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I VERBALI

‘Ndrangheta, gli spari a Campisi e Cuturello e il mistero della panda bulgara. Megna: «Piccolo non ne poteva più»

Ai pm il racconto del pentito. «Avvenne un’altra sparatoria organizzata da Totò Campisi e Salvatore Cuturello per vendetta»

Pubblicato il: 11/02/2025 – 11:26
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, gli spari a Campisi e Cuturello e il mistero della panda bulgara. Megna: «Piccolo non ne poteva più»

VIBO VALENTIA «Posso riferire sulla sparatoria in cui venne colpito Totò Campisi e Alfonso Cuturello. A sparare è stato Antonio Piccolo, li ha sparati nelle gambe con una pistola 9 corta, cal. 380. È stato lui stesso a raccontarmelo, mi aveva anche riferito che lo picchiavano quasi tutti i giorni e lo accusavano di un furto alle giostre, ma non so dire se fosse un furto di gasolio o di qualche altra cosa». Il racconto ai pm della Distrettuale antimafia di Catanzaro è del collaboratore di giustizia Pasquale Megna, classe 1985, pentitosi dopo l’omicidio di Giuseppe Muzzupappa. Ora le decine di pagine di verbali resi ai pm sono state acquisite nell’ambito del processo d’appello “Rinascita-Scott”.

Il primo soggetto a cui Megna fa riferimento è il figlio di Domenica Cuturello e Mimmo Campisi, ucciso in un agguato di stampo mafioso a Nicotera il 17 giugno del 2011, quindi entrambi nipoti di Salvatore Cuturello. Mentre Alfonso, classe 1988, è il figlio di Roberto Cuturello, nipote di Romana Mancuso, Giovanni Rizzo e di Peppe ‘Mbrogghia Mancuso, ed è quindi considerato dagli inquirenti appartenente all’ambiente ‘ndranghetista dei Mancuso. Il suo nome è tra i 70 imputati nel processo nato dalla maxinchiesta “Adelphi”, il blitz della Dda di Catanzaro che avrebbe svelato – oltre 10 anni fa – le rotte del narcotraffico tra il Sudamerica e il territorio di Vibo Valentia, lungo l’asse che dai clan calabresi portava ai cartelli e ai narcos della Colombia e del Venezuela. Recentemente il nome di Alfonso Cuturello è saltato fuori anche dalle carte dell’inchiesta “Doppia Curva” della Procura di Milano – ma non è indagato – in quanto avrebbe avuto frequentazioni a Milano con gli ultrà di Inter e Milan, al punto di essere tra i partecipi della partitella giocata tra i “Fratelli di Milano” in occasione del compleanno di Marco Ferdico, portavoce della Nord dell’Inter, poche ore prima della morte di Totò Bellocco, rampollo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta.

L’uomo coi guanti e la panda con targa bulgara

Ai pm, Megna illustra poi altri dettagli proprio legati alla sparatoria. «Antonio Piccolo mi raccontò che Campisi e Cuturello dicevano in giro che la sparatoria era avvenuta in contrada Gagliardi, mentre in realtà il fatto era avvenuto nel capannone di proprietà di Giovanni Rizzo». Una indicazione “diversa” in ospedale e alle forze di polizia intervenute che, secondo il pentito, era un tentativo «per evitare che risalissero al luogo effettivo dove si erano svolti i fatti». «Dopo tanto tempo, un giorno, mentre mi trovavo in un bar all’entrata di Nicotera, è entrata la moglie del proprietario, ricordo che quel giorno faceva caldo e la moglie del barista disse: “sta entrando qualcuno con i guanti”». Una circostanza che il pentito ritenne «strana», ipotizzando che qualcosa stesse effettivamente per accadere. «In effetti entrò un uomo con il cappellino e con i guanti, mentre io ero vicino al biliardo» e «dato che c’ero solo io, ho pensato si trattasse di qualcuno che voleva fare qualcosa a me». Così, una volta che la persona sospetta uscì dal bar, Megna racconta di aver preso la macchina per andare verso casa. «Per strada incontrai una panda con la targa bulgara e con tre persone a bordo: attirò la mia attenzione la targa straniera ed il fatto che dentro la macchina c’era l’uomo che ho riconosciuto dal cappellino come lo stesso che era entrato nel bar poco prima». E, inoltre, Megna ricorda che «la macchina con targa bulgara si fermava e si affiancava, sportello con sportello, ad una macchina a bordo della quale viaggiava Salvatore Cuturello, fratello di Roberto».

