MONTEBELLO JONICO Una vastissima area affacciata sul Mar Ionio, un tempo terra fertile per la coltivazione del bergamotto e del gelsomino. Poco distante l’oasi naturale del Pantano, un posto unico, inserito dall’Unione Europea tra i Siti di interesse comunitario, prediletto da numerose specie di uccelli acquatici e dove non è raro ammirare anche i fenicotteri rosa. Un posto un tempo incontaminato, e dal grandissimo potenziale turistico, che a causa di scelte a dir poco sbagliate si ritrova oggi a pagare, insieme ai suoi abitanti, un prezzo altissimo. È la frazione costiera di Saline Joniche, del comune di Montebello Jonico, nel reggino.
Il territorio, tra gli anni ’70 e ’80, fu al centro di un importante investimento che avrebbe dovuto portare a un processo di sviluppo industriale attraverso la realizzazione del complesso industriale della Liquichimica Biosintesi, di un porto industriale e dell’Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato. Ma di fatto, ad oggi, non rimane che lo spettro di quello che doveva essere un progetto di sviluppo, anche se «la vocazione del territorio non era certo quella industriale – spiega ai microfoni del Corriere della Calabria il sindaco Maria Foti – hanno fatto una forzatura, che non è riuscita. Ora il territorio è devastato».
A seguito dei moti di Reggio Calabria, nei primi anni ’70 con il cosiddetto “Pacchetto Colombo”, dal nome dell’allora presidente del Consiglio, fu deliberato un piano di investimenti che avrebbe dovuto creare in Calabria quasi 15mila posti di lavoro, con un maxi stanziamento di 1300 miliardi di lire, ma l’esperienza industriale progettata e pensata nel territorio di Saline Joniche fu un vero e proprio fallimento.
La costruzione del complesso industriale della Liquichimica Biosintesi – completato nel 1974 e indirizzato alla produzione di bioproteine – avvenne su un’area dove sorgeva una ex salina in disuso, area che fu bonificata e prosciugata. La Liquichimica fu chiusa pochi mesi dopo l’inaugurazione in quanto i mangimi prodotti furono dichiarati cancerogeni, i dipendenti rimasti per ben ventitré anni in cassa integrazione. Stessa sorte per l’Officina Grandi Riparazioni – inaugurata nel 1989 e dedita alle riparazioni di locomotive elettriche – che fu chiusa all’inizio degli anni 2000.
E infine il porto, danneggiato da una violenta mareggiata, è attualmente ostruito da un imponente banco di sabbia. Infrastrutture che attirarono gli appetiti della criminalità organizzata, in particolare il porto divenne un punto di approdo di traffici di droga sotto il controllo di Natale Iamonte.
Nel 2006 l’area fu acquistata dall’azienda svizzera Sei spa, controllata da Repower, una grande società energetica, con l’intento di convertire la Liquichimica in una centrale a carbone. Il progetto autorizzato dal Governo nazionale nel 2012 con il decreto di valutazione ambientale, incontrò tuttavia l’opposizione della Regione Calabria, degli enti locali, e di numerose associazioni che presentarono ricorso – tra cui WWF, Greenpeace, Legambiente, Lipu, il Coordinamento Associazioni Area Grencanica NO alla Centrale a Carbone di Saline Joniche – e non andò a buon fine.
Nell’ottobre del 2016 gli attivisti di Greenpeace scalarono la ciminiera per realizzare la scritta “Stop carbone”, lunga circa 70 metri, e leggibile anche a due chilometri di distanza.
La centrale avrebbe emesso, a pieno regime, ben 7,5 tonnellate di C02 l’anno, «minacciando – rilevarono le associazioni ambientaliste – la salute dei cittadini e l’ecosistema marino e terrestre dell’Area Grecanica e della Costa Viola, che vanta ben 18 aree vincolate tra cui ben 5 Siti di Importanza Comunitaria».
Nessuna riconversione alla fine, ma l’area rimase in uno stato di totale abbandono. In breve si potrebbe dire che fu totalmente devastata per fare spazio a impianti mai realmente entrati in funzione. Ma quel che è ancora più devastante è che non si tratta di un posto qualsiasi. A poche centinaia di metri dall’ex area industriale c’è infatti l’oasi naturale del Pantano, oggi sotto tutela del Wwf che ha creato l’Osservatore ornitologico. I laghetti rappresentano, infatti, è l’ambiente preferito da numerose specie di uccelli acquatici che compiono ogni anno due spostamenti migratori: sono luogo di sosta di folaghe, anatre, aironi cenerini e cavalieri d’Italia, e non è raro ammirare anche i fenicotteri rosa.
«L’area è un disastro, quello che doveva essere un investimento che doveva portare sviluppo è diventato un disastro», racconta ai nostri microfoni il sindaco di Montebello Jonico Maria Foti, che parla di «ferraglia che ha deturpato e continua a deturpare il territorio». Secondo Foti «la vocazione del territorio era quella turistica, perché abbiamo una spiaggia bellissima, non era certo quella industriale, hanno fatto una forzatura che non è riuscita, ma non hanno mai smaltito quello che era la ferraglia rimasta. Per cui noi ci ritroviamo questa ciminiera, ruderi di acciaio, quello che è rimasto della fabbrica».
«I terreni sono stati lottizzati e venduti all’asta, è tutto in mano ai privati, – racconta – non si riesce più a capire quale sia la situazione in quell’area. La società che gestiva gli investimenti credo abbia tenuto una buona parte di questi terreni. Non so che intenzioni abbia, sta cercando di fare degli investimenti sul fotovoltaico, ma non so niente di più e niente di particolare. Non credo ci sia in questo momento una prospettiva per realizzare qualcosa di utile».
Nelle parole del primo cittadino del piccolo centro reggino c’è poi l’amarezza determinata dalla falsa speranza che si era accesa a seguito di un tentativo di riqualificare gli spazi delle Officine Grandi Riparazioni, grazie al progetto “Agàpi”, studiato sulla base di una proposta avanzata dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria: «Era un progetto che avrebbe dato veramente una prospettiva di sviluppo imponente, si parlava di creare degli hub di sviluppo e di ricerca. Numerose aziende avevano firmato l’accordo, erano circa 42 i partner, tra cui anche l’Agenzia spaziale». Il progetto ha partecipato a un bando del Pnrr ma la posizione raggiunta in graduatoria non è stato sufficiente per ottenere il finanziamento richiesto. «Purtroppo non si è arrivati a nulla, nonostante tutti gli sforzi. Ho cercato di interessare la Regione, la Città metropolitana, ma non sono riuscita a riattivare, a creare una sorta di solidarietà per difendere il finanziamento».
Sul porto, spiega il sindaco, «l’idea di cedere all’Autorità di sistema la gestione di questa importante struttura, è stata una carta vincente. Oggi l’Autorità di sistema sta investendo, se le conferenze di servizio andranno nel verso giusto si parla di un’apertura parziale di questa infrastruttura, e da lì credo che ci siano le prospettive di sviluppo ulteriore». «Il problema – conclude il primo cittadino – è che non siamo competitivi, non riusciamo ad essere interessanti per le grandi aziende. Ci sono gli spazi, le condizioni per sviluppi interessanti. L’OGR ha degli immobili immensi che potrebbero essere utilizzati da imprese, da multinazionali, però a tutt’oggi nessuno ha mai avuto interesse per l’area. Sembra quasi che si siano dimenticati dell’area di Saline Joniche. È rimasta solo un’area dimenticata, devastata ma abbandonata». (redazione@corrierecal.it)
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