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A. Macrì: «Quando i giornalisti fanno “oh”, che meraviglia, che meraviglia!»

Paride: «Il punto decisivo della mia notarella era quello legato alla costruzione dell’identità calabrese per reazione»

Pubblicato il: 06/11/2023 – 20:44
di Annarosa Macri
A. Macrì: «Quando i giornalisti fanno “oh”, che meraviglia, che meraviglia!»

LAMEZIA TERME Riceviamo e pubblichiamo la replica di Annarosa Macrì all’ultimo “Sette giorni di calabresi pensieri” di Paride Leporace, pubblicato lo scorso sabato, con riferimento alla visita al Liceo Scientifico “Da Vinci” di Reggio Calabria di Concita De Gregorio:

«Paride Leporace, in un suo pezzullo sul Corriere della Calabria, godibile come sempre i suoi, e gustosamente cartavetrato, meravigliandosi di quanto ancora siano letti i giornali e di quanto dibattito abbia suscitato il colonnino di meraviglia di Concita De Gregorio di fronte al pedigree e alle performance degli studenti del Liceo Scientifico “Da Vinci” di Reggio, che suonano Schumann con le mani, e qualcuno la chitarra, udite udite, tenendola agevolmente sulle spalle, ma intanto con la testa sono già in Cina alle Olimpiadi di Astronomia, o a Lisbona a quelle di Filosofia, mentre cantano Rosa Balistreri e recitano poesie di Amelia Rosselli, ancor più si meraviglia che, per l’appunto, i giovani pulzelli sappiano di Balistreri e di Rosselli… è che bisogna leggerli per intero i giornali, non solo i titoli, così uno scopre che Rosa Balistreri e Amelia Rosselli sono due delle novecentesche donne protagoniste del libro di Concita De Gregorio “Un ultima cosa” e pure della recita dei talentuosi liceali, allestita intorno al libro e in onore dell’autrice, che, per l’appunto, di fronte alla performance, gode, e ne scrive nella sua rubrica su Repubblica. Ma questo è peccato veniale e altro che meraviglia e “illogica gaberiana allegria”! Piccola parentesi autobiografica: quando una generosissima e sconosciuta, attrice, bontà sua, decise di leggere, in pubblico, alcune pagine di un mio libro, divenne, davanti al mio ego, improvvisamente lievitato come un soufflé e levitando io come santa Teresa d’Avila, mi apparve come un mix ben riuscito di Mariangela Melato, Emma Grammatica e, crepi l’avarizia, pure Anna Magnani e l’avrei proposta ipso facto per il premio UBU per la migliore teatrale interpretazione… Leporace, dunque, scrive che la sottoscritta boccia “l’illogica gaberiana allegria” che l’allegra brigata di “primi della classe” suscita in Concita De Gregorio. Intanto, 10 e lode ai ragazzi del Liceo Scientifico di Reggio, ai professori, al Dirigente Scolastico attuale e pure alla pregressa, che adesso, mi pare, è vicecapo della Regione. Era piuttosto lo stupore della Concita, di fronte alla normalità di un liceo italiano che mi meravigliavo – le scuole, in Italia sono tutte così, cara Concita, e Reggio è in Italia! – e anche qui, magari se uno legge per intero, caro Paride, il brevissimo post che ho pubblicato su Facebook, è d’accordo con me, specie se è uno, come Leporace appunto, che, nella vita e nella professione, un po’ come Umberto Eco, ha sempre fatto l’elogio più dei Franti che dei Garrone, più di quelli che siedono all’ultimo banco che dei pierini so-tutto-io, ché i Garrone, di sicuro, avranno più successo nella vita (per quanto…), ma i Franti, della vita, qualcosa di più, per dirla alla cosentina, “ce la capiscono”. E comunque, per la mia sensibilità, i Franti e gli ultimi, non solo della classe, sono sempre stati i più interessanti da raccontare. Per dirla meglio, detesto la narrazione della Calabria attraverso le sue “eccellenze”, “quelli che ce l’hanno fatta”, quelli dell’ “altra Calabria possibile”, quelli che “le danno lustro”, quelli della “Calabria positiva”. Io, la Calabria, ce l’ho tutta dentro, tutta, e ce l’ho tutta addosso, tutta. Le persone belle e quelle “brutte”, gli uomini e le donne di buona volontà e i delinquenti, i potenti e i poveracci, gli umili e i tracotanti; gli orizzonti aperti che mi commuovono di infinito – una volta presi a enumerare tutti i luoghi della Calabria da cui si percepisce l’infinito, impossibile, ne persi il conto – e le case non finite che mi commuovono del sogno di infinito delle persone, invece, e della loto vita miseramente interrotta; i primi della classe che suonano Schumann e diventeranno grandi scienziati, e quelli che, prima ancora che finisca l’anno scolastico, sanno già che saranno  bocciati, come lo studente di Thomas Mann, che si può consentire il lusso di ridere, mentre i suoi compagni sgomitano per farsi interrogare…  Questo, io scrivevo: “Lo “stupore” di fronte alla “normalità”, il meravigliarsi che i ragazzi di Reggio – suonano Schumann e cantano Rosa Balistreri, fanno teatro e vincono i campionati di astronomia – siano tali e quali ai ragazzi trevigiani o milanesi o aretini, è insopportabile. Siete bravissimi, nonostante siate calabresi. O: siete calabresi nonostante siate bravissimi…”. Scrivevo e insisto a scrivere: è la filosofia del “nonostante” che non mi piace (Mimmo Nunnari sul Quotidiano del Sud l’ha capita, Giuseppe Smorto, sempre sul Quotidiano, no), che è sottesa allo stupore. Che non è solo di chi viene da fuori e ci guarda, ma l’abbiamo assimilata anche noi indigeni, ed è una tragedia, perché ci giustifichiamo solo del fatto di essere calabresi. Perché così continuano a raccontarci: “Siete bravi, eh, complimenti! Nonostante siate calabresi, e per di più reggini, quindi ci abbiate la ‘ndrangheta nei vostri condomini; nonostante la vostra città sia ultima, complimenti! in tutte le statistiche, nonostante siate poveri e per di più con la valigia in mano…” ‘sta storia della valigia in mano, poi, è ancora più insopportabile. L’ho sentita con le mie orecchie, l’accorato appello di Concita De Gregorio al neo-ex-sindaco Falcomatà, la sera in cui le hanno consegnato il Premio Rhegium Julli (meritatissimo, eh, c’ero anch’io nella giuria): “Faccia qualcosa, sindaco, per trattenerli, questi ragazzi costretti a lasciare la loro terra…”. A parte che sul termine “terra”, riferito alla Calabria, metterei una multa per impedirne l’uso – forse che i Lombardi, per dire, la loro regione la chiamano “terra”? – con tutta la carica di retorica che contiene, fatta di “radici”, “orgoglio”, “potenzialità”, “Identità” eccetera, come se la De Gregorio, e tanti e tante, anzi quasi tutti e tutte, quelli e quelle di talento, e hanno fatto bene, non l’avessero lasciato il natio borgo selvaggio: che sia Livorno (lavorava a Piombino, in realtà, al “Tirreno”, la Concita, e se n’è andata a Roma a Repubblica…) o Reggio Calabria, poi, che cambia? La ragazza che suona Schumann e vuol fare l’astrofisica, per dire, o trova un sindaco che le impianta una facoltà alla bisogna in via Marina con un centro di ricerca sotterraneo tipo quello del Gran Sasso nel tunnel sotto Santa Trada, oppure prende le sue cose e parte, non c’è alternativa. È costretta? Lo ha scelto? Decidete voi… Dice: ma così la Calabria si spopola… è vero, ma a parte il fatto che si spopolano anche le province italiane, tipo Livorno o Piombino, per l’appunto, mi dicano, lor signori: sono più importanti i luoghi o le persone? Secondo me, “la seconda che ho detto”, e non c’è da piangerci sopra, sulle civiltà che scompaiono, l’aveva capito Corrado Alvaro, quasi un secolo fa! Sennò, ‘sti ragazzi che se ne vanno, oltre ai problemi del trolley, sempre troppo piccolo per contenere tutto, se vogliono viaggiare low cost, della casa da trovare, sempre troppo cara, e della vita nuova da sperimentare, che è sempre bella e brutta, perché così è la vita, ne hanno un altro, di problema, una montagna di cui noi li carichiamo: il complesso di colpa, per essersene andati. No, quando è troppo è troppo, lasciamoli volare, ‘sti ragazzi, liberi e leggeri, lasciamola tutta a loro “l’illogica gaberiana allegria”. Il mondo è tutto il loro, è una casa grande di mille colori, di mille profumi e di mille finestre che guardano infiniti panorami: che male c’è se si spostano un po’ più in là?». (Annarosa Macrì, scrittrice e giornalista)

