COSENZA Maurizio De Lucia, procuratore capo di Palermo, lo sostiene convinto: «le organizzazioni mafiose, non solo Cosa nostra, sono radicate nei territori». Non sarà più la criminalità delle bombe e dei morti ammazzati per strada, le mafie preferiscono i danari ai proiettili, le criptovalute ai piccioli, giacca e cravatta a coppola e lupara. Ma tutto questo non cancella la capacità del crimine di allungare i tentacoli su qualsiasi business, illecito e non, drogando il mercato e impiegando colletti bianchi e “invisibili”. Nell’elenco dei buoni propositi investigativi per il 2024, il procuratore De Lucia a La Repubblica suggerisce un approfondimento di indagine sui rapporti (da sempre esistenti) tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta. «Si susseguono maxi sequestri di cocaina, il traffico di droga è ormai il principale affare per Cosa nostra. Le indagini raccontano sempre più spesso di accordi con i calabresi della ‘ndrangheta. C’è una galassia mafiosa in piena evoluzione». Sul punto, occorrere evidenziare quanto dichiarato dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo nel corso di un evento a Lamezia Terme.
«La ‘ndrangheta non è isolata e non lo è mai stata. Pensare alle strutture criminali identificate con mafie storiche non deve fuorviare, sono componenti di un sistema. Non esistono la ‘ndrangheta come fenomeno calabrese, Cosa Nostra come realtà siciliana, la Camorra come fenomeno tipicamente campano e la Sacra Corona Unita come filiazione della ‘ndrangheta. Esiste quello che un collaboratore di giustizia palermitano, che si autodefinisce un “riservato” (cioè un soggetto apicale di contesti criminali che non appare come partecipe delle struttura organizzativa di base) ci ha raccontato quando lo abbiamo interrogato a Palermo». Lombardo riferisce di un colloqui nel quale il pentito racconta dei suoi viaggio a Reggio Calabria assieme a suo zio: «Ogni 15 giorni con mio zio venivo a Reggio e lui mi lasciava lì con il suo guardaspalle e andava in Aspromonte dove passava il fine settimana, tornava la domenica sera». Qualche anno dopo, in seguito alla morte dello zio, «Stefano Bontade – continua il racconto del collaboratore riferito da Lombardo – mi chiamò per completare il progetto che portava avanti mio zio e mi spiegò che andavano in Aspromonte per prendere ordini, visto che c’era un progetto comune con la ‘ndrangheta reggina. Era quello di costituire un comitato d’affari con pezzi di istituzioni, politica e massoneria perché il potere reale è proprio quello lì. E mentre in Calabria funzionava da anni, in Sicilia ancora non era partito».
Dei rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra, sono pieni libri e prontuari. Le recenti audizioni in Commissione antimafia del procuratore capo di Milano Marcello Viola e dell’aggiunto Alessandra Dolci ripropongono uno schema che richiama stralci della sentenza Gotha e salda vecchie e nuove emergenze investigative. «Un network criminale evoluto, espressione di un sistema di tipo, non voglio dire “confederativo”», spiega Viola, «Le mafie si incontrano su interessi concreti, essendo chiaro a tutti che è molto più produttivo un sistema in cui si sta in pace rispetto a un sistema in cui si sta in guerra, attirando l’attenzione dell’azione repressiva dello Stato». Un legame che ritroviamo anche nel processo ‘Ndrangheta stragista e nelle parole di alcuni pentiti che raccontano come «la ‘Ndrangheta è Cosa nostra» per definire l’esistenza di un sistema criminale unico e complesso.
Davanti alla Commissione parlamentare antimafia guidata dall’allora presidente Luciano Violante – in carica dal ’92 al ’94 – il collaboratore di giustizia Leonardo Messina racconta la sua verità. Prima semplice soldato e poi sottocapo della “famiglia” di San Cataldo, provincia di Caltanissetta, Messina è uomo rispettato in contatto con i vertici di Cosa Nostra. E’ il primo pentito a svelare l’esistenza di una “cosa” unica. «C’è stato un momento in cui hanno concentrato le forze dicendo che la mafia era a Palermo, come se la parte restante della Sicilia fosse immune, mentre io sono a conoscenza di quasi tutte le province siciliane che appartengono o a Cosa nostra o alla ‘ndrangheta», dice Messina. Alla ‘ndrangheta in Sicilia? Chiede Violante, e il pentito risponde: «Sì, a Messina». Passando alla commissione nazionale ed a quella mondiale, cui lei ha accennato, può spiegarci meglio cosa sono? Chiede ancora il presidente della commissione antimafia. «Sì, la commissione regionale fa il suo rappresentante e le altre regioni hanno il loro rappresentante, perché non esistono altre organizzazioni in Italia al di fuori di Cosa nostra. Tutte le altre sono diciture, ma la struttura è sempre quella di Cosa nostra: si chiamino Sacra Corona Unita, ‘ndrangheta, Camorra, e così via, si tratta di nomignoli, ma la struttura è Cosa nostra». E poi la chiosa di Messina: «Il vertice della ‘ndrangheta è Cosa nostra».
I punti di contatto tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra arrivano in America, all’ombra del Ponte di Brooklyn. Le cosche, da anni, hanno raggiunto anche gli Stati Uniti e la città di New York: a confermarlo sono diversi spunti investigativi, come quelli emersi anni fa dall’inchiesta “New Bridge” e in diverse relazioni, come quella conclusiva della Commissione parlamentare antimafia che soggiornò per circa una settimana, nella seconda metà del gennaio del 2020 nella Grande Mela, confrontandosi con organismi come la Dea, l’Fbi, le procure distrettuali di New York: uno scambio di dati e di informazioni da cui è emersa, sulla rotta del narcotraffico. «L’esistenza e operatività di molte cosche di origine calabrese», spesso in contatto con Cosa Nostra, si legge nella relazione della Commissione parlamentare antimafia.
Appena un mese da, beni per oltre sei milioni di euro sono stati sequestrati dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, nei confronti di 8 persone indiziate di essere appartenenti alla famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia, articolazione territoriale di Cosa nostra rientrante nel mandamento di Pagliarelli. Le attività investigative – come riporta Ansa – avrebbero permesso di accertare che «una delle figure apicali della famiglia del Villaggio Santa Rosalia avrebbe organizzato uno strutturato traffico di cocaina dalla Calabria, volto a rifornire le piazze di spaccio palermitane e del trapanese». (f.benincasa@corrierecal.it)
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