ROMA «Auspichiamo per il futuro il recupero del ruolo di garanzia del vicepresidente del Csm (Fabio Pinelli, in foto ndr), insieme al giusto rispetto per i magistrati che svolgono il loro servizio in territori come quello calabrese, che in prima linea, con i loro sacrifici e la loro determinazione, si pongono a presidio della legalità, un presidio che a volte dura una vita intera e che rappresenta, questo sì, una garanzia, non un rischio di condizionamento». Lo scrive in un documento l’Esecutivo di Magistratura Democratica, dopo la decisione del plenum di ieri sulla nomina del nuovo presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria, per la quale è stato «decisivo» il voto del vicepresidente del Csm: «Dopo la procura di Firenze e la presidenza della Corte d’appello di Catanzaro, nuovamente il vicepresidente – afferma Md – recede dal suo essenziale ruolo di garanzia, incidendo in modo decisivo sugli esiti delle nomine, con preferenze che si allineano sempre a quelle dei consiglieri laici espressi dalla maggioranza parlamentare. Dopo lo scandalo del 2019, quale Consiglio Superiore contribuisce a costruire questa prassi del vicepresidente? La magistratura deve rivendicare con fermezza un esercizio della discrezionalità consiliare basato su regole chiare e trasparenti, riscontrate dalla motivazione, non orientato dalle maggioranze e dalle appartenenze, o dalle interferenze politiche». Magistratura democratica ricorda quindi che «andiamo verso un congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati dedicato ad una discussione sull’imparzialità, nel corso della quale da parte di alcuni si proverà a sostenere la tesi per cui il magistrato che esprime le sue opinioni nel dibattito pubblico non appare imparziale, ma potenzialmente ideologizzato e coinvolto nel perseguimento di un disegno politico. L’attualità – conclude il documento – ci dimostra che il rischio dell’interferenza della politica arriva da tutt’altra direzione, segnatamente in questo caso da una figura che dovrebbe essere di garanzia».
Sulla vicenda sono intervenuti anche i consiglieri di AreaDg Maria Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello. «Dedicare una vita professionale a lavorare in territorio di mafia – scrivono in una nota – è di ostacolo al conferimento di una funzione direttiva in quel territorio? Ieri in Plenum, per la presidenza della corte d’appello di Reggio Calabria, il vicepresidente del Csm ha espresso il proprio voto, ancora una volta decisivo, per Caterina Chiaravalloti, preferendola a Olga Tarzia, che lavora e ha sempre lavorato in quel distretto. Tra gli argomenti spesi nella sua dichiarazione di voto, ha sottolineato i rischi di interferenze nell’esercizio delle funzioni che possono derivare dal radicamento in territori di criminalità organizzata. Lavorare in terra di mafia non può esporre a un tale generico, quanto ingeneroso pregiudizio. Siamo anzi convinti che i sacrifici personali e professionali dei colleghi che operano in quelle realtà meritino la massima riconoscenza di tutti».
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