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Dal modello pedagogico di don Milani alla cultura come «strumento di trasformazione sociale»

Incontro al liceo scientifico di San Giovanni in Fiore. Intervista al professore Iaquinta: «La scuola può portare equità, giustizia, pace»

Pubblicato il: 31/05/2024 – 8:01
di Emiliano Morrone
Dal modello pedagogico di don Milani alla cultura come «strumento di trasformazione sociale»

Don Lorenzo Milani e la sua pedagogia sugli ultimi. L’eguaglianza come presupposto della libertà. La Costituzione quale sintesi, riflesso e usbergo della storia democratica dell’Italia. Di questi argomenti si è discusso lo scorso 28 maggio nell’auditorium del liceo scientifico di San Giovanni in Fiore, con gli interventi del parroco don Antonio Acri; di Giovanni Iaquinta, professore di Letteratura italiana nella stessa scuola; di Giancarlo Costabile, professore di Pedagogia dell’antimafia nell’Università della Calabria; di monsignor Giovanni Checchinato, arcivescovo di Cosenza-Bisignano. Salvatore Cocchiero, vicesindaco della città silana, ha portato i saluti istituzionali a nome della sindaca, Rosaria Succurro.

L’evento

L’iniziativa è stata molto partecipata dai liceali dello Scientifico, che hanno rivolto una sfilza di domande ai relatori: sulla proponibilità nell’era dell’Intelligenza artificiale del modello pedagogico di don Milani; sul ruolo emancipatore della scuola; sulla cultura come strumento di trasformazione sociale; sulla capacità di resistere ai tentativi di annullamento personale, cioè di muoversi «in direzione ostinata e contraria» – per dirla con De Andrè – rispetto alle masse omologate e al pensiero unico imposto dal capitalismo digitale. A sua volta, Costabile – che, peraltro, sul Corriere della Calabria cura e conduce “Lettera R”, rubrica video di raro approfondimento pedagogico – ha posto ai ragazzi diverse questioni, attuando una modalità di insegnamento alla don Milani e aprendo il campo a ulteriori riflessioni sull’etica individuale, sul senso della collettività, sul valore della giustizia sociale, sul coraggio di intervenire – anche quando scomodo – per difendere la dignità e la libertà dei più deboli.
Monsignor Checchinato ha spiegato insieme al professore Costabile il percorso e il pensiero di don Milani e ha poi accennato al disegno di legge sull’autonomia differenziata, precisando che le parrocchie della diocesi di Cosenza sono attivamente impegnate per sensibilizzare i cristiani in merito alle diseguaglianze che, a suo avviso, l’articolato produrrebbe nelle regioni del Mezzogiorno. Non è usuale assistere a incontri così intensi per richiami teorici e storici, attualità degli argomenti e pathos civile. Ma in questa scuola di periferia succede spesso. Perciò ne abbiamo approfittato per intervistare Iaquinta, che conosciamo da tempo e cui diamo perciò del Tu.

Professore, qual è il contesto urbanistico, sociale e culturale in cui si trova la scuola in cui insegni?

«In una realtà strutturalmente periferica ma viva e completamente integrata nel tessuto cittadino, nel senso che è parte integrante di ogni ragionamento che parli di cultura, che guardi alle dinamiche sociali, a un processo di interazione con il territorio e che, soprattutto, ruoti intorno all’esaltazione di tutto ciò che afferisce al patrimonio storico, architettonico e culturale presente nella città di San Giovanni in Fiore e nel territorio, a partire da un chiaro riferimento e da una chiara declinazione verso l’universo giovanile».

Chi era don Lorenzo Milani?

«Anzitutto un prete con la dote non comune di portare il suo apostolato cattolico, sociale, culturale in mezzo alla società, facendo passare l’idea e il messaggio che essere al servizio di Cristo significhi marcare e praticare la militanza nella gente, tra la gente, per la gente, con lo sguardo privilegiato rivolto sempre ai giovani. Il suo magistero educativo trova sintesi nella proposta di una scuola giovane-centrica, se non è un abuso l’espressione, nel senso di un universo sociale proiettato verso i giovani, che devono considerare come risorsa imprescindibile – per l’affrancamento sociale, intellettuale, familiare – ogni discorso sulla scuola, da intendere e vivere quale potentissimo strumento per cambiare le coscienze e i rapporti di forza, gli equilibri del momento».

Che cosa ha trasmesso don Milani alla scuola?

«La scuola, mi piace sottolineare, è rivolta all’insegnamento, parola che deriva dall’espressione latina in signo, cioè nel segno, lasciando segni, incidendo con segni in personalità da plasmare, in formazione. Ecco, se si parte da questo elemento, don Milani ha esaltato la missione di centrare l’atteso obiettivo, di praticare l’educazione dal basso guardando sempre agli ultimi e ai diseredati, cercando ogni volta di sviluppare un ragionamento e un modello pedagogico in grado di rendere più vicine situazioni e posizioni delle persone più diverse. Don Lorenzo Milan ci ha insegnato che la scuola può portare equità, giustizia, pace. E può far diventare la vita e l’umanità un po’ più giuste».

