COSENZA La scarcerazione di Omogo Chiediebere Moses, marito di Rosa Vespa, ha sollevato polemiche e reazioni. L’assenza di responsabilità del 43enne nigeriano nel tentato rapimento di Sofia Cavoto è palese per il magistrato Antonio Bruno Tridico che ha coordinato le indagini e per la gip Claudia Pingitore che ha deciso il ritorno in libertà dell’uomo all’esito dell’udienza di convalida. Ignaro e non complice del progetto messo in piedi dall’indagata, Moses – sin dal blitz dei poliziotti nella abitazione a Castrolibero – è risultato estraneo alla vicenda. La moglie si è assunta tutta la responsabilità, come lei stessa ha avuto modo di ammettere agli uomini della Questura. «Mio marito non ha colpe, ho fatto tutto io». La donna sarà sottoposta a visita psichiatrica come richiesto dai suoi legali Teresa Gallucci e Gianluca Garritano.
E ieri, Moses, ha confermato il proprio stupore dinanzi a quanto accaduto nel corso della trasmissione “Cinque Minuti” in onda su Rai 1 e condotta da Bruno Vespa. Intanto, Valeria Chiappetta – mamma della piccola Sofia – in qualità di esercente della responsabilità genitoriale ha scelto di essere rappresentata dall’avvocato Chiara Penna.
Chi indaga passa al setaccio il passato della donna. L’attenzione si concentra sullo smartphone in uso alla donna: il dispositivo contiene alcune conversazioni intercorse tra i due coniugi. Vespa aggiorna Moses sulle fasi precedenti al parto, comunicandogli la nascita del bambino» e inviando «due immagini raffiguranti un bambino appena nato, sorretto dai sanitari». Quelle stesse immagini – come avrà modo di verificare la polizia – saranno poi inoltrate anche ai familiari. In una delle chat intercorse con il marito, Vespa invia la foto di un neonato avvolto in una copertina e con un cappellino in testa. La frase cha accompagna lo scatto è eloquente: «Amò Anselmo dorme» e «Dio è grande sempre».
Una serie di «non ricordo» hanno caratterizzato la confessione resa da Rosa Vespa. La donna, tuttavia, ha fornito un racconto su uno spaccato drammatico della sua vita segnata dalla morte del padre. «Era precipitata in una situazione di forte disagio psicologico, sentendosi una donna a metà» a seguito delle difficoltà riscontrate, sino a quel momento, «a restare incinta e a realizzare il suo sogno di avere una bella famiglia e dei figli».
Nel mese di maggio 2024, un altro evento segnerà la vita della 52enne cosentina. «L’assenza di ciclo mestruale si prolungava da due mesi» e l’indagata si «convinceva di essere rimasta incinta e informava il marito». In quel momento, Moses era in procinto di partire per la Nigeria a seguito della morte della madre. Rosa Vespa non cerca riscontri clinici, non si reca dal ginecologo e non si sottopone ad alcuno esame di routine «se non fittiziamente, come riferito in sede di spontanee dichiarazioni». Non è ancora chiaro quando la donna abbia acquisito consapevolezza della infondatezza della sua convinzione. A tal proposito, la donna riferirà di «aver cercato di capire come uscire da quella assurda e grave situazione, ma senza aver mai pensato a rapire un bambino». Lo stato confusionale, la porterà poi ad entrare nella clinica Sacro Cuore per tentare prima di portare via un bambino poi «a fronte del diniego della madre», l’indagata «vaga ancora per i corridoi», entra in una seconda stanza e «qualificatasi come puericultrice» riesce a prendere in consegna la piccola Sofia Cavoto.
Giunti a casa, dopo i saluti con i parenti pronti a dare il via ai festeggiamenti, Vespa si reca «in un’altra stanza, da sola, per cambiare il pannolino alla bambina, alla quale faceva indossare una tutina diversa (…) la tutina rosa indossata dalla piccola Sofia veniva messa in una busta e riposta in bagno». L’indagata inizia a comprendere la portata dell’azione compiuta e inizia a «comporre il numero dei carabinieri con il suo telefono al fine di confessare agli stessi quanto accaduto». Quella telefonata non partirà, ma qualche ora dopo alla sua porta busseranno gli uomini e le donne in servizio alla Questura di Cosenza. (f.benincasa@corrierecal.it)
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