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Autonomia differenziata, ecco cosa prevede la legge. E cosa rischiano la Calabria e il Sud

Il testo approvato alla Camera. Tra le incognite l’impatto sui territori con minore capacità di spesa come il nostro e le risorse (che non ci sono)

Pubblicato il: 19/06/2024 – 12:03
Autonomia differenziata, ecco cosa prevede la legge. E cosa rischiano la Calabria e il Sud

CATANZARO L’Aula della Camera ha dunque approvato, in via definitiva, il disegno di legge recante disposizioni per l’attuazione dell’Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Il provvedimento, di iniziativa governativa, presentato dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, e già licenziato dal Senato lo scorso gennaio, è composto da undici articoli e si propone di definire i criteri generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia per la modifica e per la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese tra lo Stato ed una Regione. Il testo richiama il rispetto dell’unità nazionale e dei principi di unità giuridica ed economica e di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, e l’attuazione del principio di decentramento amministrativo, disponendo che l’attribuzione di funzioni in materia, riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, i cosiddetti Lep. Livelli che vengono definiti come il nucleo delle prestazioni che devono essere erogate su tutto il territorio nazionale. Si stabilisce che sia la Regione a deliberare la richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia. Tale richiesta è trasmessa al presidente del Consiglio ed al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, al quale spetta il compito di avviare il negoziato con la Regione interessata. Prima dell’avvio del negoziato, il governo informa dell’iniziativa il Parlamento e la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni. Si dispone che il presidente del Consiglio dei ministri possa limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie. Lo schema d’intesa preliminare viene trasmesso alla Conferenza unificata, per l’espressione del parere, da dare entro 60 giorni. Dopo che la Conferenza unificata ha reso il parere, lo schema d’intesa preliminare e’ immediatamente trasmesso alle Camere, che si esprimono al riguardo con atti di indirizzo. Valutato il parere della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo resi dagli organi parlamentari, il presidente del Consiglio predispone lo schema d’intesa definitivo. Tale schema è trasmesso alla Regione interessata, che lo approva. Entro 45 giorni dalla comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, il Consiglio dei ministri delibera lo schema d’intesa definitivo. L’intesa è, infine, sottoscritta dal presidente del Consiglio dei ministri e dal presidente della Giunta regionale.

Le procedure per i Lep

Vengono, inoltre, delineate le procedure per la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni e si delega l’esecutivo ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, uno o più decreti legislativi per l’individuazione dei Lep. Si specifica, poi, quali sono le materie suscettibili di attribuzione alle Regioni, in riferimento alle quali i decreti legislativi provvederanno alla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Toccherà sempre ai decreti legislativi l’indicazione delle procedure per il monitoraggio dell’effettiva garanzia, in ciascuna Regione, dell’erogazione dei Livelli essenziali delle prestazioni che devono essere offerte in condizioni di efficienza nell’uso delle risorse. Il testo sancisce che i Lep possano essere periodicamente aggiornati, anche al fine di tenere conto della necessità di adeguamenti dovuti al mutamento del contesto socioeconomico o dell’evoluzione della tecnologia. I costi ed i fabbisogni standard sono determinati ed aggiornati, con cadenza almeno triennale, con decreto del presidente del Consiglio. L’articolo 4 disciplina il trasferimento delle funzioni attinenti a materie o ad ambiti di materie riferibili ai Livelli essenziali delle prestazioni, stabilendo che a tale trasferimento si può procedere soltanto successivamente alla determinazione dei medesimi Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard.  Qualora dalla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni dovessero derivare maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni soltanto dopo lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie. Risorse volte ad assicurare i medesimi Livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese. Intese che dovranno essere di un periodo non superiore ai dieci anni e che potranno essere modificate, su iniziativa dello Stato o della Regione interessata, anche sulla base di atti di indirizzo adottati dalle Camere. Ed ancora, si garantisce l’invarianza della proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, nonché la perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Grazie alla commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali, lo Stato potrà garantire una verifica annuale degli oneri finanziari proprio per garantire l’esercizio delle funzioni ed eventualmente prevedere una nuova allocazione delle risorse.

Cosa cambia per le Regioni

Esposto il testo del Ddl, ecco alcune considerazioni, soprattutto sul rischio che corrono territori come la Calabria. Le Regioni avranno delle competenze in più rispetto alla situazione attuale, sulla base delle intese concordate con lo Stato. Secondo gli oppositori della riforma, le Regioni con maggiore capacità di spesa – e tra queste ovviamente non c’è la Calabria – saranno avvantaggiate, e questo genererà maggiori disuguaglianze nel Paese, con differenze sostanziali anche tra le aree con maggiore concentrazione urbana e le aree interne e montane. Il rischio, secondo il Pd, è che «cristallizzando le diseguaglianze si rendono le aree oggi più deboli, sul piano economico, ancora più deboli».  Secondo la maggioranza di centrodestra questo è falso, perché i diritti essenziali saranno comunque garantiti. Ma i dubbi restano tutti, francamente.

Cosa sono i Lep

Per assicurare che non vi siano differenze sostanziali tra le Regioni nell’erogazione di servizi e prestazioni, dunque la legge prevede che lo Stato, prima di concedere le funzioni autonome, definisca i Lep, i “Livelli essenziali delle prestazioni”, cioè il livello minimo di servizi da assicurare al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le Regioni che scelgono l’autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno di legge prevede meccanismi perequativi. Si dispone che anche alle Regioni che non chiedono il trasferimento delle competenze siano trasferite risorse pari a quelle delle Regioni che invece lo richiedono. Questo però deve avvenire “coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”. In pratica, dicono gli oppositori della riforma, si tratta di una clausola di “invarianza di spesa”, che mostra come nel Ddl non vi siano garanzie economiche tali da evitare che la riforma “spacchi” il Paese creando 20 Stati alcuni dei quali – quelli del Sud come la Calabria, fondamentalmente – più “staterelli” che altro. La norma sui Lep, insomma, rischia di essere inattuabile perché per assicurare le stesse risorse a tutte le Regioni, e ridurre i divari tra i territori, serviranno molte risorse. Tra i dubbi più grandi sul percorso i critici segnalano il fatto che la definizione dei Lep è rinviata a fine anno e manca completamente il loro finanziamento. (c. a.)

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