Ode, elogio, epinicio e carme per il Cosenza calcio, la mia squadra del cuore che compie un secolo e un decennio. Blasone rossoblù fattore comune della seconda provincia d’Italia per estensione e religione identitaria di diverse generazioni.
Ode a una partita giocata nel 1914 tra una rappresentativa di Cosenza e Catanzaro sul polveroso campo di Piazza delle Armi sulla destra del Busento dove poi sorgerà il palazzo delle Poste. Era il 23 febbraio del 1914. C’era stata la SS Cosentina, poi la Fortitudo, e nel 1926 il Cosenza Football Club, perché la leggenda vince sempre sulla storia.
Elogio a Gigi Marulla da Stilo campanelliana, 330 presenze, 91 gol, allenatore e fu San Vito a lui intestato per morte improvvisa con perenne ricordo con audio di Pizzul in quel di Pescara a restare impressa nella cineteca della memoria del campione impavido, capace di essere bandiera nelle ascese e nelle cadute. Il figlio Kevin ne perpetua la storia antica. Elogio appassionato ad Angelo Corsi, Gigi De Rosa, Tonino Vita da Paola, il “Facchetti del Sud”, Aniello Parisi, Napolitano Ugo da Napoli, il tamburino sardo Tommaso Tatti, Sergio Codognato, bandiera degli anni Settanta dal calcio di punizione feroce.
Elogio di Ciccio Marino da Cerisano, eroe autoctono, di quelli che ci fecero dire mai più prigionieri di un sogno.
Elogio di Ciccio Delmorgine, esordio a 16 anni in rossoblù e, salvo parentesi, in campo tra il 1937 e il 1952, e poi ancora sulla panchina tra il 1954 e il 1972. Quando il Cosenza vince oggi ne vedono lo spettro alla Piazza Piccola, o dei pesci che dir si voglia.
Elogio dei derby con la Morrone, con il Rende, dei manifesti della mai nata Morende creati da Giovanni Iuele perché a pallone non c’è area urbana che tenga.
Ricordi boomer di ragazzini che prendono la mano di un qualunque tifoso adulto per entrare gratis nella bolgia della Tribuna B, quelli che avevano 16 anni e portavano l’orecchino e lunghi capelli, le vecchie e nuove guardie, la Nord, la Sud, i Nuclei Sconvolti, i tifosi a rotelle nel vero senso della parola alla A, quelli della Numerata “che non pagano”, quelli che hanno visto il Cosenza al Morrone dai balconi e delle gradinate, ribattezzato il campo delle 24 colonne, quante ne sostenevano il tetto della tribuna.
Elogio di chi conosceva la declinazione anni Trenta: Focotti, Gustinchic, Coverlizza…; io ricordo solo quella Rulli, Sdrigotti, Bompani… tutte le partite vinte in casa in serie D, e oggi è tempo di Micai, Gyamfy, Camporese, ma le declinazioni non sono più fisse come un tempo.
Elogio di Aita da Cetraro, del portiere Gisberti e di Caccetta, nomi che contano contro “chirillà”, di “Permesso” alias Giuseppe Pellicori, di Peressin e Campanini sfonda reti, di Maiellaro che fece un gol alla Maradona contro la Fiorentina, alle serpentine di Urban, alle parate di Simoni, alle manate di Lattuada, alle rovesciate di spalle di Giusto Lodi, alla cosentinità di D’Astoli, ai nazionali Ciccio Rizzo e Stefano Fiore.
Elogio alle moltitudini delle trasferte in tutto lo Stivale nei decenni. A coloro che sono assenti.
Ricordi di voci alla radio di Federico Bria e Giuseppe Milicchio, delle formazioni recitate all’altoparlante da Carchidi (il migliore speaker di sempre), l’attesa dei risultati dal venditore di nocciole a via Daua della Parma (è un fiume dell’Etiopia), Gigino Lupo capotifoso stratosferico che porta i soldi delle collette per pagare gli stipendi ai giocatori, il bar Gatto Nero che riceve una telefonata dall’America quando il Cosenza è tornato in B.
Elogio a “Lupi alè” di Tonino Lombardi a “Magico Cosenza di Mario Gualtieri a “Sembra impossibile” dei Lumpen perché il Cosenza è folk, pop, punk.
Elogio di Atilio Josè Demarìa, nazionale argentino di Buenos Aires, naturalizzato italiano, campione del mondo 1934, spalla di Meazza anche nell’Inter, giocatore e allenatore del Cosenza un anno prima del ritiro perché a noi, a volte, il sole arriva prima del tramonto.
