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sette giorni di calabresi pensieri

In memoria di Walter Pedullà, il critico che ha tracciato da Alvaro a Criaco una linea calabrese della letteratura italiana

Leggiamolo ancora e non dimentichiamolo. La sua è una commedia con molte pagine calabresi che abbiamo il dovere ancora di conoscere

Pubblicato il: 28/12/2024 – 7:01
di Paride Leporace
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In memoria di Walter Pedullà, il critico che ha tracciato da Alvaro a Criaco una linea calabrese della letteratura italiana

Poco prima di Natale sono andato in pellegrinaggio laico all’assegnazione di un premio alla carriera a Walter Pedullà deciso dalla municipalità di Vietri sul Mare. Ero l’unico calabrese presente in sala ad assistere all’allocuzione sentimentale di Andrea Di Consoli, uno dei suoi discepoli più amati, il quale ha anche presentato l’ultimo e molto attuale romanzo del figlio Gabriele (“il figlio che mi auguravo” ne disse il padre). Ho voluto essere presente perché avvertivo la sensazione di poter essere testimone dell’ultimo riconoscimento in vita al grande calabrese morto a Roma nel giorno di Santo Stefano all’età di 94 anni. Nel dicembre del 2010 in tipografia a Milano era già morto per un infarto, salvato dall’intervento di un defibrillatore che gli aveva permesso di raccontare la sua biografia nel libro “Il pallone di stoffa” condita da un’ironia di chi aveva la capacità di ridere di tutto e soprattutto della grande commedia umana e soprattutto di sé stesso.
Celebro qui un calabrese immenso che mai aveva perso contatto con la sua terra e con la sua gente, pur essendo egli uno dei maggiori protagonisti dell’intellettualità nazionale.
Era di Siderno, figlio di un sarto mentre la madre veniva se ben ricordo da Cirella di Platì. Un subalterno che con libri e politica cambia il suo mondo per capire il mondo guardandolo da sotto. Da ogni sotto. Quello geografico e quello sociale, certificava ancora che la sua Calabria povera era cambiata con l’avanzamento sociale che l’aveva profondamente modificata nel dopoguerra. Ha trascorso la sua vita leggendo e per questo dormiva solo 5 ore a notte. Da ragazzo frequenta Mario La Cava insieme a Saverio Strati e insieme iniziano la loro formazione prendendo in prestito dal letterato volumi che mai restituiranno. Andranno insieme a studiare all’università di Messina e l’incontro di Pedullà con le lezioni di Giacomo Debenedetti sarà foriero di una scelta culturale che lo vedrà assistente a Roma del più innovativo critico letterario del Novecento e suo fervente testimone accademico e militante. Non era carrierismo ma passione per le idee.
Visse l’adolescenza Walter sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale, da giovane offre lezioni private a chi è più povero di lui, e per mantenersi agli studi per tre anni va in Basilicata ad insegnare. Fu socialista della sinistra lombardiana e di Signorile per ben 63 anni, ma ebbe rapporti stretti con Sisinio Zito socialista dotto e illuminato di Roccella Jonico, seguì l’apostolato culturale di Giacomo Mancini soprattutto come giurato del Premio Sila e come direttore della casa editrice Lerici, frequentò anche Craxi ma a mio modo di vedere fu avulso delle degenerazioni craxiste.
Professore universitario per mezzo secolo ha formato centinaia di studenti.
È lui stesso a raccontare che quasi ogni settimana al mercato, nelle redazioni dei giornali, negli aeroporti, alle Poste e nei posti più disparati incontrava suoi ex studenti. Erano diventati sceneggiatori, giornalisti, registi teatrali, professori del liceo che nel riconoscerlo gli manifestavano entusiasmo e riconoscenza. Era stato anche stroncatore critico militante dell’Avanti per oltre un trentennio non risparmiando bocciature ad amici e seguaci, consigliere d’amministrazione della Rai per tre lustri, ne è stato presidente anche nel 1993. Una trentina i libri in cui ha difeso e imposto lo sperimentalismo di D’Arrigo, Malerba e Pizzuto; quattro riviste da lui fondate e dirette e ci lascia anche una collana di cento classici italiani. Ha scritto insieme a Nino Borsellino una monumentale Storia generale della letteratura italiana in 16 volumi che è un architrave della nostra storia letteraria. In quel fondamentale lavoro culturale ha disegnato una linea calabra letteraria che arriva ai nostri giorni che senza Pedullà difficilmente avremmo fatto emergere. È lui che mette insieme Strati, La Cava, De Angelis, Seminara, Perri, Guerrazzi congiungendoli poi in nuovi studi, conferenze e interviste con i contemporanei Gangemi, Maffia, Cambria, senza dimenticare “il giovane Criaco”. È in questo c’è la misura di quanto ha dato alla Calabria e ai suoi scrittori.  Da Corrado Alvaro a Gioacchino Criaco è il tesoriere disincantato dello scrivere calabrese che diventa letteratura nazionale.
Pedullà scriveva per sapere cosa pensava. Aveva la certezza di essere un socialista ma anche la fede calcistica nell’Internazionale che scelse da bambino (“Quando nel mondo perde l’internazionalismo spero che vinca l’Inter). Aveva sentito Sandro Pertini parlare ad un comizio per le elezioni del 1948 a Siderno e raccontava: «fu così eloquente e convincente che convertì un paio di fascisti. Era così felice, se glielo rammentavo che glielo raccontavo quasi ogni volta che l’incontravo».
Pedullà amava trascorrere lunghi periodi estivi nella sua casa paterna di Siderno, (“Qui se non si era parenti si era compari”) quella costruita con i sacrifici del padre, che da sarto aveva formato diversi discepoli nel mestiere, e dalla mamma che aveva sempre avuto la consapevolezza che con un titolo di studio i poveri si riscattano. Siderno come Locride. Quella parte di Calabria mai diventata terra di overtourism e che è l’anima profonda di una regione che vide i greci fondare la civiltà.
La lunga vita di Walter Pedullà resterà una commedia. Leggiamolo ancora e non dimentichiamolo. La sua è una commedia con molte pagine calabresi che abbiamo il dovere ancora di conoscere. Perché come egli stesso ha scritto: «Molte domande restano senza risposta nel Sud, misterioso punto cardinale del mondo». (redazione@corrierecal.it)

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