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La ‘ndrangheta nel bar del Palagiustizia e la mensa del carcere di Torino: 17 indagati

I pm della Dda di Torino hanno notificato l’avviso, tra gli altri, a Rocco Pronestì, Crescenzo D’Alterio, Rocco Cambrea e Silvana Perrone

Pubblicato il: 13/12/2023 – 9:56
La ‘ndrangheta nel bar del Palagiustizia e la mensa del carcere di Torino: 17 indagati

Sono in totale 17 gli indagati della maxi-inchiesta coordinata dalla Distrettuale antimafia di Torino legata ai presunti interessi della ‘ndrangheta nella gestione del bar del Palazzo di Giustizia, assegnato dal Comune di Torino alla cooperativa LiberaMensa, e che dava lavoro a detenuti ed ex detenuti. Almeno fino allo scorso 18 luglio in occasione del blitz che ha portato all’arresto di 4 persone. Tra questi, Rocco Pronestì, 72 anni, storico appartenente alla criminalità organizzata del Piemonte e da anni legato ai maggiori esponenti della ‘ndrangheta locale, quali Mario Ursini, Placido Barresi e Domenico Belfiore. Nelle carte dell’inchiesta, in particolare, si parla di appalti e colletti bianchi, ma anche di prestiti a usura ed estorsioni messe a segno con i metodi classici come minacce, pressioni e intimidazioni.

Chiuse le indagini

I pm di Torino Paolo Toso e Francesco Pelosi – come riporta oggi “TorinoToday” – hanno notificato l’avviso di conclusione indagini, tra gli altri, a Rocco Pronestì, Crescenzo D’Alterio (considerato uomo di Pronestì), Rocco Cambrea e Silvana Perrone. In concorso con Cambrea, considerato «contiguo alla ‘ndrangheta» è accusato di usura ed estorsione, ma anche di aver organizzato una bisca clandestina nel bar di via Postumia nel quale si occupava di gioco d’azzardo a metà degli anni ’90, prima di essere condannato nel procedimento denominato Cartagine. Deve rispondere di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori, invece, Silvana Perrone, ex presidente del cda di LiberaMensa: subentrata nella compagine societaria quando la coop era in pre-dissesto, a settembre 2020 avrebbe concertato con D’Alterio il subentro di due prestanome in qualità di presidente e vice-presidente del consiglio d’amministrazione. I quali, si legge nell’avviso di conclusione indagini, “si prestavano a comparire come titolari dei beni di Cambrea e Pronestì per evitare che questi venissero sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale”. In questo modo tutti e sette, in concorso tra loro, “attribuivano la disponibilità dei beni e dei mezzi aziendali della cooperativa predetta e della titolarità del servizio pubblico di ristorazione affidato dal Comune di Torino, ad essa assegnato per anni 12” a Pronestì, Cambrea e D’Alterio. In seguito, secondo gli inquirenti, D’Alterio sarebbe rimasto “il regista occulto” e avrebbe usato la coop per offrire lavoro a persone vicine alle ‘ndrine, all’occorrenza.

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