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l’audizione

Di Matteo: «Al tribunale di Vibo situazione complessa, serve un potenziamento»

Le parole del presidente in Antimafia. «Bisogna dare risposte alla popolazione calabrese e a chi ha subito il potere della ‘Ndrangheta»

Pubblicato il: 07/04/2024 – 8:36
di Francesco Veltri
Di Matteo: «Al tribunale di Vibo situazione complessa, serve un potenziamento»

«Ho assunto le funzioni di presidente da poco meno di un anno. Appena arrivato ho trovato una situazione difficile. Il primo problema derivava dal fatto che i colleghi che svolgono attività da giudici, sia nel civile, sia nel penale, sono tutti di prima nomina e questo complica molto le cose. Quando sono arrivato io mancavano giudici che avessero i requisiti richiesti per lo svolgimento delle funzioni di gip. Questo importante settore dell’attività giudiziaria è stato demandato per molto tempo a colleghi che sono venuti in applicazione e, come tali, hanno fatto quello che hanno potuto perché lavoravano in altri uffici. La stessa cosa ho fatto io perché, quando sono arrivato, c’era soltanto la presidente di sezione che aveva i requisiti necessari e aveva assunto il ruolo di gip, quindi io ho assunto l’altro». Ha esordito così Antonio Erminio Di Matteo, presidente del tribunale di Vibo Valentia nel corso dell’audizione della Commissione parlamentare antimafia svoltasi a fine settembre 2020 a Catanzaro (all’epoca presieduta dal senatore Nicola Morra) e i cui verbali sono ormai desecretati. 
«Ho iniziato a coprire questi due buchi – aveva detto Di Matteo – anche se il gip di Vibo Valentia, come sapete, non è distrettuale (lo è invece quello di Catanzaro) e si occupa dell’ordinario. Questo elemento è un segnale della situazione abbastanza difficile che il tribunale ha vissuto». «Tale situazione – aveva aggiunto – ha riguardato i miei predecessori e i predecessori di tutti i miei attuali colleghi. Me ne sono dovuto occupare come giudice perché mi trovavo a Salerno – dove risiede il giudice competente per questi casi – e talvolta ho anche operato come giudice in Corte d’appello. La situazione complessiva, quindi, era abbastanza difficile. Dopo questa prima fase di svolgimento di attività propriamente giudiziaria, e lasciando da parte quella organizzativa, con la presidente di sezione abbiamo deciso di adottare, di concerto con la Corte d’appello, alcuni provvedimenti in deroga, che sono possibili, per nominare due magistrati che, pur non avendo le funzioni di gip, in determinate condizioni particolari potessero essere designati a coprire l’ufficio. Questo è stato fatto a gennaio, quindi, fino al 20 gennaio, io e la collega Macrì ci siamo occupati dell’ufficio del gip. La situazione dibattimentale è completamente interessata dallo svolgimento di processi di criminalità organizzata. Mentre per quanto concerne il gip si è trattato di coprire un buco mentre i colleghi raggiungevano i requisiti necessari che sono essenzialmente legati al tempo di svolgimento delle funzioni, nel dibattimento la situazione è complessa innanzitutto perché si tratta della sede dove si svolgono tutti i procedimenti che hanno come oggetto fatti di criminalità organizzata nell’area territoriale di competenza del tribunale. Come magari avrete capito anche leggendo la stampa, moltissime indagini sono sfociate in dibattimento, perché chi non adotta i riti alternativi ovviamente viene giudicato. A tale proposito, il tribunale si trova un po’ in ristrettezze ma la preoccupazione non deriva dalla situazione attuale così com’è. Abbiamo infatti due collegi penali che si occupano del dibattimento ma uno di questi si occupa essenzialmente, ma non esclusivamente, di criminalità organizzata mentre l’altro si occupa di criminalità comune e di qualche processo di criminalità organizzata secondo un criterio tabellare che non vi illustro nel dettaglio. Bisogna fare in questo modo per non creare un tribunale esclusivamente di riserva, cosa che non è consentita o che comunque incontrerebbe difficoltà in sede di approvazione».