Ricordi indiscreti di Renzo Andropoli (il Biscardi locale), di Bruno Giorgi con tutta la squadra ospite della Domenica Sportiva, le bombe di Gianni Colistro, i siparietti di Mastroianni e Benito Scola, le immagini videotape del Guru Iaconianni, la prima fanzine ultrà italiana che suona tam tam e lancia segnali di fumo, gli scoop di Valter Leone, le cronache di Franco Segreto, quelle su Gazzetta di Franco Rosito e del professor Gallo, la “bibbia”di Vincenzo D’Atri, le vignette di Peppino Baratta, i servizi Rai pane al pane di Santi Trimboli, le poesie di Ciardullo.
Elogio dei patron da Tommaso Corigliano a Mario Morelli che consegna la passione al figlio Cenzino, Salvatore Perugini (non è il sindaco), il commendatore Biagio Lecce, don Peppino Carci, don Peppino Carratelli capocordata di città, Antonio Serra che quasi raggiunse la serie proibita, Lamacchia, Paolino Pagliuso e figliolo, e anche Eva Catizone che ci mise la faccia nel momento dell’ora più nera, unica donna presidente della storia. Una storia di capitani dignitosi e di tante passioni vere, borghesia passionale che mette i soldi al portafoglio con il cuore.
Ricordi di striscioni più taglienti dei tweet odierni: “Dio perdona i lupi no”, “L’uomo del Monte ha detto B” “Viviamo per te, lottiamo per te vinci per noi Magico Cosenza”, Viva Villa” che non era un elogio messicano. Elogio degli allenatori ungheresi degli anni Trenta, dell’argentino Oscar Montez, del seminatore d’Oro Gianni Di Marzio, mago herreriano dell’impresa impossibile come quella di Zaccheroni che salvò la squadra con meno 9 punti di penalizzazione.
Elogio del monaco capotifoso più famoso al mondo, Padre Fedele, un romanzo popolare di missioni e apostolato con giovani. Hanno tentato vanamente di distruggerlo, è un lupo per eccellenza che resterà a futura memoria con il suo intonare “Maracanà” uomo di pace bergogliano prima di Francesco, apostolo di generazioni che hanno appreso come si cura il mondo creando oasi di aiuto e terre di Piero.
Ricordi di piscinari, fiorai, caldaisti, bestemmiatori e urlatori della locale tribù del calcio misti a buon borghesi e ragazzini. Il barone Gigliotti e la banda musicale che suona Zazà, gli infarti sugli spalti, i coriandoli con le schedine, il rullo dei tamburi, le trombe attaccate alle batterie d’auto, le lanciarazzi proibite; era il tempo quando i risultati delle avversarie si attendevano all’altoparlante.
Elogio delle donne rossoblù, delle curvaiole, della signora Salvia e di tutte coloro che hanno cambiato la maschilità del tifo.
Ricordi di una banda di ragazzi che contro tutto e tutti fa nascere il tifo organizzato degli Ultrà non immaginando di entrare nei libri di storia europei caratterizzandosi alla fine per un rifiuto della violenza gratuita e per essere stati poco o nulla omologati ai modelli imperanti, mescolando i figli di giudici con quelli degli imbianchini. A coloro che verranno.
Elogio di Bergamini e Catena perché gli eroi sono giovani e belli oltre che sfortunati.
Elogio di Gennaro Tutino, il nuovo re e passione dei tifosi che sognano già di poterlo vedere anche da anziano a Cosenza guardando la statuina del presepio napoletano.
Elogio alla provincia grande di cuore e di passione dallo Jonio al Tirreno con borghi e città che onorano e tifano per i lupi.
Elogio ai diffidati, agli ultimi, alla teppaglia, ai carcerati, a coloro che quando vince il Cosenza possono dire “Oggi ho vinto anch’io”.
Elogio a Stefano Rodotà, Haether Parisi, Nicola Savino, e a tutti coloro che soffrono di restanza e trovano appartenenza con la squadra del Cosenza.
Ricordi amari, tanti. Sul campo e nei palazzi. Ma il tifoso del Cosenza trova una ragione ostinata nella sua fede in qualunque serie. Lamentandosi molto ma tenendo sempre il punto.
Elogio di Guarascio, sor Pampurio pop, che da circa tre lustri porta avanti il blasone. Elogio alla sua fortuna e anche al suo oculato operare che resiste alla contestazioni di ogni tipo e risma. Ha già celebrato il centenario, prima di questo 110. Aspettando nel tempo il gran colpo. Quello che tutti pensano ma che il vero tifoso scaramantico non pronuncia mai. Seconda squadra di B per campionati disputati tra quelle mai andate al supremo soglio. Visto vicino ma negato da classifica avulsa, da un palo che ancora trema, dalla fatal Lecce. Dicono che solo chi soffre ama veramente.
Siamo il Cosenza. Elogio di blasone per una squadra che pur se cade nella polvere sempre si rialza animata da un popolo che senza quel nome non riesce a ridere, amare, combattere.
E siamo ancora qui a ballare con i lupi.
x
x