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‘Ndrangheta a Cutro, il vuoto al comando e gli ordini dal carcere di Vito Martino. «Deve stare calmo calmo»

La collaborazione lampo di Nicolino Grande Aracri avrebbe fatto riemergere vecchi dissapori tra le famiglie

Pubblicato il: 20/09/2024 – 18:19
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Cutro, il vuoto al comando e gli ordini dal carcere di Vito Martino. «Deve stare calmo calmo»

LAMEZIA TERME Aprile 2021, un mese che sembrava destinato a segnare una spaccatura profonda nelle dinamiche della ‘ndrangheta di Cutro. La notizia è di quelle storiche, inattese: l’avvio della collaborazione con la giustizia del boss Nicolino Grande Aracri. È il 16 aprile del 2021 quando viene diffusa dalla stampa, anche se in quella occasione nessun congiunto del neo-collaboratore di giustizia aveva deciso di aderire al programma di protezione. Una collaborazione, però, fallita dopo pochi mesi perché la magistratura non considera «attendibili le sue dichiarazioni» e mirate soprattutto a tutelare i suoi stretti familiari, imputati nell’ambito dell’operazione “Farmabusiness”.

Il vuoto di potere

La breve parentesi collaborativa aveva portato all’immediato allontanamento del boss dalla cosca e alla perdita di ogni potere della famiglia, creando da subito un “vuoto” al comando della cosca, facendo riemergere anche antichi dissapori tra le famiglie di ’ndrangheta di Cutro.  
Da un lato – come ricostruito nelle indagini che oggi hanno portato all’arresto di 22 persone – la famiglia Martino, peraltro già affiliata ai Grande Aracri, avrebbe tentato di approfittare della situazione per imprimere la propria ascesa delinquenziale. Dall’altro, invece, la famiglia dei Ciampà-Dragone avrebbe intravisto la possibilità di vendicarsi della sconfitta subita negli anni trascorsi e rivendicare una posizione di primo piano nella locale criminalità organizzata. Figura di rilievo in questo scenario inedito è Vito Martino (cl. ’70), a capo dell’omonima famiglia, già condannato per associazione maliosa quale associato e vertice della cosca Grande Aracri. Tra i soggetti «affini per familiarità alla famiglia Martino», scrive il gip nell’ordinanza, «ricopre un posto di rilievo Carlo Verni (cl. ’68), fratello di Veneranda (cl. ’70) e, pertanto, cognato di Vito Martino e zio di Salvatore (cl. ’92) e Francesco Martino (cl. ’97)», tutti finiti in carcere nel blitz “Sahel” coordinato dalla Dda di Catanzaro.


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L’inchiesta “Sahel”

Nel corso dell’attività di indagine, la pg ha passato in rassegna le principali intercettazioni legate alla famiglia Martino, riportante nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Catanzaro, Chiara Esposito. Tutte successive alla collaborazione avviata dal boss Nicolino Grande Aracri. Come, ad esempio, quella del 7 maggio 2021, colloquio tra Vito Martino, Francesco Martino, Veneranda Verni e Salvatore Peta (cl. ’66), anche lui finito in carcere nel blitz. Come riportato nell’ordinanza, «Martino manifestava stupore e non poco disappunto per il pentimento di Nicolino Grande Aracri» sottolineando che «ci siamo fidati», appellando il boss cutrese come un «papà». Poi stigmatizza il comportamento tenuto dal boss in quanto «non avrebbe salvaguardato la famiglia». Martino, quindi, esorta «Peta ad interessarsi della gestione del lavaggio di famiglia, avendo il figlio Francesco percosso il gestore Francuzzo».

«Le cose di Cutro deve sbrigarsele Cutro»

Altro dialogo intercettato e finito nell’ordinanza è quello risalente all’11 giugno del 2021. In questo caso Vito Martino parla con il figlio Francesco e Veneranda Verni. Nel corso del colloquio il detenuto «chiede al figlio se fosse andato dalla “zia”», riporta il gip. Il riferimento sarebbe, secondo l’accusa, ad un incontro tra Francesco e un tale “Liune” il quale peraltro, per come evidenziato da Veneranda Verni, voleva parlare con la zia Rosa – poi identificata in Rosita Megna, figlia di Mico e attualmente imputata nel processo “Glicine-Acheronte” «sempre per la “pace”» riporta il gip. Nel corso del dialogo, dunque, Vito Martino con tono alterato «evidenziava che Ciampà poteva parlare con la zia, ma comunque la questione doveva essere risolta allorquando Salvatore Martino sarebbe uscito dal carcere» annota il gip nell’ordinanza. Quindi esortava il figlio a «recarsi dalla zia» separatamente rispetto al “Liune”, al quale avrebbe dovuto invitarlo a stare «calmo calmo».
Altra dialogo quello del 18 giugno. I tre, come ricostruito dagli inquirenti, prendevano parte a un altro colloquio nel quale Vito Martino «chiedeva al figlio se avesse incontrato “Liune” e se fosse andato a parlare con la zia». Francesco rispondeva di no, aggiungendo di avere parlato con il nipote della donna il quale aveva fatto pervenire l’ambasciata della congiunta, secondo cui “le cose di Cutro deve sbrigarsele Cutro”» annota ancora il gip nell’ordinanza.


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Approfittare del vuoto di potere

«(…) non è che capisce l’importanza che abbiamo adesso… lui cerca di distruggere invece…». Significativo inoltre per gli inquirenti e riportato nell’ordinanza è il colloquio del 9 agosto 2021 tra Vito Maritino e il figlio Salvatore, imputato nel processo “Golgota”. La tematica riguardava la figura di Giuliano Muto (cl. ’88) – anche lui finito in carcere – «che si stava comportando male, non approfittando, come concordato dai due, dalla situazione che si era venuta a creare sul territorio, contrassegnato da un vuoto di potere e dalla sostanziale perdita di credibilità della cosca Grande Aracri». (g.curcio@corrierecal.it)

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