora seriamente da chiedersi: perché in luogo di una riforma così pasticciata, inutile se non dannosa, non scegliere una forma di governo in cui il premier è “solo” indicato da ciascuno schieramento prima del voto (eventualmente anche riportando il nome sulla scheda elettorale), ma dispone di poteri adeguati per la stabilità e la governabilità?».

La riflessione di Polito

A sua volta Polito sul “Corriere della Sera” evidenzia: «… Dovendo garantire un minimo di flessibilità al sistema, nella riforma non c’è l’automatismo tra la caduta dell’eletto dal popolo e lo scioglimento delle Camere. Quando il premier viene disarcionato può dunque essere sostituito da un secondo premier, purché parlamentare della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni, il quale potrà anche cambiare coalizione, a patto che prometta di attenersi allo stesso programma. Dunque almeno un “ribaltino”, se non il “ribaltone”, resterebbe possibile. Ma il paradosso più grande è che questo “secondo” premier, pur non essendo stato eletto, diverrebbe più forte del “primo” perché sarebbe anche l’”ultimo”: dopo di lui non ci potrebbe essere altro che lo scioglimento. Un esperto della materia, Peppino Calderisi, ha ricordato che una norma analoga fu approvata dal Consiglio regionale della Calabria nel 2003, e prima di essere bocciata dalla Corte costituzionale finì per indurre i partiti a preferire la candidatura a vicepresidente, piuttosto che quella troppo caduca a presidente». (redazione@corrierecal.it)

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