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L’agguato a Peppe Bruno e la moglie uccisa per errore. Il racconto del pentito: «Una vicenda vergognosa»

Le parole del nuovo collaboratore Sandro Ielapi, arrestato nel blitz “Scolacium”. «Gualtieri era stranito, ricordo il suo silenzio, non parlava più»

Pubblicato il: 17/09/2024 – 18:01
di Giorgio Curcio
L’agguato a Peppe Bruno e la moglie uccisa per errore. Il racconto del pentito: «Una vicenda vergognosa»

CATANZARO «I problemi cominciarono con la morte di Giovanni Bruno che si dice fosse da ricondurre a Rocco Catroppa che insieme ai Bruno avevano chiesto aiuto ai Catarisano, ciascuno chiedeva aiuto a noi contro l’altro. Il motivo era legato al contrasti insorti tra loro dopo l’omicidio». È un fiume in piena Sandro Ielapi, classe ’75 di Catanzaro, nuovo collaboratore di giustizia. L’uomo è stato arrestato nel corso dell’operazione “Scolacium” della Dda di Catanzaro, inchiesta che ha permesso di far luce su due organizzazioni legate alla ‘ndrangheta, in grado di spartirsi una larga fetta di territorio, piegata in larga parta alle volontà e al potere criminale. Da una parte la famiglia Caterisano, dall’altra la cosca Bruno. La prima attiva sul territorio di Roccelletta di Borgia, Borgia, Cortale, Girifalco e zone limitrofe dall’anno 2006; la seconda nei territori di Vallefiorita, Amaroni, Squillace ed aree limitrofe.
Secondo quanto è emerso dall’inchiesta, Ielapi farebbe parte di quei soggetti finora mai associati a livello investigativo a contesti legati alla criminalità organizzata, ma che hanno dimostrato piena, costante e attiva adesione al sodalizio dei Catarisano. Ora la decisione di “saltare il fosso” e collaborare con la giustizia.

Il duplice omicidio

Le prime dichiarazioni di Ielapi risalgono al 9 luglio del 2024, rede davanti ai pm Debora Rizza e al facente funzioni Vincenzo Capomolla e sono state depositate nell’udienza di quest’oggi. Tra le tantissime pagine omissate, però, le dichiarazioni di Sandro Ielapi si focalizzano sul terribile duplice omicidio di Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi, morti entrambi nell’agguato avvenuto nella notte del 18 febbraio del 2013, a Squillace. A processo è finito Francesco “Ciccio” Gualtieri, classe ’80, considerato «esponente della cosca di ‘ndrangheta Catarisano, operante nei territori di Roccelletta di Borgia, Borgia e zone limitrofe», arrestato il 13 novembre dello scorso anno nel blitz eseguito dai Carabinieri del Reparto Operativo – Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catanzaro. Il 43enne è difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Antonio Lomonaco.

«Bruno stava facendo un vero macello»

«Giuseppe Bruno si indispettì e armò zizzanie. Lui si vantava di aver ammazzato Catroppa. Minacciò anche me In occasione del mio litigio con (…) Giuseppe stava parlando troppo e rischiava di rimanere solo». E ancora: «Giuseppe Bruno diceva a tutti in giro che avrebbe dovuto uccidere i Catarisano. Chiedeva le estorsioni nei territori della mia cosca. Stava facendo un vero macello. Cominciammo così a guardarci da lui, temevamo che stupidamente commettesse qualcosa». Come racconta il pentito, dunque, c’era molta tensione in quel periodo. Oltre a Gualtieri cita un nome puntualmente omissato nel verbale. «La sera dell’omicidio sembra che Gualtieri e (…)  sapessero che si poteva fare l’omicidio. Nelle sere precedenti noi cl limitavamo a guardare e andavamo armati invece quella sera Gualtieri e (…) erano sicuri fosse il momento giusto per commetterlo. Io In quel periodo mantenevo un profilo basso, anche perché sorvegliato speciale».

bruno raimondi

Le fasi dell’omicidio

Nel verbale, Ielapi descrive le fasi dell’omicidio: «Siamo andati quella sera perché ci dissero che era quello il momento. È possibile che qualcuno tradì Bruno. Andammo io e Gualtieri lui con una mitraglietta e io con la pistola. C’è una strada che taglia per andare a Squillace e un’altra che porta a destra per Amaroni e dall’altra a Vallefiorita. Prendemmo la strada a sinistra per la casa di Bruno. Dopo 500 metri, c’è una stradina di cemento percorribile solo da un’auto».
Le fasi, dunque, si fanno concitate: «Abbiamo aspettato circa 20 minuti, poi arrivò una macchina. Noi eravamo acquattati. Si infilò in retromarcia nel garage. Abbiamo sentito chiudere il cancello. Gualtieri mi ha dato l’ordine di non muoverci e mi ha detto di aspettare nel primo cancello più vicino al luogo dove eravamo noi mentre lui si è portato verso l’altro cancello nel quale era entrata l’auto. Non ho visto Gualtieri sparare, io rimasi a terra e sentii solo gli spari. Da una ventina di metri mi fermai, lui si avvicinò all’altro cancello, mi sono abbassato perché passò una macchina. In quel frangente sentii sparare. Subito dopo mi disse “corri” e andammo per Vallefiorita a piedi sulla terra e raggiungemmo».

«Una cosa brutta, una vicenda vergognosa»

Nella sua deposizione, il nuovo collaboratore di giustizia Ielapi racconta le fasi successive all’agguato: «Noi eravamo abbassati, quindi non vedevamo chi stesse entrando. Era una macchina grossa che entrava a marcia indietro. Ha lasciato le luci accese. Non sapevamo che fosse Giuseppe Bruno per certo. (…) ho visto la faccia di Gualtieri quando è entrato in macchina, abbiamo buttato i vestiti nel fiume a Squillace, hanno buttato forse anche la pistola che non avevo usato». «Ricordo il silenzio di Gualtieri perché era in dubbio che ci fosse pure la moglie. Secondo me l’ha vista quando è caduta, non prima. Era stranito, non rispondeva alle nostre domande. Forse si era reso conto di quello che era successo. È stata una vergogna». E ancora: «È stata una cosa brutta anche dopo. Si respirava un’aria pesante. La moglie non c’entrava niente. Io me ne vergognavo anche al solo sentirne parlare tant’è che non furono fatti commenti da nessuno di noi. Era una vicenda vergognosa». (g.curcio@corrierecal.it)

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