La controreplica di Paride Leporace:

«Ringrazio Anna Rosa per aver dato ancora fuoco al dibattito di cui c’è gran bisogno tra tanto vociare scomposto. Apprezzo il suo elogio di Franti ma, forse perché divento vecchio, mi tengo anche Garrone e soprattutto l’Enrico che annotava il tutto. In quel bel libro che più non si legge c’era anche un calabrese. Era andato a Torino emigrato con la famiglia e all’epoca era accolto con retorica unitaria dal maestro sabaudo ignorando le repressioni che avvenivano in casa nostra. Oggi ne abbiamo miglior consapevolezza.
Per me il punto decisivo della mia notarella era quello legato alla costruzione dell’identità calabrese per reazione. Quel restare dipendenti dallo sguardo esterno positivo o negativo che sia, e che forse attorno al parallelo 38 mi pare assuma maggior dipendenza. “Non è vero che hanno tutti ragione, che non c’è niente da insegnare a nessuno. C’è moltissimo da insegnare, ad avere la buona sorte di trovare maestri.” Mi fa piacere che gli studenti del Da Vinci li abbiano trovati i buoni maestri. È anche che Concita De Gregorio li abbia raccontati con l’allegria necessaria al suo vivere. La citazione è sua. Una di quelle giornaliste capaci ancora di vedere quello che si muove sullo sfondo. E io credo non sia poco
».

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