REGGIO CALABRIA «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura dell’umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità». Viene descritto così, nella relazione datata 1909 al Senato del Regno d’Italia, il terribile terremoto che in pochi attimi rase al suolo Reggio Calabria e Messina provocando migliaia di morti e una distruzione difficile da immaginare e da descrivere. Sono passati esattamente 115 anni dalla più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime e dal disastro naturale di maggiori dimensioni che abbia mai colpito il territorio italiano in tempi storici. «È la pietà dei vivi – recita ancora la relazione – che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie».
Sono le 5.20 del 28 dicembre 1908, una scossa di terremoto di magnitudo 7.2 colpisce la Sicilia orientale e la Calabria meridionale, l’epicentro è nel comune di Reggio Calabria, tra Archi e Ortì inferiore. La maggior parte della popolazione viene sorpresa dal sisma nel sonno, e pochi minuti dopo segue una devastante onda di maremoto che travolge entrambe le coste dello Stretto. Una tragedia senza precedenti, le vittime sono 80mila, secondo altre stime addirittura oltre 100mila: un numero aggravato dopo lo tsunami che si abbatte sul territorio travolgendo chi, spaventato dal terremoto, stava cercando riparo sulle coste. Danni in termini di vittime e di distruzione, in gran parte causati dalla scarsa resistenza dei terreni di fondazione e dalla scadente qualità delle costruzioni. Le vie di comunicazione diventano impraticabili, le strade e le ferrovie distrutte, le linee telegrafiche e telefoniche interrotte anche a causa della rottura dei cavi sottomarini provocata dallo tsunami.
«Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu»: è la drammatica testimonianza dell’esponente socialista Pietro Mancini che guidava da Cosenza una delle prime squadre di soccorso giunte a Reggio.
E proprio per le informazioni frammentarie che giunsero in tutta Italia e la difficoltà a raggiungere Reggio e Messina, i soccorsi arrivano con ritardo. I siciliani e i calabresi vennero immediatamente soccorsi da navi russe e britanniche che si trovavano a Siracusa e ad Augusta, mentre gli aiuti italiani arrivarono nella mattinata del 29 dicembre. «Oramai non v’è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest’ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime», scrissero i giornali. L’evento segnò l’inizio dell’azione dello Stato per la riduzione degli effetti dei terremoti, attraverso l’introduzione della classificazione sismica del territorio nazionale e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni. È del 1909, infatti, il primo Regio Decreto che introduce norme valide per l’intero territorio nazionale.
Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia il terremoto fu causato dal movimento di una grande faglia normale cieca a basso angolo di immersione a SE. I ricercatori dell’Università Birkbeck di Londra nel 2019 hanno identificato la faglia attiva responsabile del terremoto come la faglia Messina-Taormina, che risultava già mappata ma poco studiata, che si trova al largo della costa siciliana e corre lungo lo Stretto di Messina. Il team ha utilizzato i dati del 1907-1908 per esaminare il modello di sollevamenti e cedimenti osservati nell’area che presentava una forte somiglianza con quelli risultanti da altri potenti terremoti innescati da faglie normali.
Ma l’evento, secondo le previsioni di diversi studiosi, non sarebbe destinato a rimanere un caso unico. Si fanno sempre più insistenti – anche in relazione al progetto della costruzione del Ponte sullo Stretto – gli allarmi circa il rischio di un nuovo potentissimo sisma che potrebbe colpire gli stessi territori. Sul Corriere della Calabria – nel corso di un’intervista – è stato il geologo Mario Tozzi a lanciare un vero e proprio allarme. Dal punto di vista sismico, secondo lo studioso bisognerebbe «investire nella ristrutturazione antisismica almeno degli edifici pubblici e delle infrastrutture in modo che possano reggere al prossimo terremoto, perché tanto il terremoto ci sarà, non è che non ci sarà, non è che possiamo far finta di niente».
A Reggio Calabria, ai Giardini Umberto I, di fronte la stele che ricorda le gesta eroiche dei militari della marina imperiale, insieme al vicesindaco metropolitano Carmelo Versace, a Francesco Milasi, console onorario della Bielorussa in Calabria e Sicilia, e ad una folta rappresentanza di cittadini originari dai diversi Paesi che costituivano l’allora Russia Zarista, il sindaco Giuseppe Falcomatà ha reso omaggio alle vittime del terremoto e dei marinai russi che, per primi, soccorsero le popolazioni reggina e messinese devastate dal terribile sisma, «gli angeli venuti dal mare». «L’amministrazione metropolitana e comunale ha voluto rispondere presente ad un invito che onora l’impegno della marina militare russa che, quel triste giorno di 115 anni fa, si trovava a pochi chilometri da Reggio e riuscì ad intervenire per alleviare le sofferenze della nostra comunità reggina e far partire la macchina dei soccorsi». Secondo il sindaco, infatti, «è giusto ricordare quel momento e rinnovare i nostri sentimenti di gratitudine a chi ha dato una mano alla nostra popolazione». «Ed è bello – ha continuato Giuseppe Falcomatà – tenere questa cerimonia all’interno della Villa Comunale che, oltre ad essere il giardino della biodiversità, sta diventando, sempre più, un parco della memoria. Qui, infatti, trovano dimora diversi alberi posati in onore di cittadini che hanno dato lustro al Paese e alla Città, in questo luogo del cuore si erge la Stele al Partigiano e quella per l’impegno della Marina militare russa». «Accanto a questa iniziativa – ha proseguito il primo cittadino – sono diversi gli eventi che si stanno svolgendo in città per coltivare la memoria di quel drammatico 28 dicembre. Una su tutte è la grande mostra #millenovecentootto, allestita al Castello Aragonese, che ha la capacità di trasmettere un forte impatto emotivo al visitatore, messo nelle condizioni di connettersi con quelle ore tragiche in cui, di colpo e all’improvviso, vite ed esistenze intere vennero letteralmente frantumate da un terribile sisma». «Ovviamente – ha concluso Falcomatà – non è un esercizio della memoria fine a se stesso, ma ci rinnova l’impegno a realizzare, costruire e pianificare la crescita dei nostri territori in maniera sostenibile e rispettosa dell’ambiente».
(m.ripolo@corrierecal.it)
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