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Avvocato e assistito intercettati. Chiesta la censura di due ex dirigenti della Squadra Mobile di Cosenza

La Camera Penale di Cosenza solleva la questione che coinvolge l’avvocato Gianpiero Calabrese. Chiesti «opportuni» provvedimenti

Pubblicato il: 17/06/2024 – 7:00
Avvocato e assistito intercettati. Chiesta la censura di due ex dirigenti della Squadra Mobile di Cosenza

COSENZA Una intercettazione tra un avvocato cosentino e il suo assistito finisce nel folto faldone dell’inchiesta “Recovery“, coordinata dalla Dda di Catanzaro contro il narcotraffico a Cosenza. La Camera Penale di Cosenza, con un comunicato, cita l’episodio ed esprime solidarietà al legale.

La nota della Camera Penale

«L’intercettazione tra avvocato e assistito: un fatto indegno di un Paese democratico L’atavico vizio di certa magistratura inquirente: intercettare e utilizzare in procedimenti penali le conversazioni tra l’avvocato e il proprio assistito. L’ultimo caso ci è stato segnalato dall’avvocato Gianpiero Calabrese, che, negli atti di un determinato procedimento, ha letto le trascrizioni di sessioni professionali da egli intrattenute con un proprio assistito ed eccentricamente commentate dalla polizia giudiziaria. L’avvocato Calabrese ha rivolto agli Uffici di Procura generale e distrettuale nonché al Capo della Polizia la formale richiesta di censura; al conseguente procedimento amministrativo è, dunque, rimessa ogni valutazione di merito. Ma non possiamo restare in silenzio. Va detto e denunciato, a gran voce, che l’ascolto di una conversazione tra avvocato e assistito è un fatto indegno di un Paese democratico. La legge prevede l’inutilizzabilità di siffatti ascolti e – nonostante la giurisprudenza ne abbia stabilito una possibilità condizionata – la magistratura dovrebbe essere unanimemente refrattaria alla regola del “prima ascolto e poi vedo”. Il problema è tutto culturale e deriva da una distorta quanto ignorante concezione della Toga che ancora oggi sopravvive in alcuni ambiti giudiziari e che tenta di fare apparire socialmente l’Avvocatura come complice del delitto anziché tutore e custode del diritto. Tutto questo è intollerabile! La magistratura e la polizia giudiziaria devono tenere, sempre, ben presente che le prerogative del difensore – se non possono tradursi in garanzia di immunità – non devono essere trasformate in fonte di sospetto dell’Avvocatura, perché la cultura della giurisdizione non appartiene solo a pubblici ministeri e giudici, ma è, per Costituzione, l’essenza della cultura liberale dell’Avvocatura.
Solidarietà incondizionata alla Toga dell’avvocato Gianpiero Calabrese».

La missiva dell’avvocato Calabrese

L’avvocato Gianpiero Calabrese scrive una missiva diretta al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, al Capo della Polizia e al procuratore della Repubblica di Catanzaro. Nella lettera, l’oggetto è la richiesta di censura nei confronti del dott. Fabio Catalano e dott. Angelo Paduano, già dirigenti della Squadra Mobile presso la Questura di Cosenza. «Il 6 giugno 2024 alcuni colleghi mi avvertivano che durante la lettura degli atti contenuti nel fascicolo della Procura della Repubblica di Catanzaro (operazione Recovery) avevano potuto constatare la presenza di un sottofascicolo al cui interno vi
erano annotazioni di P.G. che riguardavano miei assistiti e la mia persona. I colleghi mi informavano della gravità di alcuni commenti riportati sulle annotazioni redatte dai (allora) due funzionari della Polizia di Stato, già dirigenti della Squadra Mobile della Questura di Cosenza. Sorpreso e sbalordito soprattutto perché tali “commenti” provenivano da due dirigenti della Squadra Mobile della Questura di Cosenza ed attesa la grandissima fiducia ed ammirazione che nutro per codesta amministrazione non immaginavo e ritenevo possibile quanto riferitomi». Questo l’incipit della missiva. Il legale prosegue. «Svolgo la professione di avvocato da oltre 26 anni, e che mai una cosa del genere mi era capitata, anzi nel passato (ultima operazione Rango/Zingari) dagli atti d’indagine di proc. pen. era emerso come il sottoscritto Avvocato fosse stato “attenzionato” da un determinato pregiudicato per non essersi adeguato ad alcune richieste pregiudizievoli per il proprio assistito».

I commenti alle intercettazioni

Il legale poi si sofferma sul commento alla nota sull’intercettazione telefonica oggetto di discussione. «Non so dove il dott. Catalano rinvenga nella intercettazione tra il sottoscritto ed i suoi assistiti un comportamento o consigli “evidentemente contrario alla deontologia forense” (…) Non si comprende, dall’intercettazione, dove e come si sarebbe posto un simile comportamento “scorretto deontologicamente”, sempre che non si proceda ad una sua “lettura” distorta e con pregiudizio». Da quanto scrive l’avvocato, Paduano così come Catalano avrebbe sottolineato «il tono amicale» della conversazione tra il legale ed il suo assistito. «P.M. contattava il Calabrese all’unico scopo di ottenere nuovamente consigli, sempre sotto il profilo amicale, in ordine al miglior comportamento da adottare in futuro … il Calabrese suggeriva al P. alcune risposte, evidentemente mendaci …». Questa l’annotazione di Paduano riportata nella missiva a firma dell’avvocato Calabrese. Che risponde sostenendo che quanto annotato «non corrisponde al vero atteso che nessun suggerimento di risposte mendaci venivano date al P.M., ma solo considerazioni, domande, ed ipotesi legittime». Ed ancora, «il sottoscritto diceva all’assistito, P.M. qualora fosse stato ascoltato dalla Polizia, di dire la verità solo la verita: “ dici la verità”». Per questi motivi, l’avvocato chiede «di prendere ed emettere gli opportuni e necessari provvedimenti censori». (f.b.)

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