REGGIO CALABRIA Un gruppo familiare di «elevatissima capacità criminale». Così tre collaboratori di giustizia hanno descritto Domenico Arena e i due figli, Biagio e Rosario. E l’attività investigativa coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ha fatto il resto, fino all’arresto scattata questa mattina con il blitz condotto dai Carabinieri di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile. In manette sono finiti Domenico Arena, classe ’54, e Rosario Arena, classe ’79, padre e figlio.
«Narcotrafficanti, armieri, estortori ed usurai, da sempre appartenenti alla cosca Pesce di Rosarno» riporta il gip Tommasina Cotroneo nell’ordinanza che, questa mattina, ha portato all’arresto dei due. Gli Arena, inoltre, sono legati ai Pesce anche per il vincolo familiare con Vincenzo Pesce ma – scrive il gip – «sono talmente muniti di autorevolezza e potenza criminali da essere stati in grado di costituire una sorta di “coschicella” quasi a sé stante, seppur sempre affiancata alla cosca Pesce, e comunque capace di operare secondo modalità assolutamente mafiose». Uno “status” riconosciuto anche da altre famiglie di ‘ndrangheta di primo piano come i Palaia, i Cacciola e i Bellocco, attivi nel territorio rosarnese. Un potere «assunto nel tempo» e suddiviso fra i vari rami delle diverse famiglie di ‘ndrangheta del territorio, dalle zone collinari a quelle di campagna del rosarnese.
Significative, ad esempio, le dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Cacciola. Parlando di Domenico Arena lo descrive come «un intoccabile» perché «in tutti i procedimenti del mondo c’è lui e non ha fatto manco un anno di carcere… ce li ha buoni i santi, eh!». E ancora: «È attivo nell’usura, nella droga, in tutto… estorsioni, gli paga l’estorsione pure la “Fattoria della Piana”, lì tutto lui è il guardiano…». Nelle sue dichiarazioni, riportate dal gip nell’ordinanza, Cacciola parla di un contrasto insorto tra i due cognati, Domenico Arena e Vincenzo Pesce, riferitogli proprio da Arena, in seguito al quale quest’ultimo avrebbe confermato il suo “distacco” e di aver formato una famiglia a sé. «Sono su adesso, hanno avuto delle discrepanze, lui se n’è andato apposta ad abitare in campagna (…) con loro ha litigato, almeno dalle parole sue, che ha detto lui, che non vuole più avere a che fare, che ormai non appartiene più a loro…eh, lui non va più buono con i Pesce, ormai è solo e non vuole avere a che fare più con loro, con Vincenzo, parliamo sempre di suo cognato Vincenzo… dicendomi che ormai lui con i Pesce non vuole più avere a che fare, che è solo per fatti suoi, lui e i suol figli, che si è fatto., si è inimicato con Vincenzo, con suo cognato…». Secondo Cacciola, dunque, Domenico Arena – che operava insieme ai figli – in forza della caratura mafiosa guadagnata sul campo e riconosciuta da tutti, «esercitava il dominio assoluto sul territorio che a lui era stato conferito dalle altre cosche, acquisiva tutte le guardianie ed estorceva denaro a chiunque fosse stanziato in quell’area, a partire della Fattoria della Piana, dentro la quale faceva il bello ed il cattivo tempo, fino a tutto il territorio dove esercitava la sua egemonia mafiosa».
Le dichiarazioni rese da Cacciola fanno il paio con quelle di un altro collaboratore, Albanese. «(…) sta famiglia Arena vedete che sono come una “coschicella”, questi sono imparentati con i Pesce pure sono come una coschicella sono gente che va rispettata sui territorio, gente che ha influenza criminale». «(…) cioè ad esempio se io gli dò uno schiaffo a Biagio Arena so che intervengono i Pesce al 100% quindi per noi questo è l’affiliazione come identifichiamo diciamo una persona che appartiene». Secondo il racconto del pentito, inoltre, gli Arena avevano in esclusiva la guardiania della zona a loro concessa in monopolio e sulla quale «esercitavano il loro potere criminale mafioso», come la zona Santa Maria o la zona di Lattaro, dove insisteva anche la famosa azienda che allevava bovini e produceva latticini. Controllo del territorio, ma non solo. I pentiti, infatti, hanno parlato di Domenico Arena come uno degli «importatori di droga più grossi della Piana» con una «ferocia criminale spinta fino al punto da essere definito anche capace di consumare omicidi». «(…) Mimmo Arena è, voglio dire, se c‘è lui Mimmo Arena è assolutamente al di sopra di tutti. Persona vi ripeto definita molto pericolosa, io quando sento certe persone che definiscono una persona così credetemi ci credo, persona molto pericolosa (…)».
Infine, anche Giuseppe Tirintino, in un vernale del 9 ottobre del 2015, aveva descritto Domenico Arena «come narcotrafficante che provvedeva agli scarichi di droga dal Porto di Gioia Tauro, in combutta con Brandimarte Vincenzo, ed agendo anche per conto del cognato Vincenzo Pesce». (g.curcio@corrierecal.it)
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