VIBO VALENTIA «Mi sono sentito tradito dalle persone che ho sempre stimato ed alle quali ho sempre creduto». Renato Marziano spiega i motivi che lo hanno convinto a iniziare il percorso di collaborazione con la giustizia, dopo una carriera criminale portata avanti tra i Piscopisani, i Vacatello e i Soriano. Un giro non da poco che ha consentito al nuovo pentito di conoscere le dinamiche criminali della provincia di Vibo, dalla “guerra” tra il locale di Piscopio e i Mancuso ai singoli episodi omicidiari come quello di Giuseppe Pugliese Carchedi e di Davide Fortuna. Anche grazie al suo rapporto con Nazzareno Fiorillo alias U Tartaru, condannato a 11 anni nel processo Rimpiazzo e ritenuto al vertice del locale di Piscopio.
«Finché io uscivo con lui ricevo circa 100/200 euro al giorno» racconta Marziano. Le cose cambiano quando inizia a trovarsi in difficoltà economiche, con la richiesta da aiuto avanzata a Nazzareno Fiorillo: «Quest’ultimo mi diceva che problemi ne abbiamo tutti, anzi che tutti stiamo morendo di fame, e quindi non mi aiutava, nonostante le mie difficoltà economiche fossero molto serie». È in questo momento che Marziano inizia a sentirsi «tradito». «Ho smesso di credere negli ideali di lealtà, rispetto ed onore della ‘ndrangheta». Convinzioni che si sono fatte più forti nel momento in cui sarebbe stata data «l’autorizzazione ad uccidere Raffaele Moscato (collaboratore di giustizia, ndr), nonostante quest’ultimo aveva dato la vita per i Piscopisani, senza tradirli mai, fino alla collaborazione».
Il “tradimento” degli amici sarebbe arrivato nonostante, sottolinea Marziano, avessero fatto insieme «truffe per centinaia di migliaia di euro». Il sistema, raccontato nei verbali del 2018, si sarebbe avvalso anche di «stretti legami con gli agenti di commercio di Vibo Valentia». «Noi attraverso dei rappresentanti locali facevamo, inizialmente, degli ordini di merce dal valore contenuto e ne onoravamo il pagamento». Dopo aver conquistato la fiducia dei fornitori «facevamo un ordinativo più grosso e, questa volta, non ne pagavamo il prezzo, consegnando assegni post-datati». I ricavi poi sarebbero stati divisi tra «coloro che prendevano parte al reato» e la cosiddetta “bacinella” della ‘ndrina, ovvero il «denaro che serviva a mantenere i Piscopisani e i loro familiari durante i periodi di detenzione». (Ma.Ru.)
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