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Monte Mancuso, Gruppo del Reventino: un sogno mai realizzato – VIDEO

Di Francesco Bevilacqua*

Pubblicato il: 10/12/2024 – 8:40
Monte Mancuso, Gruppo del Reventino: un sogno mai realizzato – VIDEO

Se dalla sommità di Pietra del Corvo osservi Monte Mancuso, e il sottostante Piano di San Mazzeo (ove passava l’antica via consolare romana Annia o Popilia), è come se vedessi un bisonte dalla pelliccia muscosa addormentato ai margini di un prato. Se, invece, ti affacci dal Belvedere de I Faghi, proprio sull’orlo meridionale della dorsale montuosa, è come fossi un’aquila e sorvolassi l’ovale blu del Golfo di Sant’Eufemia. E se dai coltivi di Campodorato, scruti al tramonto, l’orizzonte, ti compariranno le Eolie, come petali azzurrini poggiati sul mare di Omero.
Il Monte Mancuso è, insieme al gemello Reventino, l’ultimo anello a sud-ovest, dinanzi al Tirreno, della Magna Sila di Virgilio. Con 1328 metri di altitudine massima, i suoi culmini sono ammantati di foreste di faggi, abeti, pini, cerri, ontani, aceri. Tutt’intorno si adagiano paesi dalla storia antica: Nocera Terinese, Falerna, Gizzeria e, sul versante di Lamezia Terme gli abitati di Vonio, Acquafredda, Vallericciardo, Telara. Una montagna che le popolazioni locali poco apprezzano, se non per le abboffate di Ferragosto e Pasquetta, per i raid dei fungari e per quelle dei quad e delle moto da cross. Nessuno, infatti, aveva mai pensato che il Monte Mancuso potesse avere valore. Sino a che due insigni naturalisti italiani, Franco Tassi (che fu direttore del Parco Nazionale d’Abbruzzo) e Fulco Pratesi (che fu presidente del W.W.F. Italia), nel 1979, non pubblicarono per Arnoldo Mondadori una “Guida alla natura di Puglia, Basilicata e Calabria”. Proprio in questo libro, per la prima volta, accanto alle più note aree naturali di quella porzione di Appennino Meridionale indagata dal volume, si parlò del Mancuso come di un piccolo, grande scrigno di bellezza e biodiversità. “[…] La strada lascia i coltivi abbandonati e s’immerge nella foresta – scrivono, fra l’altro, i due naturalisti – […]. Le pendici della montagna offrono aspetti di grande valore naturalistico: boschi estesi e folti di roverelle, castagni, ontani napoletani, aceri e faggi, più densi e intensi nelle valli appartate. […] Un cenno a parte meritano gli alberi di agrifoglio, di proporzioni eccezionali […]. Presso i torrentelli ricchi d’acqua che solcano un po’ ovunque il monte Mancuso, notevole è lo spettacolo delle felci, dei muschi, delle epatiche che ricoprono il suolo. Nei tronchi marcescenti e sotto le pietre nei luoghi più umidi si può rinvenire la salamandra giallo nera”.


Ricordo ancora, negli anni ’80, le mie prime peregrinazioni pedestri sul Monte Mancuso: un’epica traversata da Piano de Aglio sino a Lamezia, di un’intera giornata, quando ancora le vecchie mulattiere erano tenute pulite e la Forestale gestiva ampie porzioni delle foreste pubbliche nel cuore della montagna; le erranze alla ricerca delle fiabesche Timpe di Manca; le arrampicate alle due, distinte, pietre del Corvo. Ma più di tutti, mi rimangono nel cuore i pellegrinaggi al grande faggio di Junci, che salvammo, un giorno, insieme al maresciallo forestale Giulio Morrone da un incendio appiccato da mani sacrileghe nel cavo del tronco. Quel patriarca arboreo visse ancora qualche anno, ma poi si schiantò al suolo. Altri ne restano, per fortuna ancora vivi, nei recessi più remoti della foresta.
Nel 1985, come W.W.F., presentammo alla Presidenza della Giunta Regionale una relazione per la creazione di un parco regionale sull’intero Gruppo dei monti Reventino e Mancuso. Ma allora non c’era ancora una legge quadro nazionale e men che meno una legge regionale. Negli anni successivi reiterammo più volte la richiesta, intervenendo anche per bloccare attività speculative nell’intera area: inutili strade di crinale, tagli scriteriati di boschi, centraline idroelettriche. Sorsero, intanto associazioni e gruppi di studio composti da esperti che appoggiarono la nostra proposta. Nel 2000 si giunse perfino ad ottenere delibere di adesione alla proposta da parte di 17 comuni del comprensorio. Intanto, nel 2003, venne approvata la legge regionale n. 10 sulle aree protette della Regione Calabria. Sino a che l’area protetta non venne prevista anche nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Catanzaro grazie all’apposito gruppo di studio guidato dal prof. Pierluigi Cervellati e dei quali ebbi l’onore di far parte. E infine, nel 2008, uscì per Rubbettino, la mia guida storico-naturalistica ed escursionistica “Il Parco del Reventino”, che anticipò, provocatoriamente, una decisione amministrativa che però non sarebbe mai stata presa.
Sicché ad oggi, tornando allo specifico del Monte Mancuso, nessun provvedimento di tutela garantisce che quantomeno l’area sommitale della montagna, quella più ricca di biodiversità e di paesaggi di pregio, possa sfuggire ai pericoli maggiormente incombenti: i tagli dei boschi d’alto fusto, l’utilizzo del legname dei boschi cedui per le centrali a biomasse, la realizzazione di impianti eolici. Eppure, proprio intorno all’area sommitale del Monte Mancuso (e più in generale di quella dell’intero Gruppo dei monti Reventino e Mancuso) sono spontaneamente sorte diverse iniziative culturali ma anche imprenditoriali ed amministrative che partono dalla rigorosa salvaguardia del patrimonio naturale e culturale dell’area per raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile.
È dunque venuto il momento di riprendere il vecchio progetto per la creazione di un’area protetta, sia essa un parco regionale, come quello delle Serre, sia essa l’istituzione di una o più riserve nelle zone più sensibili ed a maggior rischio dell’area, come è avvenuto, ad esempio alle Valli Cupe o alle Gole del Vergari. L’auspicio è che le tante associazioni ormai presenti sul territorio e le amministrazioni comunali ma soprattutto i cittadini che hanno a cuore il loro territorio portino a compimento un piccolo sogno mai realizzato.

*Avvocato e scrittore

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