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cosenza, il mab e Mancini

“Ara funtana i Giugno”

Franz, quando deciderai finalmente di intraprendere il “Tour de Franz” promesso durante la campagna elettorale dovrai prendere inevitabilmente atto che la nostra città, nel frattempo, è diventata …

Pubblicato il: 12/01/2025 – 12:51
di Arnaldo Golletti
“Ara funtana i Giugno”

Franz, quando deciderai finalmente di intraprendere il “Tour de Franz” promesso durante la campagna elettorale dovrai prendere inevitabilmente atto che la nostra città, nel frattempo, è diventata un cimitero.
Non dovrebbe bastare essere morti infatti per vedere il proprio nome annoverato nella toponomastica urbana. Se pensi, dunque, di essere in possesso degli strumenti necessari per mettere “le idee a posto”, allora, per iniziare, poni fine alla scandalosa pratica della toponomastica “ruffiana” introdotta negli ultimi lustri da improbabili amministratori municipali, mossi piuttosto da “furia iconoclasta” e invidia sociale, ripristinando i nomi di strade e piazze, inopinatamente soppressi, già intestate per celebrare persone illustri che, in epoche diverse da quella contemporanea, hanno illustrato la Città di Cosenza, e che con il loro operato si sono mostrati all’altezza del suo portato storico-culturale e del suo trascorso di rango. Ma anche di episodi storici importanti. A cominciare da piazza Luigi Fera, che amministratori più illuminati e orgogliosi di quelli più o meno recenti facendosi interpreti di un sentimento comune avevano intitolato appunto all’insigne avvocato penalista, che si esaltava dell’alta eloquenza, si compiaceva di studi filosofici ed aveva il denaro in gran dispregio. E che è stato Sindaco di Cosenza alla stessa stregua di tanti altri cosentini illustri quali Mario Mari, Bernardino Alimena e Tommaso Arnoni, solo per citarne alcuni. Quanto allo slargo di corso Mazzini nel quale dal tempo dei tempi sotto la Caserma dei Carabinieri è collocata la “Fontana di Giugno” , “stai sereno” , anzi restate sereni tutti quanti perché la saggezza popolare se ne infischia delle miserie della politica. I cosentini lo indicano e continueranno a indicarlo con “ara funtana i Giugno”, così come accade per piazza Fera e per lo stesso corso Mazzini. Il centro cittadino vale a dire, con l’originario e temerario progetto Mab, trasformato in fase esecutiva nel Suq maleodorante che vediamo oggi, caratteristico di altre culture e di scambi e trattative non sempre limpidi, dove si aggrovigliano umanità e funzioni diverse assolutamente contrastanti tra loro, frutto di relativismo culturale e di una visione ideologica mercantilistica e incivile del vivere sociale. Dove incuria e sciatteria piuttosto che il “decoro urbano” fanno la cifra della svagatezza delle amministrazioni che si sono succedute a palazzo dei Bruzi negli ultimi lustri, in vero dove la dispersione lenta e graduale di senso civico, in barba al presunto “civismo”, proclamato a ogni piè sospinto dal neo-politichese, e la sub-cultura del «cattivo gusto» hanno preso il sopravvento sullo spirito pubblico e sulle buone maniere, rendendo i cosentini estranei in casa propria. vittima di ogni possibile abuso. In più facendo perdere alla città la sua anima e la sua vocazione. Se volessimo dare un senso alle cose, in un tempo in cui la distanza tra il discorso ufficiale e la realtà non è mai stata così grande. preferendo, in altri termini “…indulgere nei paradossi, piuttosto che nei pregiudizi”, allora lo spazio pubblico di corso Mazzini impropriamente definito “piazza”, a buon ragione, lo dobbiamo intestare all’edicola di “Permesso”, personaggio dalla fama vastissima e immortale. Franz, non ti accorgi che intorno a te la grancassa infuria e che per timore di stecche, tu rispondi con un flauto sfiatato.
“Audacia d’intelletto e d’azione – dunque – audacia nell’innovare e nel conservare. L’audacia è oggi quel che ci occorre. Con riguardo al sindaco Giacomo Mancini vale la pena richiamare che “quel che è più antico, e che continua ad esistere, è necessariamente quanto vi è di meglio, poiché il tempo non ne ha alterato il valore. Mancini aveva delle certezze. Lo si può dire come un rimprovero o al contrario con invidia. Il cristianesimo è una religione dello spirito che dà un posto all’anima, per Mancini, detto da Giampiero Mughini, la politica era una seconda anima. E la sensibilità e l’ intelligenza della politica erano, per lui, una seconda pelle. Con ogni evidenza in questo tempo nel confronto politico c’è più intolleranza che intelligenza.
Il XX secolo resterà nella storia come il secolo in cui si è smesso di tramandare. Non che sia ignorato il passato, anzi. Lo si è esplorato, frugato, sfruttato come mai era stato fatto prima. Si è consumato il passato, in tutti i sensi e ora non c’è più nulla da trasmettere. Quando si nega il valore del passato, di solito è per far dimenticare i difetti del presente. E si resta sbalorditi nel vedere fino a che punto molta parte degli uomini politici contemporanei, abbiano, nel frattempo, interiorizzato acriticamente i “valori dominanti” del conformismo. “Il suo impegno meridionalistico, assolutamente distante dalla sua forma debole forse può rappresentare ancora un valido esempio per tutti coloro che, nelle Calabrie, intendono farsi carico della cosa pubblica rifiutando ogni forma di assistenzialismo diretto, indiretto o artefatto per formulare un nuovo modello di sviluppo capace di rispettare e valorizzare le risorse e le vocazioni territoriali definito sui principi
dell’autonomia, della complementarietà e della sussidiarietà. La sua azione di ministro dei Lavori Pubblici – analogamente all’azione condotta prima di lui dal ministro Michele Bianchi – altresì quella di Mancini da ministro per il Mezzogiorno possono costituire forse un orientamento per l’azione politica degli amministratori calabresi tesa a dotare le Calabrie delle infrastrutture materiali e immateriali indispensabili per recuperare il deficit accumulato nel tempo. Il suo appassionato impegno da ministro della Sanità per riscoprire il valore della salute sociale e di una politica per la sanità congeniale a un modello di Stato sociale ben diverso dal Welfare cui siamo stati negli ultimi decenni abituati. L’intransigente garantismo di Mancini che ci richiama alla condivisione di una grande battaglia comune per giungere, finalmente, nel nostro paese, a una riforma “giusta” della Giustizia.

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