Quella del voto ai giovani che hanno compiuto 16 anni di età è una proposta “datata”: Enrico Letta l’ha tentata alcuni anni fa riprendendo da Veltroni che l’aveva lanciata nel 2007 quando era Segretario del Partito Democratico. Otto anni dopo se ne è impossessata la “Lega”, ricordandosi che l’apertura ai sedicenni in alcuni paesi europei è già in atto: in Austria votano anche i sedicenni; a Malta si va alle urne a 18 anni; in Grecia votano i diciassettenni; in Scozia i sedicenni. Così anche nel resto del mondo: in Brasile, a Cuba, in Equador, in Nicaragua, si vota a sedici anni, mentre in Indonesia è Corea del Nord bisogna aspettare il diciassettesimo anno. E dire che prima della seconda guerra mondiale era necessario avere 21 anni per votare. E ciò era uguale in tutti i Paesi. Ma ritorniamo in Italia. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è scettica sulla proposta e scrive: “Veramente qualcuno crede che per un sedicenne, oggi, la priorità sia il diritto di voto e non il diritto all’istruzione, alla socialità e alla libertà? Per altri cittadini permettere il voto a 16 anni significherebbe anticipare la maggiore età, ma con conseguenze sul piano civile e penale. Il problema è che tale riforma ci sono pregiudizi e, da una parte, si fa riferimento all’educazione civica, sostenendone l’importanza specie quando si tratta di formare nuovi elettori. Tra i sostenitori dell’iniziativa c’è anche chi ritiene che potrebbe essere una sfida per i partiti politici, che darebbero maggiore rilevanza all’opinione delle nuove generazioni che si troverebbero a confrontarsi realmente con le loro istanze e richieste. In sostanza il diritto al voto dei giovani rappresenterebbe il potenziamento del diritto alla cittadinanza, un modo per rafforzare l’interesse a comprendere le sfide del proprio tempo. Buona parte dei giovani non si pongono il problema. Piuttosto uno degli argomenti che li coinvolge è il voto che viene assegnato a scuola dopo un’interrogazione. Lo ha proposto il “Movimento 5 Stelle” ritenendo che i giovani abbiano tutte le condizioni e la consapevolezza di fare le loro scelte e agire nel giusto. Nasce così un’altra proposta, quella di anticipare l’età per esprimere il voto politico. Si vuole, in sostanza aprire la porta dei seggi elettorali anche ai ragazzi non ancora maggiorenni. Il che consentirebbe loro non soltanto la partecipazione al voto, ma anche l’assunzione di responsabilità politiche. La giustificazione è che la proposta investe la necessità di “formare cittadini liberi e consapevoli”. Secondo i proponenti il progetto mira a potenziare la rete degli elettori, rendendo i giovani protagonisti di percorsi decisionali in grado di amalgamare con la politica, più di quanto è possibile raggiungerlo con gli adulti. Una iniziativa che, per chi la propone, andrebbe attuata il più in fretta possibile per rendere ancora più “influente” l’agenda politica che si intende perseguire. Sarebbero i giovani – sempre secondo gli autori della proposta- a plasmare il presente e scrivere il futuro più di quanto non lo sono stati i loro genitori, così da rendere l’elettorato giovanile “centrale” e “decisivo”. Si tratta, comunque, di un progetto che, senza voler essere allarmisti, va esaminato, discusso e approntato prima di essere immesso nel sistema elettorale. Il progetto prevede che “‘bisogna consentire ai giovani di guardare alla realtà con I loro occhi per costruire un Paese moderno, aperto e inclusivo”. Parole interessanti. Ma si dimentica che oggi è la maggiore età a conferire il diritto al voto e, quindi, la partecipazione alla gestione politica del Paese. La necessità di “formare cittadini liberi e consapevoli” è importante, ma è un obiettivo che, secondo la legge, si raggiunge con la maggiore età.
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