Sempre a proposito di don Milani, che senso ha oggi, ricordare la sua lettura del principio costituzionale di eguaglianza?

«Ha senso per chi pensa che la nostra Carta costituzionale sia assolutamente attuale, presente, viva. Ha senso per chi ritiene che la Costituzione sia stata introdotta come un manifesto di civiltà giuridica e di civiltà tout court. Tra l’altro, il testo costituzionale è in perfetta sintonia con il pensiero di don Milani e di altre figure illustri, non soltanto della Chiesa. Basti guardare ai primi 12 articoli – i pilastri, i princìpi fondamentali – in cui si parla di dignità, di diritti umani, di pari possibilità, di lavoro, di cultura, del significato di battersi perché un Paese non veda altri strumenti che quelli della pace e della mediazione per risolvere i conflitti internazionali. E in questo momento ci sono guerre in atto che sono sempre più atroci e preoccupanti».

Quindi?

«In sintesi, il pensiero di don Milani e quello che promana dalla nostra Costituzione si incrociano, sono sulla stessa lunghezza d’onda: entrambi attualissimi; entrambi rivolti con uno sguardo lontanissimo verso il futuro; entrambi in grado, ancora oggi, di far riflettere e scuotere le coscienze, per sostenere il cambiamento e farci battere, ogni giorno, nella nostra attività professionale, pubblica e privata».

Ha fatto un certo effetto vedere monsignor Checchinato discutere, anche con molta semplicità, con i ragazzi, testimoniare in concreto il messaggio cristiano di don Milani. Sono scene non molto comuni, nell’era della fretta e dei consumi.

«L’arcivescovo è un uomo straordinario, che sta portando avanti la propria missione nel miglior modo possibile; sempre tra la gente e, come fece don Milani, facendo opera di militanza giusta, coraggiosa e intelligente. Questo perché la Chiesa non può vivere nell’iperuranio né essere di apparato, forme, potere. La Chiesa è quella che ci viene fuori come immagine bellissima dal Vangelo: è servizio, è pratica della fede e della carità. Ed è spingere con continuità verso la ricerca di maggiore equilibrio sociale e di giustizia, senza mai dimenticare gli ultimi. Monsignor Checchinato, sin dall’inizio del suo insediamento nella diocesi di Cosenza-Bisignano, ha guardato a tutto questo e, non a caso, la sua presenza ha persino dato fastidio in alcuni contesti. Mi riferisco, per esempio, ai suoi moniti riguardo al disegno di legge sull’autonomia differenziata, che oggettivamente aumenterebbe i divari tra Sud e Nord».

A proposito dell’autonomia differenziata, a scuola come state affrontando e vivendo la questione?

«Nel merito preferisco non parlare in qualità di docente ma da libero cittadino. Credo che sia una proposta sbagliata, nata male, pensata male e portata avanti ancora peggio. Dobbiamo spingere affinché ci sia un impegno trasversale forte, in modo che questo disegno di legge sia restituito al mittente. Già il Sud, ce lo dicono i dati, non è messo bene. Pensiamo, giusto per dare dei riferimenti, allo spopolamento delle aree interne, alla fortissima emorragia di giovani negli ultimi anni, alla disparità esistenti di strutture e di servizi. L’autonomia differenziata renderebbe il Sud distante anni luce dal Nord. Per rendersene conto, basta condurre uno studio anche minimo e attento sulle cifre e sulla dimensione statistica. La Lombardia ha dieci milioni di abitanti, due volte la popolazione della Finlandia. La Calabria, invece, di fatto non arriva a un milione e mezzo di abitanti, se andiamo oltre il dato della residenza, e, su 400 e passa Comuni, almeno 200 sono in condizioni di desertificazione completa».

Il compianto Michele Borrelli, filosofo e professore di Pedagogia generale nell’Università della Calabria, ripeteva che la scuola non può né deve essere neutrale. Qual è la tua opinione?

«La scuola di cui parlava il professore Borrelli, figura che ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere, è una scuola chiamata a formare menti pensanti, pensiero critico, autonomia intellettuale. Altra cosa è fare politica nelle aule scolastiche. Ecco, questo non andrebbe bene: a scuola si deve invece parlare dei temi della vita e della società, anche di quelli più attuali, ma cercando di conoscere a fondo ogni aspetto e discutendone in maniera critica e non di parte. Io credo che un bravo docente oggi debba esaltare l’esercizio critico dei ragazzi, debba spingere alla cittadinanza attiva e all’autonomia di pensiero, a costruirlo in modo originale, insieme alla capacità di discernimento autonomo».

A proposito di profondità, oggi, secondo don Luigi Ciotti, domina «un pensiero troppo superficiale, il sentito dire». È più difficile insegnare, rispetto al passato?

«Con grandi sforzi da parte di tutti e sotto la guida del dirigente scolastico, Angela Audia, noi cerchiamo di abituare gli studenti al ragionamento, al confronto, alla libertà e alla profondità. D’altra parte, non bisogna credere o affermare che i giovani di oggi siano meno capaci e meno bravi di quelli del passato. È solo che vanno orientati a esprimere le proprie potenzialità, i loro talenti. Con gli studenti noi lavoriamo su tematiche di primo piano, a partire dalla legalità e dalla lotta alle mafie. Un bravo docente, aggiungo, ha una missione: inculcare nella testa dei ragazzi che sono migliori di quelli di prima».

