COSENZA L’11 settembre 2001 il mondo si ferma. Tutti gli occhi sono rivolti alle tv, non c’è canale che non trasmetta le immagini dell’attentato terroristico agli Stati Uniti d’America. Dall’altra parte del mondo, mentre l’Italia assiste attonita dinanzi i frame e le foto di una immane tragedia, a Cosenza, in Calabria, si uccide. Massimo Speranza, un giovanissimo cosentino «magrolino» e residente all’ultimo lotto di via Popilia, cade sotto i colpi di chi pronuncia la sentenza di morte. La decisione dell’omicidio matura sullo sfondo dell’alleanza criminale di stampo ‘ndranghetista basata sul rapporto tra il gruppo degli “Zingari” di Cosenza e quelli di Cassano all’Ionio, nel periodo compreso tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. Sono stati gli uomini della Dia di Catanzaro, guidati da Beniamino Fazio, a far luce sul macabro delitto a distanza di 24 anni. Le indagini coordinate dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Salvatore Curcio, hanno permesso di ricostruire la dinamica del fatto di sangue, rintracciando i presunti esecutori materiali del delitto ed i mandanti. Sul movente dell’omicidio, chi indaga non ha dubbi: Speranza era sospettato di essere una spia, di aver riferito ad esponenti del gruppo degli Italiani notizie inerenti l’organizzazione e le strategie criminali del gruppo degli Zingari che sarebbero dovute rimanere riservate.
Nel 2001, arriva una telefonata in Questura. Il fratello della vittima di “lupara bianca” denuncia la scomparsa del germano meglio conosciuto come “Il brasiliano” per via del colore olivastro della pelle e per i tratti somatici del viso. Che fine ha fatto Massimo Speranza? Le indagini e le ricerche si intensificano, ma del giovane non c’è traccia. Il suo diventa un “cold case“. Qualche dettaglio sul caso arriva direttamente dai pentiti, le confessioni dei collaboratori di giustizia vengono valutate attentamente da chi indaga, sovrapposte e verificate rispetto alla veridicità del contenuto e dei riferimenti alla galassia criminale bruzia.
Sono diversi i collaboratori di giustizia che hanno permesso, con le loro confessioni, di aggiungere tessere fondamentali al mosaico investigativo. Il primo a parlare è un uomo di peso nella mala cosentina, Daniele Lamanna: elemento chiave dell’organizzazione Rango-Zingari, con un ruolo inferiore solo al capoclan Maurizio Rango, ma «protagonista di quasi tutti gli eventi che segnano la infelice epopea criminale del clan». Prima è fedelissimo di Michele Bruni, poi assume «centralità nel momento della svolta, quando il vento soffia a sfavore dei suoi vecchi amici: Michele Bruni muore nel 2010 per cause naturali e, all’inizio dell’anno successivo, suo fratello Luca Bruni, che aspira alla successione al trono criminale, cade vittima di un agguato per mano dei suoi stessi fedelissimi». È proprio Lamanna a premere il grilletto contro il giovane rampollo dopo averlo attirato nella trappola di un finto summit di mafia, ma quel tradimento innesca in lui una serie di ripensamenti. Fino al pentimento. Ma cosa sa Lamanna di Speranza? «Della sua sparizione me ne parlava Giovanni Abbruzzese lasciandomi intendere che era sparito per man sua, sempre nelle occasioni in cui si discuteva di quanto andasse bene il metodo di far sparire di lupara bianca quelli che potevano collaborare».
A quelle di Lamanna seguono le dichiarazioni di Celestino Abbruzzese, uno dei fratelli “Banana” e conosciuto come “Micetto“. Secondo il pentito Speranza sarebbe sparito «perché riportava le notizie degli zingari agli italiani. E’ stato ucciso e fatto a pezzi nella zona di Spezzano Albanese. So di questo fatto perché quel giorno Speranza era stato portato con la scusa di provare del materiale, fumo, da acquistare e serviva uno che ne capisse qualcosa. Io ho assistito alla scena quando è stato prelevato e sapevo della storia che lui faceva gli specchietti tra gli zingari e gli italiani. (…) Alla decisione partecipò Giovanni Abbruzzese alias “U Cinese”, Fioravante Abbruzzese detto “Minuzzo”, Gino Bevilacqua. Quando tornarono non riferivano di questa cosa nemmeno davanti a noi, ma so che quando portavano le persone a Cassano per farle sparire di lupara bianca so che i corpi venivano fatti a pezzi e fatti sparire».
