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processo “reset”

L’estorsione ad un «amico» di Patitucci. La mancanza di rispetto di «quelli di Cosenza»

Qualcuno del clan degli “Zingari” avrebbe avanzato una pretesa estorsiva. Il boss sbotta e convoca due soggetti a casa sua

Pubblicato il: 01/03/2024 – 7:50
di Fabio Benincasa
L’estorsione ad un «amico» di Patitucci. La mancanza di rispetto di «quelli di Cosenza»

COSENZA Antonio Donato, sostituto commissario coordinatore della Polizia di Stato, in servizio alla Squadra Mobile di Cosenza, ha testimoniato nel corso del processo “Reset“, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al tribunale collegiale (Presidente Carmen Ciarcia). In aula, l’accusa è rappresentata dal pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio. Il teste fa riferimento ad alcuni indagati: Marco, D’Alessandro, Silvia Lucanto, Marco Lucanto e Carlo Drago.

I cellulari entrano in carcere

Intercorrono delle conversazioni tra Carlo Drago e un’altra persona e «i due fanno riferimento a telefoni da eventualmente riuscire a far entrare in carcere, discutono delle modalità di come farli entrare in carcere, di alcuni particolari, magari avvolgerli in una carta isolante in modo da attraversare facilmente il controllo del metal detector, inserendoli in alcune pacchi del caffè». La discussione richiama quanto recentemente svelato da un’inchiesta della Dda di Catanzaro, che ha portato all’arresto di agenti penitenziari e funzionari e dell’ex direttrice Angela Paravati (Qui i dettagli). Nel proseguo della conversazione, come racconta il teste si arriva anche a discutere «del modello di telefono eventualmente da acquistare con una ricarica particolare, che avesse potuto consentire di ricaricarli dalle prese forse che erano nel carcere o comunque da altri apparecchi che si trovavano nel carcere». «L’11 Settembre 2021, una donna (intercettata) sostiene di essere riuscita ad acquistare il telefono», aggiunge il teste. Acquistato il cellulare, il problema è legato all’ingresso nell’istituto penitenziario. «Massimiliano D’Elia concorda che i telefoni debbano essere consegnati a Silvia Lucanto e poi a sua volta, avrebbe dovuto spedirli a un tale Rinaldo, in quanto anche lui in quel periodo era detenuto presso la casa circondariale di Lanciano». Le intercettazioni proseguono, e chi indaga riesce a ricostruire la presunte rete organizzativa per far arrivare i cellulari in carcere. «Ci sono tutta una serie di conversazioni che avvengono tra l’utenza in uso a D’Elia Massimiliano e quelle in uso a Lucanto Silvia, dove appunto si fa sempre riferimento a Carletto che dovrebbe avere ricevuto delle ricariche. Si capisce che D’Elia Massimiliano, dall’interno del carcere è riuscito ad avere un altro telefono, che per questo telefono ha bisogno di una ricarica che Lucanto Silvia gli dovrebbe fare di 300 euro, soldi necessari a pagare il telefono. Però nel corso di una conversazione si rendono conto che la linea non va tanto bene e attribuiscono questo al cattivo funzionamento del cellulare, per cui D’Elia dice che lo dovrebbe restituire alla persona da cui l’aveva acquistato, però aveva bisogno del bonifico di questi 300 euro». Nella casa circondariale di Lanciano nel corso di attività di controllo che viene periodicamente effettuata, vengono rinvenuti «due telefoni cellulari, nella disponibilità di Drago Carlo e D’Elia Massimiliano».

Il danneggiamento dell’auto

«Ora quello…che ti sei preso lo paghi per due volte». E’ questa una delle frasi captate dagli investigatori in merito ad un episodio finito nell’inchiesta “Reset” e ripercorso in aula dal teste. Il riferimento è al danneggiamento dell’auto (una Fiat Punto). «L’intimidazione – dice sostituto commissario – sarebbe dovuta «avvenire tramite l’esplosione di alcuni colpi d’arma da fuoco, però poi i due autori desistono da questo. Non si verifica di fatto con l’esplosione dei colpi d’arma da fuoco, ma con una pietra che va ad infrangere il lunotto posteriore dell’autovettura. Nonostante ciò, però, D’Alessandro esplode tre colpi con una scacciacani per fare capire» alla vittima del danneggiamento, «che era avvenuto con l’esplosione dei colpi di arma da fuoco».

L’estorsione e lo “sgarro”

La testimonianza prosegue e l’attenzione viene rivolta ad un episodio che vderebbe protagonista, Francesco Patitucci ex reggente del clan “Lanzino-Patitucci-Ruà”. E’ il 27 Agosto del 2020, «Patitucci convoca a casa sua due soggetti e chiedere chiarimenti su un episodio che si era verificato a Torremezzo di Falconara Albanese, presso una pista dei go-kart». Dal racconto, captato, si evince il malcontento di Patitucci per le lamentele del suo “amico”, proprietario della struttura, in merito alla richieste «di alcuni “Zingari” di Cosenza che avrebbero avanzato una pretesa estorsiva nei suoi confronti, presentandosi come “quelli di Cosenza”». Patitucci giudica quanto accaduto «una mancanza di rispetto», «considerato che lui era il referente della criminalità su Cosenza», dice il teste. Ai due soggetti accolti in casa, Patitucci chiede «di farsi promotori verso gli “Zingari” in modo da capire come si erano verificati i fatti e a richiamarli al rispetto delle regole». A casa del presunto boss cosentino si reca Antonio Bevilacqua, «cercando di giustificare coloro che erano stati autori di queste minacce nei confronti del proprietario della pista».

Il controesame

E’ l’avvocato Giuseppe Malvasi, per la posizione di Antonio Bevilacqua, a dare il via al controesame. Nell’intercettazione Bevilacqua Antonio e Patitucci Francesco non parlavano di situazione che riguardavano loro due? «No. No». Ma discutevano di un comportamento di un terzo soggetto? «Sì». E questo terzo soggetto sarebbe colui che ha avuto rapporti con la persona offesa? E’ corretto? «I presunti autori di questo gesto nei confronti della persona offesa». La parola passa all’avvocata Fiorella Bozzarello, in qualità di difensore di D’Elia (giudicato con rito abbreviato) e Silvia Lucanto. Quando avete iniziato comunque a investigare, il periodo preciso, rispetto all’utilizzo di questi apparecchi citofonici all’interno delle case circondariali? Della casa circondariale di Lanciano? «Maggio del 2021, Aprile-Maggio. Questa attività iniziamo con l’intercettazione dell’utenza che noi diciamo nella disponibilità di Lucanto Silvia, o meglio inizialmente pensavamo e abbiamo inoltrato la richiesta di intercettazione pensando fosse in uso a Lucanto Marco, in quanto c’era stata quella conversazione di cui ho detto prima con la fidanzata di Lucanto». Nel momento in cui poi rilevate degli elementi dai quali desumere che presumibilmente l’utilizzatrice è Lucanto Silvia, voi proseguite questa attività intercettiva relativamente a quale ipotesi di reato? «Emergevano i contatti con D’Elia Massimiliano che era detenuto! Nell’ipotesi di reato appunto del 391 ter».
(f.benincasa@corrierecal.it)

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