Il 27 ottobre 1916 nella piccola, ma fiorente città di Prostejov, in Moravia, allora appartenente all’Impero Austro Ungarico, nacque Otto Wichterle. Il padre di Otto, Karel Wichterle, era comproprietario di una fabbrica di successo di macchine agricole e di un piccolo stabilimento automobilistico, quindi le condizioni economiche della famiglia erano senz’altro più che agiate. Otto, fra tate e governanti , attraversò una prima infanzia decisamente privilegiata, rispetto ad altre centinaia e centinaia di bambini della sua età, abitanti nella città il cui suo unico vanto era quello di aver dato i natali nel 1858 ad Edmund Husserl, uno dei più grandi filosofia contemporanei.
Man mano che il piccolo Wichterle cresceva, in Europa avvenivano grandi cambiamenti. Alla fine della Prima guerra mondiale, la Conferenza di pace di Parigi nel 1919, sancì la nascita di numerosi nuovi Stati ridisegnando la carta geopolitica dell’Europa. Tra questi vi era la “Cecoslovacchia”, composta da Boemia, Moravia, Slesia, Slovacchia e Rutenia ed altre regioni più piccole abitate da etnie minori, ossia tedeschi, sloveni e polacchi. Come capitale si designò Praga, in Boemia. Come tutti gli altri bambini cecoslovacchi, anche Otto, dovette obbligatoriamente frequentare dal 1922 le scuole elementari, a causa di una nuova normativa introdotta nello Stato di neo-formazione, che rendeva obbligatoria l’istruzione primaria dai 6 ai 12 anni. Abituato agli agi ed alle comodità, il piccolo Wichterle prese molto male questo dovere.
Infatti non era raro che si azzuffasse con i compagni o si rifiutasse di rispondere alle domande del maestro Hrabal, ed una volta giunse a lanciare dalla finestra un calamaio che centrò in piena fronte lo spazzino Svoboda, non facendogli gran male ma infradiciandogli tutto il viso d’inchiostro, tanto che dal quel giorno Svoboda, venne chiamato da tutti “Cerny”, ossia “nero”. Anche a casa non era da meno: si rifiutava sistematicamente di fare i compiti, per andar gironzolare per la città con altri ragazzi. A 9 anni, per scommessa, si mise alla guida di una trebbiatrice del padre, con il risultato di perderne il controllo e triturare “Aether” e “Zephyr” i due amati gatti della signora Lesak, la quale lo vide bussare alla sua porta tenendo una scatola nelle mani, con teste, code, zampe e intestini sanguinolenti, dicendole: ”Mi scusi. Se vuole glieli rimonto!”.
A dodici anni, per fare bella figura con Milada, una ragazzina sua coetanea di cui si era innamorato, un pomeriggio la fece salire sull’automobile del padre, ma dopo 6 chilometri andarono a schiantarsi frontalmente contro il tronco di un melo, distruggendo la macchina e finendo sotto una pioggia di mele venute giù come proiettili. “Mi avete distrutto tutti i frutti dell’albero! -disse il contadino proprietario che era poco distante- Ora mi dovete risarcire!”. “Casomai è lei che deve pagare noi, -rispose Otto- perché le mele sono integre e noi le abbiamo fatto risparmiare tutti i soldi per la raccolta!”. Comunque sia, a 13 anni si iscrisse al Liceo di Prostejov, una scuola che aveva una certa caratterizzazione scientifica. Inaspettatamente, Otto cominciò ad interessarsi alla chimica, ed in particolare alla chimica organica, che diventò presto una passione e contrassegnò il resto della sua vita.
La profondità dei suoi studi, e una certa sfrontatezza che lo caratterizzava, lo portarono più volte a correggere in classe l’insegnante di chimica, facendogli fare una pessima figura di fronte agli altri alunni e venendo punito con cinque giorni di sospensione dalle lezioni. “Meglio così. Se sospendete anche la mia ragazza, farò con lei cinque giorni di vacanza in più.” Commentò Otto. Finiti gli studi superiori, nel 1932 si iscrisse all’ “Università Tecnica Ceca di Praga”, e si laureò brillantemente nel 1936, anno in cui conseguì anche il suo primo Dottorato in ingegneria chimica, mentre un secondo Dottorato, incentrato sullo studio dei materiali biocompatibili, gli fu conferito nel 1939. Successivamente proseguì la sua carriera universitaria come professore di Chimica organica.
