Il “dono immeritato” della giurisdizione
Sarà che sono cattolico e, quindi, abituato a riconoscere i doni immeritati dello Spirito, ma in questo dibattito sulla separazione delle carriere, nel quale si confrontano tesi opposte, non riesco p…

Sarà che sono cattolico e, quindi, abituato a riconoscere i doni immeritati dello Spirito, ma in questo dibattito sulla separazione delle carriere, nel quale si confrontano tesi opposte, non riesco proprio a cogliere quel senso profondo di responsabilità che dovrebbe animare ogni dibattito sui diritti. Cercando di superare le “frasi fatte” che caratterizzano le proposte provenienti dalle Camere Penali e, viceversa, mettendosi dalla parte di noi modesti operatori del diritto (che non abbiamo l’ambizione di determinare le scelte di politica criminale, né pretendiamo, usando d’un pizzico d’umiltà, di costituire il punto di riferimento di chi, con i propri limitati mezzi, è semplicemente schierato sulla trincea della tutela dei diritti), né di trasformarci transgender della volontà popolare né masanielli “de noantri” a puro scopo promozionale, insomma mettendoci dalla parte di quelli che sanno usare della legge per difendere i cittadini nella consapevolezza d’essere in campo come Davide contro Golia, ma, forti della Costituzione, capaci di competere con adeguati valori (e non sempre idonei mezzi),di quelli che non hanno bisogno di tutele associative per manifestare il proprio pensiero e neanche per “sbarcare il lunario”, insomma cercando d’interpretare quel disagio proprio di chi la Professione di Avvocato la fa davvero e non è così autoreferenziale da pretendere d’insegnarla, penso vengano da porsi alcuni essenziali interrogativi.
Il primo. Molti anni fa, quando ancora i giovani rampanti penalisti di oggi “facevano le medie”, uscii dalle Camere Penali in aperto contrasto con la “battaglia” della “separazione delle carriere”. Lo ritenevo -e lo ritengo tuttora- un combattimento inutile se non altro perché gli avvocati d’una certa esperienza ben sanno che non è certo la comune appartenenza allo stesso ordine giudiziario di magistrati inquirenti e giudicanti ad alterare la parità delle parti dinanzi al giudice terzo. Sebbene sulla terzietà del giudice ci sarebbe molto da dire (ma non mette conto di dirne costi’), mi limito ad osservare che l’imparzialità del giudice è molto spesso suggellata dalla sua indipendenza di giudizio che, assai di frequente, si scontra con una certa approssimazione, fattuale e giuridica, dell’ipotesi accusatoria formulata dal magistrato inquirente. Sicché non di rado mi sono trovato dinanzi a giudici i quali hanno ritenuto eticamente e giuridicamente indecenti alcune iniziative giudiziarie e, seppure con molte sgradevoli cautele, le hanno infine cassate. Ciò che quindi garantisce l’effettività della parità fra accusa e difesa,n on è certo la posizione di partenza ma il percorso, durante il quale, ripeteva il mio Maestro, devi cercare di seguire il giudice nel ragionamento che il diritto impone che si faccia. E spesso l’Avvocato, se competente, ”mette all’angolo” il suo avversario, offrendo al giudice l’opportunità di evidenziare la superiorità culturale e professionale che distingue chi deve soltanto chiedere da chi, invece, deve decidere.
Il secondo. Detto questo, devo, mio malgrado, contraddire il neoeletto presidente dell’ANM, il quale dice una cosa ma ne tace un’altra. Mentre è certamente vero che i cittadini hanno diritto d’incontrare la giurisdizione sin dal momento della notizia criminis – e che ciò avviene a mezzo del magistrato inquirente -,è altrettanto vero che questa prerogativa per i magistrati delle Procure è diventato un “dono immeritato”. Nel senso che i PM, i quali certamente avrebbero dovuto essere ciò che la legge gl’impone, si sono trasformati in dei “poliziotti in toga”, accusatori accaniti perfino dinanzi a prove schiaccianti d’innocenza. E si sa: “dalle e dalle se spezza pure o metallo”! A furia di forzare la mano siamo arrivati al punto che i cittadini possono perdere una garanzia assoluta: la giurisdizione in capo al PM. Con soddisfazione chi vuol vedere nella polvere i protervi potenti magistrati, da sempre impuniti, canta vittoria pensando che questo risultato normativo varrà a ridimensionarli… Poveri illusi: avremo poliziotti che guidano poliziotti senza più nessuna tutela rispetto alle anomalie ed alle forzature spesso prodotte dalle forze dell’ordine. Il sistema anziché progredire regredirà per il semplice fatto che si sta buttando via “il bambino con l’acqua sporca”. In questa battaglia sta prevalendo, infatti, una dimensione punitiva verso chi ha oggettivamente abusato: si vuol punire l’errante, non esecrare e così superare l’errore. In questo vedo una deriva ideologica inaccettabile rispetto alla quale ogni vero democratico dovrebbe opporsi. E mi stupisco che una parte dell’Avvocatura italiana (tale -e niente di più- sono le Camere Penali…anche se spesso pretendono di parlare a nome di tutti i penalisti del Paese…), non veda questo serpeggiante autoritarismo travestito da liberalismo che, viceversa, a me pare d’una evidenza lampante! Seguito a ritenere che il problema di fondo, travisato nel crogiolo della parità delle parti, sia quello della responsabilità dei magistrati, sopratutto di quelli inquirenti. Altro che separazione delle carriere: occorrerebbe, piuttosto ,tenere indenni i giudici, con appropriate riforme dell’ordinamento giudiziario, da dirette responsabilità (al fine di garantirne l’effettiva indipendenza e imparzialità),ma al contempo responsabilizzare i magistrati del PM sopratutto nei frequentissimi casi nei quali non operano con la terzietà e l’indipendenza propria della funzione giurisdizionale.
Il terzo. E prendo spunto, infine, dalla quotidianità di noi Cristiani, peccatori incalliti, “esperti” di doni immeritati: anche se il dono dello Spirito con le nostre azioni (od omissioni) non lo guadagnamo affatto, Dio lo stesso lo elargisce, ma ci chiede di farne un uso responsabile. Mai, dunque, fa venir meno il bene per tema che ne abusiamo! E ciò perché togliendo si rimane più poveri mentre donando -e quindi aggiungendo- comunque si progredisce nella comune, misera, umanità.