VIBO VALENTIA Poco prima dell’omicidio del giudice Scopelliti, molti mesi prima della strage di Capaci e di via d’Amelio, costata la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. È l’estate del 1991 quando gli esponenti siciliani di Cosa Nostra e quelli calabresi della ‘Ndrangheta si incontrano, scegliendo come teatri alcuni dei villaggi e centri turistici più in voga di quegli anni. Perché, se è vero che nel luglio del 1992 al “Sayonara” di Nicotera Marina andrà in scena uno dei summit più significativi nel resort in mano ai Mancuso di Limbadi, 12 mesi prima un altro incontro importante era già avvenuto. Lo scenario è ancora la Calabria e, ancora, un centro turistico del Vibonese. Se per il “Sayonara” a fornire elementi cruciali era stato il pentito Franco Pino, tra i massimi esponenti della ‘ndrangheta cosentina, a parlare dell’incontro del 1991 e a fornire elementi chiave è stato il collaboratore di giustizia Antonino Fiume, le cui dichiarazioni sono finite nelle centinaia di pagine delle motivazioni del processo d’appello “’ndrangheta stragista”, nato dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria.
Il collaboratore, infatti, ha collocato temporalmente l’inizio delle riunioni in cui si discuteva di stragi poco prima dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti (agosto 1991) e dopo l’Addaura (giugno 1989), dunque in piena seconda guerra di mafia, «precisando che c’erano già le trattative per la fine della guerra di mafia avviate prima dell’omicidio Scopelliti». Fiume ha spiegato, ad esempio di aver dormito per un mese in contrada Badia, a Limbadi, nell’agosto del 1991. Segno della grande importanza per il futuro tanto della criminalità organizzata siciliana quanto quella calabrese. «(…) perché non è stata una riunione di un’ora… sono state coinvolte gente di Crotone, di Cosenza, c’erano tutti i capi di clan di tutte le famiglie, e per fare questa cosa qua, diciamo, il garante per certi aspetti era Luigi Mancuso, “zio Luigi” lo chiamavamo». Sempre secondo Fiume «però, prima c’era stata, come dire, una stretta stretta tra i capi, Franco Coco Trovato, Giuseppe De Stefano, Pino Piromalli e Nino “testuni”, Antonio Schettini, che poi collaborerà, e c’era Natale degli Ascione, prima era stata una cosa più ristretta…».
Anche nel 1990 Giuseppe De Stefano, Franco Coco Trovato e Schettini si sarebbero incontrati, un «accompagnamento» questa volta organizzato al “Blue Paradise”, struttura ricettiva di Parghelia riconducibile a Nicola Comerci, imprenditore classe ‘47 nato a Nicotera ma attivo nella Piana di Gioia Tauro, «soggetto vicino ai Piromalli ma anche ai Mancuso, che li aveva ospitati senza registrarli», ha spiegato il pentito, contestualizzando i fatti come «successivi ai tentati omicidi a Coco Trovato e Giuseppe De Stefano nel corso di una guerra a Milano con i “Batti” legati alla Camorra e per questioni di droga», si legge ancora nelle motivazioni, aggiungendo che in quella occasione «Franco Coco, Giuseppe De Stefano e Schettini avevano commesso l’omicidio di Capicchiano a Isola Capo Rizzuto, ma non ha saputo dire se già in quella riunione si fosse parlato di stragi». La struttura e Comerci finirono poi al centro dell’inchiesta – risalente al 2016 – della Dda di Reggio Calabria – e fu confiscata poi nel 2019.
L’incontro del ’91, invece, si sarebbe tenuto a Badia, frazione di Nicotera e al confine con Limbadi, territorio sotto il controllo indiscusso del potente clan dei Mancuso e, nello specifico, a casa di un parente dell’autista di Luigi Mancuso, Totò Pronesti detto “naso scacciato”. Tema centrale del summit mafioso, la proposta “stragista” di Cosa Nostra, sottoposta ai boss della ‘ndrangheta calabrese, sperando nell’adesione. Fiume, inoltre, ha spiegato di aver «accompagnato Giuseppe De Stefano, Franco Coco Trovato e Tonino Schettini» rimanendo però fuori, spiegando inoltre che alla riunione erano presenti anche «Luigi Mancuso che definiva “il capo in assoluto”, ma anche Pino Piromalli di Gioia Tauro, Nino Pesce di Rosarno “testuni” e Natale Ascione». Secondo la ricostruzione emersa nel lungo processo nato dall’inchiesta della Dda, dunque, in quell’estate del 1991 Franco Coco Trovato, che rappresentava anche i Papalia della Jonica «aveva manifestato un atteggiamento di apertura e disponibilità, mentre Giuseppe De Stefano non si era dimostrato favorevole, assumendo un atteggiamento più cauto» rispetto alla strategia stragista pianificata da Cosa Nostra.
Un atteggiamento cauto comprensibile perché la guerra di mafia era appena finita e le cosche reggine stavano assestando la linea di comando. Al contempo, però, l’ala tirrenica della ‘Ndrangheta aveva una linea di comando più stabile nelle potenti famiglie alleate dei Mancuso, Molè-Piromalli e Pesce.
E non è un caso, secondo i giudici e come riportato nelle motivazioni del processo d’Appello, se «Mancuso-Pesce e Piromalli fossero “una triade”, ossia una cosa sola per cui, in linea con la falsa politica che governa le organizzazioni di stampo mafioso fossero unite e d’accordo» e se «tutte le riunioni di cui hanno parlato i collaboratori si siano svolte nei territori del mandamento Tirrenico e furono promosse dai Mancuso-Piromalli-Pesce che convocarono gli esponenti apicali delle diverse ‘ndrine, in luoghi posti sotto la loro egida».
È emerso dunque «oltre ogni ragionevole dubbio» che a sostegno di quel disegno stragista la ‘Ndrangheta lo ha dato «attraverso i tre agguati ai danni dei Carabinieri commissionati a Villani e Calabrò nel mese di novembre 1993 e realizzati in stretta consecuzione temporale e con la medesima arma al chiaro fine di esplicitare agli investigatori d collegamento tra di loro e con la strategia ideata ed avviata in Sicilia dai corleonesi per “chiudere” la trattativa con lo Stato». In contemporanea agi agguati in Calabria contro i Carabinieri, secondo quanto è stato giudizialmente accertato «Cosa Nostra, secondo le intenzioni attribuite proprio a Giuseppe Graviano, aveva deciso di elevare il livello dello scontro con lo Stato, uccidendo in un solo attentato decine di Carabinieri in servizio presso lo stadio “Olimpico” di Roma, a conferma della comune ideazione e deliberazione criminosa con i “calabresi” degli agguati contro soggetti “appartenenti all’arma dei Carabinieri”». (g.curcio@corrierecal.it)
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