Purtroppo però, le condizioni politiche già dall’anno precedente erano mutate radicalmente. La Germania, col pretesto che nella regione dei Sudeti vi erano tre milioni di abitanti di lingua tedesca, la annetté, senza che i maggiori Stati europei intervenissero per fermarla. Vedendo la non ingerenza nelle azioni del Terzo Reich, nel 1939 Hitler procedette anche all’occupazione di tutta la Cecoslovacchia, cancellandola di fatto dalla carta geopolitica dell’Europa. Il primo settembre dello stesso ‘39, anche la Polonia fu invasa dai tedeschi e due giorni dopo scoppiò la Seconda guerra mondiale. Durante gli anni della guerra, Wichterle, ormai trentaquattrenne, poté continuare ad insegnare, ma con molti obblighi e limitazioni imposte dagli occupanti. Infatti, pur non dovendo giurare fedeltà al Reich, era costretto a consegnare settimanalmente all’ufficiale di turno una relazione riguardante le attività svolte. E dato che i graduati tedeschi ruotavano continuamente, la relazione era sempre la stessa.
Comunque, in questo periodo sviluppò un’idea che avrebbe portato a delle conseguenze rivoluzionarie. Avendo costruito in gran segreto un laboratorio artigianale nella sua cantina di casa, poté perfezionare gli studi sui materiali biocompatibili e trasparenti, nonché sull’utilizzo dell’idrogel. Finita l’occupazione nazista grazie alla liberazione ad opera dell’Armata Rossa tra il 1944 e il 1945, la situazione in Cecoslovacchia, sostanzialmente cambiò di poco. Infatti nel 1948 i comunisti, pur avendo vinto le prime elezioni libere, attuarono un colpo di Stato mettendo anch’essi in atto un sistema dittatoriale durato fino al 1989 e terminato grazie alla cosiddetta “Rivoluzione di velluto”.
Ma Otto, come successe con i tedeschi, durante il dominio sovietico non si diede per vinto. Pur essendo maggiormente rigorosi i controlli all’Università, in cui bisognava registrare questa volta ogni giorno in un apposito libro l’oggetto della lezione, nonostante i frequenti richiami e le sistematiche censure, il giovane Wichterle continuava a lavorare di notte, utilizzando oggetti di fortuna, quali un apparecchio costruito con un giocattolo per bambini e un motore da frullatore. Sebbene la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, abbia fatto nutrire in tutti i Paesi del blocco sovietico, un iniziale periodo di speranza che le condizioni di vita migliorassero, anche con i segretari successivi del Partito Comunista Russo, (PCUS), le rigidità dei regimi, anche se in parte attenuate , restarono in buona misura sostanzialmente quasi inalterate.
Il clima in Cecoslovacchia era sempre così pesante, tale da essere definito con due parole: domande e file. Infatti bisognava rivolgere istanza per qualsiasi cosa, come spostarsi da una città ad un’altra, mettersi in lista per l’acquisto di un cappotto nuovo, (rigorosamente di tre colori, marrone, grigio e nero) che sarebbe arrivato tra quattro mesi, chiedere l’autorizzazione per un banchetto matrimoniale fornendo i nomi degli sposi, le modalità della cerimonia, la lista dei presenti e cosi via. Anche le file erano un incubo. Poiché il regime, in anni di Guerra fredda, prediligeva investire nell’industria pesante, i generi di prima necessità venivano all’ultimo posto ed erano rigorosamente razionati: così bisognava mettersi in fila, anche lunghissime, per il pane, la carne (quasi esclusivamente di maiale o di coniglio), la birra, i calzini, le mutande ecc….
