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Nella Locride il lieto fine per Faraz, figlio della «prima donna scafista arrestata»

Una storia di sofferenze tra i migranti in viaggio tra il porto turco di Izmir e le coste calabresi, che si conclude a Camini. Il racconto su Avvenire

Pubblicato il: 11/01/2024 – 10:23
Nella Locride il lieto fine per Faraz, figlio della «prima donna scafista arrestata»

ROCCELLA JONICA Una storia di sofferenze tra i migranti in viaggio tra il porto turco di Izmir e le coste calabresi, che si conclude nella Locride con una rinascita per il piccolo Faraz, 10 anni, di origini iraniane. La sua storia e quella di sua madre, una 29enne accusata di traffico di migranti viene raccontata sulle pagine di Avvenire da Antonio Maria Mira. «La prima donna scafista arrestata. È stata lei, assieme a due complici, a gestire il viaggio che lo scorso 27 ottobre ha portato 105 migranti su una barca a vela fino al porto di Roccella Jonica, in Calabria, soccorsi molto al largo dalle motovedette della Guardia costiera. Per lei non era la prima volta. Gli investigatori della Polizia hanno, infatti, accertato che la giovane donna aveva fatto già altri due viaggi, cambiando nome e età. Non con ruoli secondari. Non guidava le barche ma si occupava soprattutto della parte economica, intascando i soldi pagati dai migranti per il viaggio dalla Turchia e dando loro ordini a bordo. Ma questa terza volta si era portata il figlio di dieci anni, non è chiaro se voleva chiudere con questa attività illegale o se, molto più probabilmente, lo aveva portato per meglio confondersi tra gli altri migranti, una mamma in fuga da guerre e violenze come altre sulla barca. Un modo per mimetizzare i suoi affari tra i dolori e le sofferenze. Ma il trucco non le è riuscito, grazie alle indagini degli investigatori del Commissariato della Polizia di Siderno». Dopo l’arresto della donna, il bambino è rimasto solo nella struttura di prima accoglienza nel porto di Roccella Jonica.

La rinascita a Camini

Ma lì non poteva certo restare. Così la Croce rossa, – si legge su Avvenire – ha chiesto un aiuto alla Caritas della Diocesi di Locri-Gerace, che ha risposto positivamente scegliendo però una modalità innovativa di accoglienza. «Invece di ospitare il bambino in una casa famiglia o altra struttura di accoglienza, abbiamo scelto di affidarlo a una famiglia di immigrati afghani già da anni in Calabria, per farlo sentire più tranquillo, tra persone che parlano la sua lingua, ben inseriti nel territorio e con bambini della sua età». Racconta Carmen Bagalà. Così Faraz è finito nella casa di una famiglia iraniana con quattro bimbi tra 5 e 11 anni, che vive a Camini, piccolo comune della Locride, una realtà simbolo di accoglienza, messa in piedi dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Pino Alfarano e la cooperativa Eurocoop Servizi “Jungi Mundu” «che ha riempito il paese di luoghi di accoglienza e integrazione, case, formazione e lavoro. Settecento abitanti, quasi 200 immigrati, tutti perfettamente integrati. Il luogo giusto per accogliere il bambino, evitando traumi e sofferenze».

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