VIBO VALENTIA In almeno quattro occasioni avrebbe rifornito Giuseppe Soriano di un importante quantitativo di droga: quasi due chili e mezzo di cocaina, divisi in una fornita da 200 grammi, due da 650 e una da 700 grammi. A svelare i dettagli è stato il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, chiamando in causa Salvatore Ascone “u Pinnularu”, l’uomo classe ’66 considerato «riferimento assoluto per il potente clan Mancuso di Limbadi nel territorio che comprende località Montalto, al confine delle province di Reggio Calabria e Vibo Valentia» e alla sbarra nel processo sull’omicidio di Maria Chindamo.
“U Pinnularu” è coinvolto anche nella nuova operazione della Dda di Catanzaro, una sorta di nuovo capitolo della già corposa inchiesta “Maestrale-Carthago”. «La prima volta, avvenuta qualche mese prima delle ulteriori trattative che ebbero esito positivo» racconta Mancuso in uno dei verbali resi ai magistrati antimafia «ho fatto da intermediario per 200 grammi di sostanza che poi si rivelò scadente, perché Ascone fece l’”impuffo”, consegnando a Peppe Soriano una sostanza che aveva un 10% di principio attivo, che era quasi farina». Ma non è tutto. «Ascone voleva che io intrattenessi i rapporti con Giuseppe Soriano» racconta ancora il collaboratore «perché era preciso, serio ed un buon pagatore, oltre a non creare mai problemi. Ad esempio, in questa prima circostanza, nonostante la scarsa qualità dello stupefacente, non volle neppure i soldi indietro, per quanto era preciso e serio».
Gli inquirenti della Dda di Catanzaro riescono ad intercettare una conversazione violenta e concitata con protagonista proprio Ascone. È il 24 marzo 2019 quando i primi racconti del giovane pentito dei Mancuso, emersi sulla stampa, mandano su tutte le furie “U Pinnularu”. «Mo’ qua mi fanno l’arresto! Mi spaccano… Non tenete niente, distruggiamo tutto là, andate e distruggete tutto (…) l’esercito, non mi vuole sentire quel cornuto del picciotto… questo figlio di puttana! Di suo zio Luigi non parla? Mi vengono a prendere un giorno e mi portano…». E ancora insulti contro Emanuele Mancuso: «Questo figlio di puttana dopo che l’ho reso ricco!». La rabbia di Ascone si consuma dando disposizioni di distruggere la droga a distanza di chilometri dalle loro proprietà. «Distruggi quella cosa! Qui arriva l’esercito! Anche e chilometri me la buttano a me!».
Le dichiarazioni di Emanuele Mancuso trovano riscontro, poi, in un altro episodio. Siamo a febbraio del 2018 quando avviene il sequestro di stupefacente a carico di Giuseppe Soriano, poi arrestato. Qualche giorno dopo, Leone Soriano si lamenta di Ascone «il quale – riporta il gip nell’ordinanza – aveva venduto un grosso quantitativo di cocaina alla cosca Soriano al prezzo di 37 euro al grammo. Sostanza che, però, si era rivelata di scarsa qualità». Allora Soriano pensa a due possibili soluzioni: o la restituzione di parte dei soldi spesi oppure una fornitura gratuita di 200 grammi di cocaina. «Glielo dici tu magari… che Nazzareno… ha un taglio di merda… sono andato per 700 grammi se l’è pagata a 37 euro contanti… e per di più gli ho detto io… gli ho detto a Pinnularu di prendere i soldi e di ridargli i soldi! Se non vuole ridargli i soldi, gli deve dare almeno 200 grammi di cocaina e chiudiamo in questa maniera…».
Secondo l’inchiesta della Distrettuale antimafia di Catanzaro, Salvatore Ascone “U Pinnularu” sarebbe coinvolto anche in un altro affare di droga, questa volta con in mezzo un gruppo albanese. È qui che entra in gioco Giuseppe Navarra, con l’accordo che, riporta il gip nell’ordinanza «prevedeva che, se lo stesso avesse venduto la sostanza stupefacente consegnatagli a titolo di garanzia, avrebbe trattenuto il guadagno, altrimenti l’avrebbe riconsegnata a Navarra, dietro corresponsione di una somma di denaro». L’intera operazione di importazione e rivendita dall’Albania non andò benissimo per vari motivi. Innanzitutto «due soggetti – scrive il gip – furono arrestati perché trovati in possesso di 20/30 kg di marijuana proveniente proprio dall’Albania». Poi a complicare il tutto è stata anche la scarsa qualità della droga albanese. Ascone aveva ceduto 18 kg della sostanza ricevuta «a un terzo soggetto, il quale, però, a causa della cattiva qualità, aveva deciso di restituirla». Ad Ascone, quindi, restano 27,5 kg di marijuana «in pratica – spiega Mancuso – Navarra gli aveva fatto fare brutta figura».
Il collaboratore di giustizia nel corso del racconto spiega poi che Giuseppe Navarra, a causa del sequestro subito, aveva chiesto a “U Pinnularu” «la restituzione di 20 kg di marijuana, con l’accordo che avrebbe provveduto a pagare il denaro a rate». Navarra però non rispetta i patti e gli impegni presi e Mancuso, visto il ruolo da intermediario e garante dell’intera operazione, si era adirato. «E, dopo i vani tentativi di mettersi in contatto con Giuseppe Navarra – riporta il gip nell’ordinanza – aveva deciso di cercare il fratello, Valerio Navarra, per impartirgli una punizione dimostrativa». Nella vicenda entra anche Peppone Accorinti, concordando la restituzione di 30mila euro «con la richiesta che quest’ultimo restituisse la stupefacente di provenienza albanese» scrive il gip «con la promessa che Mancuso non avrebbe più agito contro i fratelli Navarra».
«Peppone Accorinti – racconta Mancuso – pattuì con me che Giuseppe Navarra doveva darmi 50mila euro più la macchina in garanzia, cosa che poi mi convinsero a modificare perché alla fine della discussione accettai la proposta di prendermi solo i 30mila euro». Accade che Navarra restituisce i soldi ma Mancuso temporeggia sulla droga, e così «Accorinti si reca da Ascone» riporta il gip nell’ordinanza «di sua iniziativa per chiedergli di dargli i 7,5 kg di stupefacente». Episodio che innervosisce Emanuele Mancuso. «Seppi che Peppone si era permesso di andare da Ascone non rispettando l’accordo criminale preso con me» spiega Mancuso. «Nel mondo criminale, se tu hai la mia parola che ti farò consegnare i 7,5 kg rimasti, devi aspettare che ottemperi all’accordo e alla parola data». (g.curcio@corrierecal.it)
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