Formazione di Alvaro. Dai versi adolescenziali a Poesie in grigioverde
Corrado Alvaro fu, con Brancati, Vittorini, Jovine, Moravia, uno degli scrittori più impegnati del primo cinquantennio del secolo scorso

Narratore, poeta e operatore culturale, nutrito di un’ardente sete di conoscere, di sapere, di sperimentare, Corrado Alvaro fu, con Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Francesco Jovine, Alberto Moravia, uno degli scrittoi più impegnati del primo cinquantennio del secolo scorso. Del ‘900 visse le contraddizioni, le angosce, le lacerazioni, le tragedie immani, le frustrazioni, insieme alla speranza, flebile ma ferma, in un possibile mutamento dei tempi, dopo lo sfascio delle coscienze e della natura operato dall’uomo.
Narratore e lirico capace di una scrittura insieme trasognata e concretissima, allusiva e vera, evocativa e saldamente reale, Alvaro seppe trasfigurare nella sua fervida fantasia l’intera vicenda storica e umana della sua terra, rivivendo situazioni e personaggi cari alla mente e al cuore di ogni calabrese autentico, ma nei quali si ritrova, e si riconosce, una umanità senza tempo e senza barriere geografiche. In questo è la sua originalità, nell’essere rimasto tenacemente, nella sua vasta produzione creativa, insieme calabrese e scrittore italiano e autenticamente europeo. Che fu anche il suo orgoglio.
Questa mia digressione vuole avere un senso anche per la comprensione dei suoi tentativi di poesia, dalle adolescenziali esercitazioni scolastiche ai componimenti esemplari della silloge più matura, Poesie grigioverdi del 1917, al poemetto incompiuto Il viaggio.
Corrado Alvaro iniziò a scrivere ancora ragazzo, a diciassette anni. I suoi primi componimenti poetici che conosciamo portano la data “agosto 1912”, e si conservano nel “Fondo Lico”, dal nome di un suo amico fraterno. Un fondo prezioso, che Vito Teti è riuscito a rintracciare, grazie a Gilberto Floriani, già Direttore del Sistema Bibliotacario Vibonese, e che ora è custodito presso il “Centro di Ricerca Demoetnoantropologico Raffaele e Luigi M. Lombardi Satriani. Memorie-Futuri-Intelligenze” – Dispes-Unical. Per Alvaro, la poesia era di casa. Il padre, maestro elementare, che per un paese aspromontano era la sapienza fatta persona, era un rimatore in dialetto e, ricorda il figlio, “spesso saporitissimo”. In Memoria e vita scrive che il padre “stimava l’ingegno sopra ogni cosa, e poi la cultura, infine la ricchezza di cui aveva il rispetto e il terrore come d’una potenza occulta”. Anni dopo, in Il fascino della cultura (compreso nel volume postumo Il treno del Sud), noterà che – “Il problema meridionale non è soltanto di povertà e di disgregazione sociale. È anche un problema di cultura”. E, perché i figli fossero buoni custodi della cultura, il padre pensò di “mandarli lontano ad apprendere le buone maniere e un linguaggio corretto”. Inizia così l’odissea di Alvaro fanciullo.
A dieci anni lascia la casa paterna per proseguire gli studi nel collegio dei gesuiti di Mondragone, presso Frascati. Sappiamo che quell’esperienza fu negativa. Non andò meglio in un altro collegio, ad Amelia, in Umbria. Dovette tornare in Calabria e, dal 1910 al 1914, frequentò il Liceo Galluppi a Catanzaro. Fu qui che ebbe compagno di studi e amico Domenico Lico, che conservò i manoscritti giovanili di Alvaro, tra i quali componimenti in versi ed inediti. Va detto che Alvaro aveva posto una pietra sopra alle sue prove giovanili. Nel 1940, quando Lico lo informò che stava scrivendo qualcosa che lo riguardava, con specifico riferimento agli anni 1910-1914, e gli chiese di poter utilizzare i manoscritti in suo possesso, Alvaro lo implorò di non farlo.
Teti ed io abbiamo comunque deciso di comprendere quei primi versi alvariani in Un Paese e altri scritti giovanili (1911-1916), edito da Donzelli nel 2014, persuasi d’illuminare meglio la personalità complessa, umorale, inquieta, ma sempre schietta e onesta, sin dagli albori della sua formazione culturale. La lettura di quei componimenti evidenzia innanzitutto l’impressionante voracità di letture e d’interessi culturali. I modelli non potevano che essere quelli scolastici, a partire dalle canoniche trilogie Foscolo-Manzoni-Leopardi e Carducci-Pascoli-D’Annunzio, con la ovvia suggestione dei classici greci e latini, e di altri autori italiani e stranieri presenti nelle antologie scolastiche in adozione. Non bisogna pertanto stupirsi di trovarci di fronte a prove scolastiche attardate rispetto a quanto accadeva, in quel primo decennio del Novecento, in Italia e in Europa. Il Programma del verso libero di Gian Piero Lucini è del 1908; il Manifesto del Futurismo di Marinetti del 1909; il Codice di Perelà di Palazzeschi del 1910; i Colloqui di Gozzano del 1911; La persuasione e la rettorica di Michelstaedter del 1913. Ma ci sarebbero voluti ancora anni perché la ventata d’aria nuova interessasse anche l’attività letteraria della Calabria. Alvaro ne avrebbe sperimentato il benefico influsso tra qualche anno, da arruolato nella fanteria allo scoppio della Grande Guerra. Allora avrebbe dato alla luce frutti poetici maturi, evidenti in Poesie grigioverdi (1914-1916).