Anche Pasquale Perciaccante riferisce dettagli dell’omicidio dopo il pentimento. «E’ il primo a fuoriuscire dalla società maggiore cassanese, e proprio in ragione del suo ruolo di vertice ha reso un contributo eccezionale, descrivendo la strategia stragista perseguita fra il 1999 ed il 2003 dal clan degli Zingari, per sbaragliare la “concorrenza” degli italiani soprattutto nel settore del traffico degli stupefacenti». Cosa dice il pentito? «Dicevano se lo potevano portare a Cassano a Lauropoli. Di questo fatto erano a conoscenza Rocco Azzaro e Ciro Nigro. Nel mentre si parlava sopraggiungeva Eduardo Pepe (poi deceduto) e questo diceva a Banana di portarlo a Cassano e successivamente ad Apollinara. Si concordava sul fatto che il Banana con la scusa della acquisto di una buona partita di droga l’avrebbero portato a Cassano Ionio. Gino Bevilacqua unitamente al ragazzo si portavano alle case popolari di Lauropoli», da lì sarebbero poi giunti ad Apollinara nell’abitazione di tale “Ciccio” «dove si trovava Eduardo Pepe che sparava alla testa con una 38 al ragazzo».
Ciro Nigro è «pluripregiudicato e condannato in via definitiva anche per i reati di associazione a delinquete di tipo mafioso, omicidio e tentato omicidio, organico alla ‘ndrina di Corigliano Calabro». Le sue confessioni sulla sparizione di Massimo Speranza sono illuminanti. E’ l’11 marzo 2015 quando il collaboratore di giustizia ricostruisce, in maniera chiara, le fasi dell’omicidio e «sulla base di una cognizione diretta degli accadimenti, ai quali aveva preso parte in prima persona».
Il pentito dice di non conoscere personalmente la vittima, ma di ricordare che Armando Abbruzzese conosciuto come “Andrea a Siccia Nivura” accompagna Speranza al bar dell’Apollinara che si trova nei pressi dell’abitazione dello stesso Nigro. «L’incontro venne organizzato da Eduardo Pepe che incaricò Nigro di condurre, sia Andrea Abbruzzese che Massimo Speranza nella casa di montagna di tale “Ciccio”». Il pentito riesce a fornire dettagli utili alle indagini, e fissa anche l’orario dell’incontro «verso le 18 circa». Con la sua autovettura, «si recano presso l’abitazione sita nei pressi di San Demetrio Corone. Durante il tragitto incontrano Rocco Azzaro e Eduardo Pepe, i quali si lamentavano con Nigro che fosse in ritardo rispetto all’orario convenuto». Tutti si dirigono verso l’abitazione di “Ciccio”.
L’arrivo coincide per Speranza con l’appuntamento con la morte. Nigro offre una sigaretta, quanto basta per distrarre la vittima freddata un istante dopo con un colpo alla testa sparato da Eduardo Pepe. Il corpo fu seppellito nei pressi dell’abitazione («a circa 100 metri e vicino la casa di una coppia di anziani») e «occultato all’interno di una buca, già pronta». Il cadavere fu coperto da uno strato di calce e poi con un successivo strato di terra. In merito alle operazioni di seppellimento, Nigro aggiunge ulteriori particolari. «Mentre stavano trasportando il cadavere della vittima nel terreno per seppellirlo, cadde un bossolo (era rimasto impigliato nei capelli della vittima) che fu da lui stesso immediatamente raccolto e buttato via». Il collaboratore ricorda anche che il corpo di Speranza «era stato avvolto in un sacco perché perdeva sangue». Infine, riferisce che «Eduardo Pepe gli confidò che l’omicidio del giovane fu fatto per fare un piacere a Giovanni Abbruzzese, detto u’ Cinese». Dieci giorni dopo il delitto (il 21 settembre) Massimo Speranza avrebbe festeggiato il compleanno, ma qualcuno ha deciso diversamente. E’ lo stesso Nigro a confessare le parole pronunciate da Pepe e Armando Abbruzzese, “gli abbiamo fatto festeggiare un bel compleanno!“. (f.benincasa@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x