‘Ndrangheta, la “tassa” sui lavori per assistere i detenuti e per «stare tranquillo». L’incubo di un imprenditore di Diamante
I fatti emersi dall’inchiesta che ha portato all’arresto di 5 persone. Sarebbero legati alla ‘ndrina Stummo-Valente subordinata ai Muto di Cetraro

COSENZA Una richiesta estorsiva con la “scusa” di dover mantenere e assistere molte persone che si trovavano in carcere. E poi perché Diamante, in fondo, era il loro territorio, e quindi la richiesta di denaro era una conseguenza naturale: 40mila euro per l’esattezza, cifra che proveniva dai lavori pubblici in corso d’opera a Cirella di Diamante. È questo il fulcro dell’inchiesta che, all’alba di oggi, ha portato all’arresto di 5 persone su ordine del gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Distrettuale antimafia. Si tratta di: Leonardo Bevilacqua (cl. ’86); Roberto Cesareo (cl. ’67); Giovanni Marino (cl. ’83); Salvatore Orto (cl. ’90) e Franco Valente (cl. ’62), tutti e cinque finiti in carcere su ordine del gip del Tribunale di Catanzaro, Mario Santoemma.
Le richieste di soldi per «stare tranquillo»
Questo perlomeno quanto si è visto chiedere un imprenditore edile della zona, avvicinato con metodi intimidatori addirittura mentre si trovava a bordo della propria auto, lungo la SS18, dopo essere stato “lampeggiato” da una Fiat 600. A bordo la vittima riconosce due uomini: una tale Giovanni di San Nicola Arcella e Roberto Cesario di Cetraro. L’imprenditore, molto preoccupato e intimorito, riesce a raccontare quanto avvenuto ai Carabinieri di Diamante, dopo aver fatto loro segno di fermarsi, per strada, «mostrandosi particolarmente agitato» e riferendo ai militari, una volta giunti in Caserma, di «aver timore per la sua incolumità». La vittima, poi, aveva spiegato che «le richieste a suo parere partivano da Cetraro e che erano soggetti che facevano sul serio».
Dopo il primo episodio, la storia si sarebbe ripetuta qualche settimana più tardi. La vittima contatta nuovamente i Carabinieri, questa volta denunciando un incontro avuto in un bar con tale Salvatore Orto. Quest’ultimo, come riporta il gip nell’ordinanza, gli avrebbe detto «che per stare tranquillo e non avere problemi, era meglio se a Giovanni un qualcosa di soldi glieli doveva dare, anche mille euro, erano al momento sufficienti per farli stare tranquilli e far vedere la sua disponibilità a pagare…», concetto ribadito anche quando la vittima spiegava di non avere la minima intenzione di sborsare un euro. All’ennesima denuncia, i militari riuscivano a tratteggiare l’identikit dei soggetti denunciati dalla vittima.
I profili criminali
A cominciare da Roberto Cesareo, soggetto con alle spalle numerosi precedenti, arrestato nel 2013 nell’operazione “Plinius”. L’altro, invece, è stato identificato in Giovanni Marino che, sebbene abbia alle spalle un solo precedente, di particolare interesse per gli inquirenti sono «i numerosi controlli con soggetti pregiudicati e intranei alla criminalità organizzata. Ma non è tutto. La pericolosità degli indagati, infatti, veniva rappresentata alla vittima anche da un altro soggetto di elevata caratura criminale: Salvatore Orto. Quest’ultimo, infatti, oltre a vantare numerosi precedenti penali in materia di stupefacenti, così come emerso in altri contesti investigativi, sarebbe anche uomo di fiducia di Antonio Mandaliti (cl. ’57) di Paola, attualmente recluso nel carcere di Asti. Quest’ultimo, oltre ad essere a capo della ‘ndrina di Diamante, come riferito dai vari collaborati di giustizia nel corso degli anni, sarebbe secondo, in ordine di importanza, solo al boss Franco Muto e a suo figlio Luigi.
Gli Stummo-Valente all’ombra della cosca Muto
Insomma, quelli emersi dall’inchiesta sono episodi che si incastrano all’interno di uno scenario criminale particolarmente importante, quello di Scalea, Cetraro e Diamante, segnato dalla presenza ingombrante di potenti clan di ‘ndrangheta che si sono avvicendate negli ultimi anni. Un contesto criminale fortemente attivo – spesso sanguinario – che si manifesta attraverso un controllo capillare del territorio – con il soffocamento delle attività produttive attraverso estorsioni di denaro o altre utilità, il “solito” contributo per le famiglie dei carcerati o aiuto agli amici e regalie per Natale. Qui, infatti, si è imposta la ‘ndrina Stummo-Valente, operante sul territorio di Scalea e territori limitrofi, direttamente collegata e subordinata alla cosca Muto di Cetraro, come era già emerso nell’operazione “Plinius” che aveva documentato l’evoluzione del sodalizio, registrando la saldatura tra le due fazioni: quella facente capo a Pietro Valente e quella che risponde a Mario Stummo, «costretti a convivere» per la loro «sudditanza al “Locale di Cetraro”». Accuse che hanno poi trovato la definitiva consistenza con la sentenza della Cassazione risalente al 15 giugno del 2016. (g.curcio@corrierecal.it)
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