Nei versi scritti negli anni della guerra vissuta in prima persona, Alvaro esprime quel senso di saggezza antica in cui la moralità si fa immagine cristallina di un’umanità classicamente dominata. Un’umanità che lo avvicina profondamente a illuminate coscienze coeve, come lui fortemente legate a una ferma visione etica dell’essere nel mondo. Basti pensare alle consonanze di contenuti e, in qualche misura, anche di forme poetiche, con campioni di una sofferta ma praticata fede cristiana come Rebora e Jahier. O all’apprezzamento del nobile stoicismo di chi, sempre sconfitto, ritenta comunque di risalire la via scoscesa della rinascita, come campana e Cardarelli, tutti, per vie, diverse, cantori di una lirica nuova nel contenuto e nella modulazione della parola poetica. Alvaro si ritrova perfettamente in ciò che Cardarelli scrive di sé in una “lettera mai spedita” A un giovane critico: “Tutti mi danno addosso perché discorsivo. E che hanno mai fatto i poeti se non discorrere?”. Anche per Alvaro essere “discorsivo” non era un difetto. In Poesie grigioverdi, perciò, usa un timbro cantilenante e dimesso, quasi da cantastorie, per narrare l’amara esperienza di chi, nato e cresciuto in un mondo di affetti sacrali, si ritrova nell’inferno delle trincee, a vivere un destino allucinante di sangue e di lutti. Il racconto di eventi personali possiede così una valenza universale, e i versi del giovane Alvaro si popolano, metaforicamente, di piante e animali che appartengono al suo Aspromonte come ad altre terre, emblemi universali della maestà della Natura e dell’opera dell’uomo, dei suoi riti, dei suoi miti, delle sue gioie e delle sue pene.
Naturalmente, il tema principale è quello della guerra. E di questo parlano le due liriche più note della raccolta – Il contadino soldato e A un compagno. In entrambe risaltano i due momenti connotativi dell’arte di Alvaro: il forte senso di radicamento nel suo ambiente; l’appartenenza a una terra e a un’etnia che non smarrisce, nemmeno nei momenti di più accorata desolazione e di rischio della deriva; e l’approccio con la realtà secondo i canoni estetici della concretezza fondata su prospettive tematiche e lessicali anticlassicistiche e antiretoriche. Nel Contadino soldato la simmetria dei versi d’attacco delle prime due strofe servono a denunciare il contrasto stridente tra due culture: quella della semplicità, dell’attaccamento alla terra, alle radici stesse dell’essere uomini e, all’opposto, quella retorica e ipocrita dell’eroe e del dovere, termini che appartengono ad un’educazione libresca e prosopopeica dei quali il contadino ignora il significato, estranei come sono alla sua umanità:
Andate a gridare a un soldato
baciandolo: Tu sei un eroe!
[…]
Andate a gridare a un soldato:
Hai fatto il tuo dovere!
Il giovane contadino vive la sua più grande ambizione della perfezione del lavoro nei campi, esaltandosi per una fatica certamente dura, ma della quale deve dar conto solo a sé stesso:
Ei non conosce un’opera perfetta
che non sia il solco del bove.
Ei non conosce un valore
che non sia quello di vegliar la notte
presso un tino d’uva che borboglia.
In A un compagno domina il tema dell’accettazione della morte che vuol essere continuazione della vita. Il poeta esorcizza la morte con una formula di scongiuro, ripetuta significativamente tre volte, ad apertura e a chiusura del componimento, e nel secondo verso della terza strofa che segue l’annuncio di una possibile comunicazione ai genitori della sua morte in battaglia:
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà.
Non dire alla povera mamma
che io sia morto solo.
Dille che il suo figliolo
più grande, è morto con tanta
carne cristiana intorno.
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
non vorranno sapere
se sono morto da forte.
Vorranno saper se la morte
sia scesa improvvisamente.
Di’ loro che la mia fronte
è stata bruciata là dove
mi baciavano, e che fu lieve
il colpo, che mi parve fosse
il bacio di tutte le sere.
Di’ loro che avevo goduto
tanto prima di partire,
che non c’era segreto sconosciuto
che mi restasse a scoprire;
che avevo bevuto, bevuto
tanta acqua limpida, tanta,
e che avevo mangiato con letizia,
che andavo incontro al mio fato
quasi a cogliere una primizia
per addolcire il palato.
