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Le mille vite di Franco Pino: alleato fedele alla «linea di comando», pentito e sopravvissuto

Il 73enne “occhi di ghiaccio” torna in carcere. E’ stato alleato autorevole dei boss più potenti e figura centrale della mala cosentina

Pubblicato il: 10/01/2025 – 18:05
di Fabio Benincasa
Le mille vite di Franco Pino: alleato fedele alla «linea di comando», pentito e sopravvissuto

COSENZA Il ritorno in carcere di uno degli uomini più influenti nella storia della mala cosentina, un duplice omicidio che torna a far parlare a distanza di 39 anni, un tentativo presunto o meno (lo stabiliranno i giudici) di stravolgere la narrazione dei delitti. Ci sono storie che si incontrano e si intrecciano nella trappola mortale riservata a Marcello Gigliotti e Francesco Lenti. Teste calde, irrequieti, violenti e difficili da tenere al guinzaglio, l’atteggiamento dei due malandrini ha convinto il consesso criminale bruzio a sentenziare una condanna a morte: eseguita con modalità cruente. L’invito ad una maialata a casa di Francesco Patitucci a Rende si trasforma in una carneficina: Lenti venne decapitato, Gigliotti fu torturato e ucciso a colpi di fucile. Oggi la notizia – di Arcangelo Badolati su Gazzetta del Sud – del ritorno in carcere a 73 anni di Franco Pino, in esecuzione di una condanna definitiva per il duplice omicidio aggravato. L’ex boss della ‘ndrangheta cosentina, primo tra i capi della malavita calabrese a pentirsi, dopo aver evitato per anni la galera torna ad occupare la cella di un istituto penitenziario a distanza di anni e dopo aver collaborato – in qualità di pentito – con la magistratura.

Chi è Franco Pino

In un verbale reso a giugno 2018, presso gli uffici del Ros davanti al pubblico ministero Antonio de Bernardo, sostituto procuratore presso il Tribunale di Catanzaro,  «l’uomo dagli occhi di ghiaccio» ripercorre la carriera criminale. Il racconto parte dagli anni ’70 quando faceva parte di un gruppo «non tipicamente ‘ndranghetistico» dedito ad estorsioni, rapine e contrabbando di sigarette a Cosenza. Al vertice vi era Antonio Sena. Dal ’70 al ’77, il gruppo fu attraversato da una serie di vicende criminali ma «il salto di qualità» – confessa Pino – avviene nel ’77 «quando si giunge ad una contrapposizione tra il gruppo Sena e Palermo/Perna». L’affiliazione con la ‘ndrangheta di Pino è datata 1976, grazie ai fratelli Curcio di Cosenza (collegati ad Antonio Sena). Nel 1981, continua la narrazione, il pentito incontra nel carcere di Cosenza, Nino Gangemi di Gioia Tauro. Un soggetto vicino alla famiglia Piromalli Umberto Bellocco di Rosarno. Quegli anni sono macchiati da sangue e pallottole, a Cosenza la guerra di mafia semina morti tra il 1983 e il 1987. Seguirà la pax e la decisione di Franco Pino di collaborare con la giustizia nel 1995. Appartenere ad una linea criminale significa essere legati alle altre famiglie ed al loro «Comando centrale», nel bene e nel male e se vi è la necessità «si è obbligati a fare favori». La “linea “di Pino era rappresentata da Giuseppe PiromalliLuigi Mancuso, Nino Pesce e Umberto Bellocco». Anche se, precisa il pentito, «noi cosentini non rispondevamo alla Madonna di Polsi ma a Piromalli». A Franco Pino viene chiesto conto dei presunti «favori» resi e ricambiati ai membri della sua «linea di comando». Un do ut des che avrebbe portato il pentito ad intervenire dopo il periodo delle stragi in Sicilia. «I siciliani si rivolsero alla ‘ndrangheta calabrese sottolineando il fatto che la repressione antimafia dello Stato avrebbe coinvolto anche noi, secondo loro poteva convenire anche a noi unirci alla loro strategia di attacco allo Stato, in modo da costringerlo a trattare». Un “attacco” compiuto con una serie di attentati ai carabinieri, della strategia saranno resi edotti tutti gli uomini della mala. «Luigi Mancuso – racconta il collaboratore di giustizia – mi mandò a chiamare per partecipare ad una riunione a Nicotera Marina alla quale presero parte i maggiori esponenti della ‘ndrangheta», dalla Sibaritide alla Calabria grecanica. «Questo vi fa capire cosa intendo per linea di comando».