Le ricerche avviate da Mancuso “l’ingegnere”

Megna poi spiega ai pm di aver raccontato il fatto o al padre, Assunto Natale, o a Pantaleone Mancuso “l’ingegnere” «ma non ricordo di preciso a chi dei due», anche perché lì per lì nessuno gli diede molta importanza «o, comunque, forse non mi ha voluto far capire che si trattava di un fatto importante». Tant’è che, ha spiegato ancora il collaboratore di giustizia, due giorni dopo Mancuso avrebbe avviato le ricerche della panda con targa bulgara, «impegnando un sacco di persone in questa ricerca», racconta ai pm anche perché «fu lui a dirmi che si stava occupando personalmente della ricerca, ma che non si riusciva a trovare questa macchina con targa bulgara». Secondo il racconto del collaboratore di giustizia ai pm, «un giorno, senza dirmi nulla, Pantaleone Mancuso mi chiese di accompagnarlo a Gioia Tauro perché in quel momento non aveva la patente». «Ricordo che lo accompagnai da un rivenditore di fontane in pietra, per attività di giardinaggio, di fronte ad una colonnina di benzina. Giunti sul posto, però, Pantaleone Mancuso chiedeva alla persona del negozio di chi fossero le macchine in vendita, ubicate presso la colonnina di benzina». «Compresi solo in quel momento – racconta Megna ai pm della Dda – perché Mancuso non me ne aveva parlato prima – che il motivo per cui ci trovavamo lì era la ricerca della panda con targa bulgara che avevo avvistato a Nicotera». Megna racconta che Mancuso avrebbe notato tra quelle auto una panda con targa bulgara, «lì per lì confermai che si trattava dello stesso mezzo, anche se poi si è saputo che non era quella la macchina che avevo visto».

La sparatoria davanti alla pizzeria

Ma perché la ricerca di questa panda era così importante anche per “l’ingegnere” Mancuso? «Le ragioni – ha spiegato Megna ai pm – sono ricollegate ad una sparatoria che è avvenuta davanti alla pizzeria denominata “il Capitano” (che ora si chiama “da Peppino”) alla quale hanno partecipato, da un lato, tre ragazzi di Laurearla di Borrello su una Fiat Uno e, dall’altra, Antonio Piccolo ed il fratello Davide su una Fiat Stilo». «Davide guidava, pur non avendo la patente, e ha tamponato la Fiat Uno trascinandola contro un muro e, nel frattempo Antonio sparava. I mandanti di quest’azione violenta erano, per come ne ho parlato con Luni “l’ingegnere” e con il figlio Giuseppe, Totò Campisi e Salvatore Cuturello, i quali si volevano vendicare dell’agguato subito da parte Antonio Piccolo».

Il collegamento dei due episodi

Il collaboratore di giustizia spiega che Mancuso “l’ingegnere” si era recato al bar di Nicotera per avere informazioni dal barista che «gli aveva riferito della mia presenza all’interno del bar e del fatto che pochi minuti prima fosse uscito dal locale Antonio Piccolo». E così, «unita al mio racconto sull’affiancamento della panda con il veicolo guidato da Salvatore Cuturello, aveva fatto sì che Mancuso Pantaleone ricollegasse i due avvenimenti». «Sempre successivamente, ho saputo del coinvolgimento, nella seconda sparatoria avvenuta a distanza di tempo davanti alla pizzeria “Il Capitano”, di soggetti di Laureana di Borrello che erano stati assoldati da Totò Campisi e tra cui vi era un ragazzo, nipote di Salvatore Zungri che, nella sparatoria, ha perso una gamba: si è salvato perché ha scavalcato il muretto ed è riuscito a scappare». (g.curcio@corrierecal.it)

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