CATANZARO Quella colpita oggi è «un’associazione ‘ndranghetista operante a Cutro, e un’altra dedita al traffico di droga subordinata alla prima». Lo ha spiegato il procuratore facente funzioni della Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, nel corso della conferenza stampa convocata in Procura, questa mattina, in seguito all’operazione “Sahel” condotta all’alba di oggi. Sono, in tutto, 31 le misure cautelari emesse, con 15 persone finite in carcere e 7 ai domiciliari.
Come spiegato in conferenza stampa ancora da Capomolla, «in passato ci sono stati diversi interventi delle forze dell’ordine in quest’area, soprattutto contro la cosca Grande-Aracri, interessata da operazione anche fuori dalla Calabria. Nell’ultimo periodo, però, si è accentuato l’indebolimento del potere criminale della famiglia per via della collaborazione del boss Nicolino». «Indebolimento che – ha spiegato il procuratore – emerge dall’operazione odierna perché la cosca si è rivitalizzata attorno al nuovo boss, Vito Martino, in carcere, considerato un esponente storico della cosca Grande-Aracri che, dal carcere, avrebbe riorganizzato la cosca». Una riorganizzazione attuata «attraverso estorsioni contro diverse attività economiche: dalla produzione dell’olio, al trasporto ed edilizia. E poi ovviamente il traffico di droga, fondamentale per finanziare la “bacinella” del clan».
Come spiegato ancora da Capomolla, «il boss Martino dal carcere in questa fase di vuoto avrebbe riavviato la cosca con un controllo riconducibile direttamente a lui. Accertati contatti con boss di territori vicini per avere la legittimazione e anche rapporti con la cosca rivale di Cutro, i Dragone, con diversi tentativi di riconciliazione e condivisione di attività criminali».
«L’indagine documenta le dinamiche criminali in un locale di ‘ndrangheta nel momento di un passo indietro a causa delle diverse operazioni che hanno creato un vuoto di potere. La famiglia Martino si è quindi attribuita il compito di colmare questo vuoto, con l’autorizzazione di altre cosche». Lo ha spiegato, ancora in conferenza stampa, Raffaele Giovinazzo, comandante provinciale dei carabinieri di Crotone. «Si è registrato grande stupore e sgomento per la collaborazione di Nicolino Grande Aracri – ha spiegato ancora Giovinazzo – con una risoluzione finale: “se si pente il capo ripartiamo con un altro”». Giovinazzo ha poi sottolineato il ruolo delle donne di ‘ndrangheta emerso dall’indagine della Dda, «una della cosca Martino era particolarmente determinante nella risoluzione di alcune problematiche». La Cosca Martino, come emerso dall’indagine, aveva alzato il tiro anche nel Catanzarese e a Catanzaro città dove la cosca sarebbe stata in grado di procurarsi denaro. Nel blitz, inoltre, sarebbero state recuperate molte armi, anche da guerra, a conferma della pericolosità del gruppo.
«In questa indagine, purtroppo, non c’è stata alcuna denuncia da parte delle vittime di estorsione, giusto qualche confidenza e un singolo caso di denuncia per usura. Questo significa che la nascente cosca Martino godeva già, per lo spessore criminale del capostipite, di una intrinseca forza di intimidazione». È quando spiegato dal tenente colonnello del Nucleo Operativo, Angelo Maria Pisciotta. «Sette casi di estorsione o tentata estorsione, una anche in città di Crotone, quindi con placet della cosca Megna, e significativi sequestri di armi».
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