Il ruolo da collaboratore

Pino è stato sentito in centinaia di processi, «a Palermo, a Milano, a Torino, era l’alleato storico delle cosche De Stefano-Tegano-Libri, delle cosche dei Piromalli di Gioia Tauro, dei Farao e di Raffele Cutolo della Nco, un personaggio centralissimo, anche il più astuto, perché ha capito che rischiava di rimanere in galera tutta la vita con l’operazione Garden», ricorda Badolati. Negli ultimi anni è stato sentito nei processi “Acheruntia“, nel procedimento sulla morte di Roberta Lanzino e in quello sull’omicidio di Denis Bergamini.

Quando ha sfidato la morte

Figura ingombrante quella di Pino, diventato ad un certo punto tanto scomodo da finire nella lista dei bersagli da colpire ed eliminare. E’ il collaboratore di giustizia Francesco Vitelli a confermare il suo ruolo di promotore ed organizzatore del tentato omicidio dell’ex boss. Lo stesso Vitelli, nell’estate del 1982, venne arrestato e tradotto nel carcere di via Popilia, dove aveva deciso di «fare entrare un’arma da fuoco, una pistola e attentare a Pino, mentre lui andava dall’avvocato o doveva passare lì nel carcere». Appena uscito dal carcere, Vitelli cerca di coinvolgere Mario Pranno «il quale aveva individuato in Edgardo Greco, che “stava entrando” nel loro gruppo, la persona indicata a commettere l’azione». L’ex latitante, catturato anni fa in Francia, avrebbe agito «dietro promessa di una ricompensa fattagli da Mario Pranno».
Il 12 ottobre 1982, verso le 13, i detenuti Franco Pino, Ettore Lanzino e Marcello Calvano, ristretti nel padiglione “F” della Casa circondariale di Cosenza, vengono raggiunti da una serie di colpi di pistola «mentre transitavano per il corridoio. Subito soccorsi, i tre vengono trasportati in ospedale: Ettore Lanzino è sottoposto ad intervento chirurgico per le lesioni procurate al pacchetto intestinale, mentre Pino e Calvano vengono raggiunti all’altezza del torace ed ai piani muscolari. Per l’accaduto viene subito fermato il detenuto Edgardo Greco e recuperata, all’interno di un sacchetto, la pistola Walther calibro 7,65 dalla quale erano partiti i colpi sparati contro i tre uomini della mala bruzia. Quei momenti concitati dell’agguato vengono ripercorsi dagli agenti della polizia penitenziaria in servizio il 12 ottobre dell’82’. Il vice Sovrintendente di Polizia Penitenziaria Francesco Cifalinò dichiara di aver «sentito gli spari, vi era stata agitazione, rabbia e paura fra i detenuti, mentre l’agente di custodia Vincenzo Martino, in servizio al padiglione “F”, al secondo piano dell’edificio, dov’erano sistemati sia Greco che Perna, «uditi i colpi di pistola, era scappato al primo piano, incontrando alcuni detenuti che lo avevano preso dalle braccia, lo avevano riportato su e costretto ad aprire tutte le celle con le chiavi». Tuttavia, come emergerà in seguito, l’agguato a Franco Pino si sarebbe dovuto consumare nell’infermeria, Edgardo Greco fece fuoco sperando di eliminare il boss «caduto per terra», ma l’arma si inceppò. Il resto è storia. (f.benincasa@corrierecal.it)

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