ROMA Una presenza registrata già negli anni ’80, la capacità di infiltrarsi nell’economia, soprattutto quella legata alle cave di porfido, e poi «collegamenti istituzionali» e persino «l’appoggio di una stazione dei carabinieri». E’ questa la ‘ndrangheta in Trentino tratteggiata dal procuratore di Trento Sandro Raimondi un una recente audizione in Commissione parlamentare antimafia, della quale il Corriere della Calabria si è già occupato in sintesi: un fenomeno, quello dell’insediamento ‘ndranghetistico, al momento circoscritto – dopo le condanne nell’inchiesta “Perfido” – «ma stiamo continuando le nostre indagini» e «vedremo l’ulteriore sviluppo», spiega Raimondi. Che ai commissari dell’Antimafia non parla del Trentino come di un’”isola felice”, citando le parole di un capoclan: “Che pacchia qui in Trentino, non si accorgono di niente. Possiamo fare quello che vogliamo”…
«Il problema della criminalità organizzata in un territorio apparentemente franco, come il Trentino e, aggiungo, l’Alto Adige – esordisce Raimondi in Commissione antimafia – era un falso problema, nel senso che quando io arrivai a Trento, nel 2018, mi resi conto che c’era qualcosa che non andava. Mi resi conto che c’era qualcosa che non andava non tanto perché fossi bravo, ma perché avevo esperienze lavorative molto calzanti. Avevo lavorato ventinove anni a Milano e otto anni a Brescia, dove avevo diretto per sei anni la Direzione distrettuale antimafia. Quindi, quando si ha qualche esperienza precedente si vede subito che c’è qualcosa che non può essere tollerato. C’era un fascicolo aperto sullo sviluppo di una ‘ndrina locale collegata alle ‘ndrine di Cardeto. Cercai di approfondire questi aspetti. Portammo a risultato l’indagine che le fonti di stampa hanno chiamato “indagine Perfido” relativa alle cave di porfido. Abbiamo accertato la presenza, fin dagli anni Ottanta, di personaggi collegati a famiglie molto importanti della Calabria, come le famiglie Serraino e Iamonte, i capi area della zona di Cardeto e di altre località. Delineammo tutte le figure professionali – per modo di dire – con tutte le mansioni che questi signori avevano svolto nell’ambito della gestione imprenditoriale dello sfruttamento delle cave di porfido. Posso dire che le indagini vennero anche collegate e coordinate con la procura di Reggio Calabria e che procedemmo, nel settembre 2020, al fermo da parte dei colleghi di Reggio e agli arresti, a un’esecuzione di ordinanza di custodia cautelare da parte di Trento, in contemporanea, dove addirittura i colleghi di Reggio arrestarono il capo della ‘ndrina del loro territorio… Abbiamo anche –spiega il procuratore di Trento – un collegamento con alcuni politici locali che hanno accettato un voto di scambio, con collegamenti tra un ex onorevole e alcuni che hanno avuto poi delle cariche all’interno del comune di Lona Lases, che poi venne commissariato, e di altri sempre nella zona del porfido. Il nostro impegno è stato quello di isolare questa componente ‘ndranghetistica, quindi di rinviare a giudizio un primo troncone, le persone sottoposte a ordinanza custodiale, e, successivamente, anche persone a piede libero. Per cui, da un punto di vista processuale, noi abbiamo già delle condanne, addirittura passate in giudicato, nei confronti di alcuni soggetti, proprio per scelte processuali diverse, riti abbreviati piuttosto che stralci di posizione. Il sodalizio criminale aveva anche l’appoggio di una stazione di carabinieri, che possiamo dire fosse a libro paga o diretta… Posso anche dire – prosegue Raimondi – che questa sottomissione da parte di alcuni carabinieri dell’Arma venne subito individuata grazie a delle intercettazioni e grazie anche a delle attività informative. Posso anche dire che subito vennero trasferiti, prima ancora di aspettare il rinvio a giudizio, di concerto con il comando provinciale e regionale del Trentino e del Trentino-Alto Adige. Quello che appare in tutta la sua evidenza è l’insediamento imprenditoriale».
«Noi abbiamo spesso un’immagine legata al passato di quella che può essere la figura giornalistica dell’appartenente a un’associazione di criminalità organizzata di stampo mafioso», sostiene ancora il procuratore di Trento. «Oggi – aggiunge – non è così. Oggi le persone sono imprenditori, prestati anche a collegamenti istituzionali, che addirittura sono stati eletti come assessori nel comune di Lona Lases, proprio allo sfruttamento delle cave di porfido. Questo aspetto ormai è circoscritto. Altri insediamenti di natura ‘ndranghetistica legati a un settore commerciale non ne abbiamo avuti. Ovviamente – rimarca Raimondi – stiamo continuando le nostre indagini, anche in coordinamento con altre procure, con altri distrettuali e con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. Sono indagini nate da poco. Vedremo l’ulteriore sviluppo. Non abbiamo elementi sicuri per poter fare una relazione su questo, magari l’anno prossimo sì, come mi auguro». Il problema resta la percezione del rischio: «La mia sorpresa – aggiunge Raimondi – fu quella di constatare che la cittadinanza non era consapevole di questo. Leggendo poi le migliaia di intercettazioni che abbiamo fatto, addirittura ce n’era una dove uno dei capi diceva al suo braccio destro “che pacchia qui in Trentino, non si accorgono di niente. Possiamo fare quello che vogliamo”. Tanto è vero che poi, per fortuna, soltanto in due episodi, per comuni di ridottissime dimensioni, ci fu questo accordo con dei politici locali, che venne proprio, secondo me, non percepito pienamente come un fenomeno di una gravità di questo tipo, anche se i rappresentanti della locale di Lona Lases comunque ormai avevano già una fama di un certo rilievo. Cominciavano i politici e la cittadinanza a capire, tant’è che venne costituito un comitato per il porfido… La non consapevolezza della cittadinanza è uno degli aspetti che all’epoca mi colpì molto». (c. a.)
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