Il processo “Rinascita Scott”

Di Matteo aveva rivelato di essere molto preoccupato per «l’imminente interessamento della sede del tribunale di Vibo Valentia al processo “Rinascita Scott” che, come sapete – aveva ricordato – è un processo con un numero di imputati nell’ordine di qualche centinaio, di cui non sappiamo ancora quanti saranno giudicati in dibattimento e quanti a Vibo, perché ci sono dei reati di Corte d’assise, anche con delle annesse altre imputazioni quindi non sappiamo ancora la misura esatta, ma sono certo che verremo investiti da questa situazione che necessita, nella migliore delle ipotesi – anche se possiamo ipotizzare che molte persone ricorreranno ai riti alternativi – di un collegio che si occupi a pieno ritmo di questo processo che vede imputati molti detenuti, rispetto ai quali bisogna evitare la scadenza dei termini. Quindi ci sarà un collegio che, perlomeno per un paio di anni, dovrà lavorare esclusivamente su questo. Bisogna tener conto che i collegi che ci sono attualmente svolgono tre udienze a settimana e a fatica riescono a far fronte a quello che è necessario sia per i processi di competenza della Direzione distrettuale antimafia, sia per i processi aventi ad oggetto reati di criminalità cosiddetta comune. Se quindi affrontiamo “Rinascita” con le risorse attuali, uno di questi collegi dovrà occuparsi di questo processo e sull’altro collegio ci sarà una ricaduta ingestibile che comprenderà tutti gli altri processi di criminalità organizzata, quelli di criminalità comune e – non dimentichiamoli – i riti monocratici. Questa è un’area territoriale sulla quale è inutile dilungarsi troppo su quanto sia importante anche l’attenzione sulla criminalità comune, nonché – aggiungo – sulla giustizia civile, perché le persone che non hanno giustizia civile alimentano il potere della criminalità organizzata. Questa è una dinamica che ho avvertito molto direttamente e si percepisce in modo estremamente palpabile, perché ci sono moltissime persone che vogliono avere una decisione, forse non importa nemmeno quale, ma comunque una decisione». «Come vi ho detto – aveva proseguito Di Matteo – la situazione del rito civile è stata pure per lungo tempo abbandonata: tutti i magistrati di prima nomina hanno trovato una situazione difficile, senza capi degli uffici, con intervalli di tempo molto lunghi nei quali non c’è stato il presidente di sezione e vi assicuro che arrivare, in prima nomina, in una situazione di questo tipo, trovando queste criticità, è veramente molto difficile».

