CUTRO «Sono 2571 (duemila cinquecento settantuno) le persone morte in mare solo nel 2023, secondo i dati di Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, e Medici senza frontiere. Tra queste le 94 vittime accertate, uomini, donne, bambini morti e decine di dispersi nel naufragio di Steccato di Cutro del 26 febbraio 2023». Lo ricordano, in una nota, gli attivisti di “Rete 26 Febbraio”, associazione nata dopo la strage di migranti avvenuta sulle coste crotonesi lo scorso anno.
«Vengono ancora i brividi a ricordare quei giorni di grande rabbia e dolore – scrivono – mentre dal mare crotonese riemergevano man mano corpi di uomini, donne e bambini e il PalaMilone era la camera ardente dell’Europa inerme. Ma, per fortuna, anche la risposta della cittadinanza fu istantanea. Diverse realtà, attivisti e singoli si sono stretti subito intorno ai familiari dei naufraghi, per provare a sostenerli nella sofferenza indescrivibile hanno vissuto. Da lì è nata la Rete 26 febbraio, con una duplice funzione: anzitutto offrire qualsiasi tipo di supporto, appunto, a quelle famiglie e ai sopravvissuti, soprattutto nell’identificazione e rimpatrio delle salme; in secondo luogo, per denunciare le gravi inadempienze istituzionali e politiche, e le e violazioni dei diritti umani che sono la causa di tutti i naufragi che purtroppo continuano nell’euro-mediterraneo e nel mare Egeo».
«Proprio quelle cifre che abbiamo citato all’inizio – si legge ancora nella nota – ci ricordano che la Tragedia di Cutro è il prodotto di un sistema securitario che tenta di ostacolare i movimenti umani, ai confini esterni ed interni europei, e che provoca migliaia e migliaia di morti. La Rotta Balcanica, le coste di Grecia, Tunisia, delle isole Canarie, il mare di fronte alla Libia, sono i luoghi dove l’Europa, con le sue leggi ingiuste e accordi internazionali insignificanti, lascia morire le persone in fuga da guerre e miseria».
«Difronte a questi “migranticidi” – sostengono – sentiamo il dovere di rinnovare il nostro impegno di memoria e di denuncia, sia contro le nefaste necropolitiche europee, sia contro i decreti emergenziali del governo italiano, come il cosiddetto “Decreto Cutro” (legge 50/23), a fianco di quanti sfidano le frontiere, delle loro comunità di appartenenza e delle loro famiglie. Per questo, il prossimo 26 febbraio, a un anno esatto dalla Strage di Cutro, torneremo a organizzarci, e non per una semplice commemorazione simbolica o di facciata. Ma perché accoglieremo nuovamente i familiari dei naufraghi e i superstiti della Summer Love, pronti a tornare sui luoghi del dolore, dopo che il governo non ha dato seguito ad alcuni degli impegni presi a marzo 2023, nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi. Va detto che, ai loro e ai nostri occhi, eventuali parate celebrative “ufficiali” appaiono come insincere e autoassolutorie».
«Insieme a loro, come “Rete 26 febbraio” – annunciano – organizzeremo una mobilitazione per ribadire le loro istanze e protestare contro l’Europa dei respingimenti. Chiediamo quindi verità e giustizia sui fatti della strage del 26 febbraio 2023; ricongiungimenti e corridoi umanitari per le famiglie delle vittime del naufragio di Cutro che si trovano nei loro Paesi di origine così come promesso dal governo Italiano; identificazione, riconoscimento e degna sepoltura di tutte le salme delle persone coinvolte nel naufragio di Cutro; revoca immediata degli accordi stipulati dall’Unione Europa con i Paesi terzi quali Turchia, Libia e Tunisia, relativi al controllo esternalizzato delle frontiere e al respingimento delle persone in transito; canali di ingresso sicuri e legali per tutti e tutte le persone in fuga da povertà e crisi umanitarie».
«Per cui, come abbiamo fatto nelle dolorose giornate di un anno fa – conclude la nota – insieme appunto a familiari e superstiti, popoleremo di nuovo i luoghi della sofferenza, del dolore e delle tentate imposizioni e sopraffazioni. Luoghi dove si sono materializzate tragicamente le conseguenze di criminali politiche migratorie, simboli della risposta umanitaria e solidale di comunità antirazziste ma, soprattutto, posti in cui riaffermare memoria collettiva e modalità nette di resistenza al regime di frontiera».
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