In questo contesto, la stagnazione produttiva, a causa della massiccia nazionalizzazione e dell’economia pianificata, era evidente. Poiché mancava praticamente qualsiasi cosa da acquistare e nonostante si ricevessero regolari stipendi e salari, un detto comune fra gli impiegati e gli operai del blocco sovietico era: “Voi fate finta di pagarci e noi facciamo finta di lavorare”. Ma Otto continuava irremovibile nelle sue ricerche e nei suoi esperimenti, finché annunciò di aver inventato, la notte di Natale del 1961, con la collaborazione del suo collega Drahoslav Lim, le prime quattro lenti a contatto morbide della storia, realizzate in idrogel, biocompatibili e trasparenti. Fu una vera e propria rivoluzione nel campo dell’Oftalmologia.
Purtroppo però, il regime, essendo politicamente contrario alla libera impresa, non gli concesse i riconoscimenti dovuti e gli impedì di brevettare la sua invenzione e commercializzarla a livello internazionale. Wichterle fu così costretto inizialmente a produrle artigianalmente e successivamente pensare ad una fuga della Cecoslovacchia. Questa decisione definitiva fu presa da Otto successivamente alla notte tra il 20 e 21 agosto 1968, quando l’invasione dei carri armati sovietici nella capitale, pose fine alla breve esperienza di libertà, conosciuta come “Primavera di Praga”. Così, con un rocambolesco viaggio in auto, nave ed aereo giunse negli Stati Uniti, dove ottenne i brevetti necessari per la sua invenzione.
Naturalmente ricevette anche il riconoscimento internazionale dovuto e l’appoggio di grandi aziende del settore ottico, prima fra tutte la Bausch & Lomb, multinazionale canadese che negli anni investì (e continua a farlo) cifre rilevanti nella ricerca per migliorare sempre di più il prodotto e nella produzione e commercializzazione su larga scala delle lenti a contatto morbide. Ad essa seguirono molte altre imprese in tutto l’Occidente che resero, come fece la stessa Bausch & Lomb, l’originaria invenzione di Wichterle sempre più evoluta (oggi ne esistono anche di giornaliere, settimanali, quindicinali, mensili, “a permanenza”, colorate ecc…) accessibile ad un pubblico sempre più vasto composto da milioni e milioni di persone.
E così, grazie alla tenacia di Otto Wichterle, in quarant’anni, il blocco socialista consegnò al mondo una delle due uniche invenzioni universali che esso produsse. Due, perché ve ne è un’altra di natura diversa, ma di uguale, ma macabro successo. Tutto ebbe inizio durante la Seconda guerra mondiale, quando Mikhail, un soldato semplice dell’Armata Rossa, fu ferito e trasportato in ospedale. Lì, riflettendo sulla farraginosità delle armi leggere della fanteria, iniziò a pensare ad una nuovo strumento bellico, più affidabile e facile da trasportare.
Così, dopo la guerra, si dedicò alla progettazione di un innovativo fucile d’assalto. E, in poco più di tre anni, creò un’arma robusta, relativamente leggera, semplice da produrre e in grado di funzionare in qualsiasi condizione atmosferica, che, negli anni, purtroppo venderà milioni di esemplari in tutto il mondo. Per la sua maneggevolezza ed affidabilità, in guerra essa ebbe tanto successo che, terminato il conflitto, fu addirittura adottata dall’Armata Rossa. Le venne data come sigla “AK47”, il cui significato deriva da “Automat” (fucile automatico), “Kalashnikov” (il cognome del suo inventore) e “47” (anno in cui iniziò ad essere utilizzato dall’esercito sovietico).
Così, data la sua rivoluzionaria invenzione, l’ex soldato semplice Mikhail Kalashnikov, venne riconosciuto come Eroe del Lavoro Socialista e gli vennero insigniti ulteriori riconoscimenti, sia civili che militari. Oltre l’”Ordine di Lenin”, l’“Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro” e il titolo di ”Eroe della Patria”, fu nominato anche Deputato del Soviet Supremo dell’URSS e Consulente tecnico per l’industria bellica sovietica. Kalashnikov morì a 94 anni il 23 dicembre 2013 ed ebbe solenni funerali di Stato. Seduti sulla veranda di casa Pantisano, quando Ferryboat lesse a voce alta da un periodico quest’ultima notizia, Don Bastiano, feroce anticomunista come tutti i mafiosi, commentò l’invenzione del Kalashnikov in Russia con delle parole di De Andrè che l’affiliato non si sarebbe mai aspettato che il boss conoscesse: “Anche dal letame nascono i fiori!”.
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