L’occasione imperdibile e l’influenza del clan Mancuso

Di Matteo aveva evidenziato nel corso della sua audizione come «l’occasione che si presenta con la vicenda che riguarda “Rinascita Scott” è a mio parere imperdibile, ma non per l’attività giudiziale, per la giurisdizione, in un posto come quello, ma direi proprio per la Calabria, perché è un’occasione nella quale si può, se non ribaltare, rivedere un po’ meglio i rapporti tra la risposta giudiziaria di un territorio e un potere criminale radicato da tempo, consolidato, fatto di famiglie fortissime che hanno un ambito di influenza internazionale, come il clan Mancuso». «Fino ad ora – aveva proseguito – in questo territorio – è inutile dirlo – questo rapporto è stato sbilanciato a nostro sfavore, perché è così. Se non trasformiamo quest’occasione in una possibilità di rilancio, rischiamo di essere travolti da questa situazione, perché, come vi dicevo prima, se bisogna dedicare un collegio penale a questo processo, tutto il resto sarà un disastro. Per questo ci vorrebbe un incremento di personale. Mi rendo conto che è stato appena concesso un aumento di organico, anche a Vibo Valentia, di due unità, ma questa situazione datava da tempo ed è corrispondente a tutto quello che è stato fatto sul territorio nazionale, a quello che è stato fatto nelle procure, perché poi l’incremento dei magistrati nelle procure necessita di un bilanciamento in sede di magistratura giudicante: è inutile che facciamo indagini su indagini, se poi non si svolgono i processi. Il problema, infatti, è legato proprio alla sentenza definitiva rispetto alle situazioni sulle quali si indaga; senza ci fermiamo a metà del percorso. Personalmente auspico da molto tempo una inversione di tendenza anche da questo punto di vista, cioè un riequilibrio. Fino adesso è stato fatto molto in tema di criminalità organizzata dal punto di visto politico: c’è stato un rafforzamento delle forze dell’ordine e anche delle procure della Repubblica; c’è stata la creazione della Direzione distrettuale antimafia, la formazione di culture specialistiche in alcuni casi anche di livello molto elevato, quindi lo sviluppo è tangibile. Quello che manca è la traduzione dell’esperienza investigativa e di indagine nella decisione, per lo meno nel nostro territorio. L’obiettivo, infatti, è la condanna e la conseguente esecuzione della pena. Ci sono processi – aveva spiegato Di Matteo – nei quali, finita la parte cautelare, quasi si perde interesse. Io ho toccato con mano, perché sono andato a presiederlo, un processo di criminalità organizzata con quarantotto imputati e un’ottantina di imputazioni (quindi una situazione non semplice). Tale processo è iniziato nel 2017 in dibattimento. Ha avuto una parte definita in giudizio abbreviato nel 2017 e la sentenza del giudice del rito abbreviato è stata emessa in tempi rapidi, dopo il giudizio, ma è stata depositata soltanto a luglio di quest’anno. Il dibattimento del processo qui a Vibo – parlo dello stesso troncone di chi non ha scelto il rito abbreviato – è in corso dal 2017 e in questo collegio si sono avvicendati talmente tanti giudici che io per capirci qualcosa dovrò faticare parecchio insieme alle due colleghe che sono a latere perché devo fare un lavoro di recupero, per esempio, di tutte le trascrizioni delle intercettazioni. Quando un magistrato istruisce un processo con la consapevolezza che presto andrà via, lascia talvolta situazioni in cui magari ci sono riserve sulla perizia balistica e ancora non si sa se la perizia si deve fare o meno. Quando esiste questo sbilanciamento tra l’attività giudicante e l’attività requirente, questi sono i risultati. Vi chiedo, quindi, in modo accorato, di fare in modo di evitare che il processo “Rinascita Scott” faccia la fine di quello che sto seguendo io, perché se accade questo è finita per tutti.

Gli investimenti delle cosche sulla costa

Su sollecitazione di Morra in merito al processo del 2017, Di Matteo aveva parlato di «processo di estremo interesse perché attiene agli investimenti che le cosche, eprincipalmente la cosca Mancuso, attraverso i loro vari referenti territoriali, hanno sviluppato sulla costa. Le imputazioni sono tutte di questo tipo. Si tratta di reati di tentata estorsione con l’aggravante di mafia ovviamente. Il processo contiene anche altri aspetti interessanti, cioè figure di reato come l’intestazione fittizia dei beni o il voto di scambio di introduzione non proprio remota, quindi è un processo di estremo interesse. È andato a finire un po’ male, se permettete, perché quando arriveremo ad emettere la sentenza sarà tardi. Sono tutti a piede libero. Nella situazione in cui ci troviamo non posso dire nemmeno che è un’emergenza perché non ci sono i detenuti. Tutto questo andrebbe evitato. Se posso, quindi, vorrei avanzare una richiesta. L’aumento di organico di due unità che abbiamo avuto è stato deliberato in tempi in cui non era in atto il processo “Rinascita Scott” (scusate la concretezza) ma è stato fatto prima. Questo processo, però, è particolare e non possiamo affrontarlo con le forze attuali». Di Matteo in quella circostanza aveva ammesso di non vedere di buon occhio l’eventuale trasferimento del procedimento, «anche se soltanto per le necessità derivanti dalle aule. L’udienza preliminare del processo “Rinascita”, ad esempio – aveva detto – si sta svolgendo a Rebibbia e questa, a mio parere, è un’altra cosa che andrebbe evitata, perché a qualunque costo si dovrebbe svolgere qui, nel territorio». «Serve chi vada in udienza e ci stia tutto il giorno – aveva aggiunto poi il presidente del tribunale di Vibo – perché le udienze di questi processi durano giornate intere. Non possiamo, quindi, contare sempre su funzionari giudiziari, che pure – ci tengo a dirlo, perché l’abbiamo riscontato – abbiamo in numero adeguato e di qualità, ma c’è bisogno degli assistenti giudiziari che vadano in udienza. Ci sono appena stati i concorsi e ne sono arrivati molti, ma abbiamo bisogno che queste persone arrivino in forza per recarsi in udienza ed occuparsi degli adempimenti esecutivi».