Cioè?

«Sono loro, i giovani dell’era digitale, che hanno sofisticati strumenti, grandi conoscenze e un’elasticità mentale senza precedenti, che possono prendere in mano la società e portarla realmente nel terzo millennio. I numeri e la tecnologia disponibile ci indicano l’abbiamo già raggiunto, ma nella sostanza siamo per certi versi rimasti alle dinamiche intellettuali e alle disquisizioni tipicamente novecentesche. Mi riferisco, per esempio, alle matrici, storico-culturali, ai partiti e alla politica, che ancora presentano un retaggio novecentesco che dovrebbe essere superato a vantaggio di un discorso diverso, il più possibile vicino ai nostri giovani».

Il professore Giancarlo Costabile ha fatto detto che la pedagogia del liberismo insegna a dare importanza, valore, alla capacità di produrre reddito. È per questo motivo che Chiara Ferragni e Fedez erano cercati per le cause pubbliche e considerati portatori di luce, di verità?

«Penso proprio di sì. Tuttavia, anche quelle azioni battezzate come “ferragnate” – il neologismo è di un mio giovane studente – sono ormai superate, dal punto di vista etico, dal punto di vista morale, dal punto di vista della profonda responsabilizzazione delle coscienze giovanili. La formazione critica dei ragazzi spesso è autoformazione critica. Mi piace molto esaltare questo aspetto. Dunque, in merito alle lungimiranti esortazioni del professore Costabile, a scuola nostra c’è stato un consenso perfino inaspettato dei ragazzi. Significa che sanno distinguere, capire e agire, se educati e formati strutturalmente a coltivare autonomia».

Monsignor Checchinato ha ricordato che un tempo l’operaio aveva un vocabolario di 100 parole e il padrone un altro di mille, invece, per significare che vince la sfida chi riesce a capire e a esprimersi meglio. Di recente, poi, monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei, ha contestato, in una sua lettera aperta, la semplificazione del discorso pubblico, l’involgarimento del discorso politico, spesso diretto alla pancia, all’istinto delle persone. Che cosa si può fare, a partire dalla scuola, per invogliare i giovani a riappropriarsi di parole come “speranza”, come “futuro”, “progetto” “vita” eccetera?

«L’uso consapevole delle parole è condizione indispensabile per affrontare qualunque tipo di percorso sociale e culturale. Ritorniamo al discorso di don Milani, il quale avverte che la conoscenza delle parole ci protegge rispetto ai colpi che nella vita si possono prendere. Le parole servono per interpretare fatti, contesti, situazioni; per capire che cosa ci passa intorno e cosa ci accada; per interloquire con le persone stesse. Se non si conoscono le parole, già siamo ridimensionati come persone. A questo si aggiunga che le parole e il linguaggio sono fondamentali per affrontare le sfide professionali, ormai sempre più complesse».

E allora?

«Poi ci sono le parole che provengono dal mondo della Chiesa, “speranza”, “carità”, “fede”, insieme a parole come “futuro”, “clima”, “transizione ecologica”, “digitale”, “rivoluzione digitale” e tutte le altre parole che occorrono per parlare di una nuova Europa e per trasmettere e acquisire le competenze essenziali per una forte cittadinanza attiva. Ci sono delle parole chiave, in sostanza, che ognuno di noi deve metabolizzare e che un giovane deve assolutamente introiettare dentro perché siano la stella polare per ogni ragionamento e ogni percorso che dovessero intraprendere privatamente e pubblicamente, soprattutto, dietro la spinta della passione civile».

Quali sono i prossimi appuntamenti culturali e socio-culturali che avete in programma a scuola?

«Stiamo per presentare in pubblico, nell’ambito del Pnrr, un nostro progetto che va proprio nella direzione delle esigenze giovanili: montaggio video, podcast, utilizzo di tecnologie per produrre contenuti informativi e formativi. Siamo passati dalle parole ai fatti, dotando la scuola di un corredo di strumenti per imparare le nuove professioni legate al mondo della comunicazione corrente. Siamo contenti. Devo però dire che la scuola è molta parte dell’esperienza giovanile, ma non è tutto. Non dimentichiamo, infatti, gli affetti, gli amori, i sentimenti, la vita che si muove fuoridal perimetro scolastico. Abbiamo grandi ambizioni e credo che il prossimo anno tutti i nostri licei saranno protagonisti. Continueremo a lavorare sul fronte della formazione e dell’esperienza concreta, accogliendo le iniziative e le sollecitazioni provenienti dalle istituzioni, rispetto alle quali ci porremo, come sempre, in sintonia, senza distinguo, pregiudizi e retaggi ormai datati».

Rendere centrali le periferie è possibile, lo dimostra l’apertura al territorio della scuola in cui insegna Iaquinta, che per l’intero anno ospita grandi personalità e dibattiti fecondi, soprattutto per le nuove generazioni. (redazione@corrierecal.it)

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