«Serve un potenziamento»

«Sapete che abbiamo un palazzo di giustizia che è in costruzione da tantissimo tempo – ha ricordato il presidente del tribunale – ma stiamo cercando, con il procuratore, di dare ogni impulso possibile, con l’aiuto anche dell’onorevole Nesci, che ci è venuta ad aiutare anche in conferenza permanente, perché ci sono dei passaggi difficoltosi. La gestione di queste attività, nel nostro ufficio, avviene attraverso lo strumento della conferenza permanente. Quando sono arrivato per la prima volta in conferenza permanente, non c’era nessuno, la conferenza non si teneva da non so quanto tempo. Adesso la conferenza permanente si riunisce ogni mese o al massimo ogni due mesi; con il Covid qualche allentamento lo abbiamo dovuto fare, ma teniamo le riunioni anche se in aule un po’ più grandi, in modo da osservare le distanze». «In sintesi – aveva detto ancora Di Matteo – per quanto riguarda magistrati, personale e luoghi, non posso dire che manchi tutto, però serve un potenziamento: questa occasione va utilizzata. Ve l’ho detto perché una risposta è dovuta alla popolazione calabrese e alle persone che hanno subito il potere della criminalità organizzata. Non possiamo rischiare di rovinare il lavoro svolto e ci rendiamo conto che stiamo correndo rischi concreti».

Il brutto passato di Vibo nel mondo giudiziario

Di Matteo aveva sottolineato come il territorio di Vibo Valentia venisse «da esperienze molto negative e da un brutto passato nel mondo giudiziario. Non mi permetto di giudicare nessuno e non voglio censurare nessuno. Chi è stato qui si è trovato in situazioni difficilissime, come vi ho già detto, ma certamente ci sono state esperienze negative e in alcuni casi oscure. Ho tenuto processi penali per magistrati alla Corte d’appello di Salerno, che era il foro competente. Quindi, quando io e il presidente di sezione siamo arrivati e ci siamo conosciuti, sapevamo quello che avremmo trovato. La prima cosa che ci siamo detti è che non potevamo permetterci di sbagliare. Questo è un messaggio che lancio un po’ a tutti: non si può più sbagliare perché è finita. Non possiamo portare un risultato negativo un’altra volta, anche se poi sono sicuro di non incorrere in errori gravi, perché mi sono dovuto occupare di situazioni davvero macroscopiche – vi ripeto – dalle quali non solo io ma tutti i colleghi che attualmente lavorano sul territorio sono assolutamente lontani. Non si tratta di questo, ma a noi piacerebbe portare a casa un risultato serio. L’occasione è importante ma non è personale, non aspiriamo a nessuna medaglia. Noi dobbiamo dare una risposta alla gente, questo è il senso del discorso. La mattina mi trovo a ricevere persone che vogliono parlarmi di cause in corso e, quando non ho udienza, lo faccio volentieri. Io cerco di rintracciarle ma siamo pieni. C’è una processione di persone, perché non è facile recuperare i danni che si fanno nel giro di qualche anno. A fare danni ci vuole poco, per rimediare ci vuole tanto».

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