Di’ loro che c’era gran sole
pel campo, e tanto grano
che mi pareva il mio piano;
che c’era tante cicale
che cantavano; e a mezzo giorno
pareva che noi stessimo a falciare,
con gioia, gli uomini intorno.
Di’ loro che dopo la morte
è passato un gran carro
tutto quanto per me;
che un uomo, alzando il mio forte
petto, avea detto: Non c’è
uomo più bello preso dalla morte.
Che mi seppellirono con tanta
Tanta carne di madri in compagnia
sotto un bosco d’ulivi
che non intristiscono mai;
che c’è vicina una via
ove passano i vivi
cantando con allegria.
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà.
Con un andamento da canto popolare, Alvaro non solo innalza un inno agli affetti familiari, ma anche ai temi pacificatori e beneauguranti, sacri nel mondo contadino, dell’acqua, del sole, del grano, dell’ulivo. Con Poesie grigioverdi Alvaro si impone come poeta e narratore, attraverso quell’alta tensione morale che, consolidandosi e acquistando una speciale limpidezza, non lo avrebbe più abbandonato. La sua capacità di raccontare l’odissea della vita nel distacco, nella lontananza, nel miraggio, rimane unica. E ci fa sentire la sua lezione, umana e poetica, sempre più importante e attuale.
*PASQUALE TUSCANO (Bova 1933), vive a Perugia, è stato professore ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia degli Studi di Perugia, dove ha insegnato fino al pensionamento. I suoi interessi si sono concentrati in particolare sul Trecento, Seicento, Ottocento e Novecento, scrivendo volumi e saggi (da ricordare quelli su Dante, Campanella, Tozzi, Silone, il verismo, il decadentismo, Antonino Anile, Corrado Alvaro, Repaci, la civiltà delle lettere ad Assisi, da Properzio ai nostri giorni adottati nelle Università italiane. Profondo conoscitore della storia letteraria e culturale della Calabria, è autore di un libro fondamentale “Calabria”, editore “La Scuola” 1986, punto di riferimento (assieme alle storie della “letteratura calabrese” di Antonio Piromalli e Pasquino Crupi) generazioni di studiosi, ha dedicato molti articoli a poeti (Padula, Anile, Costabile, Mastroianni), scrittori nati in Calabria. Continue la sua ricerca, i suoi studi, le sue pubblicazioni su Corrado Alvaro, che restituisce alla sua dimensione europea, rappresentando, sicuramente, il più raffinato e apprezzato studioso vivente di Alvaro. Da ricordare, tra l’altro, “Alla ricerca del tempo felice. Sull’attività letteraria calabrese tra sei e novecento”, Rubbettino, 2014; “I versi giovanili di Corrado Alvaro”, in C. Alvaro, “Un paese e altri scritti giovanili”, a cura di Vito Teti, Donzelli, 2014; “Umanità e stile di Corrado Alvaro”, Rubbettino, 2016; “Ripensare Alvaro”, a cura di Vito Teti e Pasquale Tuscano, Rubbettino, 2020. Molto attivo, in Convegni, iniziative, presentazioni di libri, Giuria di Premi letterari, in Italia e in Calabria, a cui resta sempre profondamente legato, con frequenti ritorni, in istituzioni culturali come l’Università della Calabria, Associazioni della sua Bova, la “Fondazione Padula” di Acri. Ha collaborato e collabora a numerose riviste nazionali e regionali. Su “Rogerius”, il periodico dell’Istituto della Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro, ha scritto saggi, articoli, recensioni, tra cui “L’apporto della cultura calabrese alla Grande Guerra” (“Rogerius”, i quaderni, 2, 2016, pp. 89-97).

«Come venni in possesso della copia di “Poesia Grigioverdi” dedicata da Alvaro alla contessina Ottavia Puccini». Una testimonianza di Pino Colosimo
La raccolta di liriche “Poesie Grigioverdi” di Corrado Alvaro composte tra il 1915 e il 1916 e pubblicate nel 1917 dall’editore romano Bernard Lux, segnano l’inizio di un itinerario poetico e letterario, che durò tutta la vita, preannunciando il romanzo autobiografico del 1930 Vent’anni. Sono poesie ispirate all’esperienza della Grande Guerra, poiché Alvaro ancora ventenne, fu un fervido sostenitore dell’interventismo. Sono versi che riflettono e anticipano temi cari ad Alvaro: il rispetto religioso per la vita e l’umanità, la nostalgia per la sua Calabria, il coinvolgimento generoso e totale nella realtà. Sono poesie di guerra prive di eroi; Alvaro è più interessato all’uomo che combatte e va incontro alla morte, al compagno che marcia accanto a lui e condivide la trincea. Il giovane poeta riesce a cogliere negli occhi del soldato uno stupore incredulo più che angosciato, come di chi si trova di fronte a una realtà eccezionale e incomprensibile, lontana dalla vita quotidiana, dal solco in cui germoglia il grano e dal ritmo rassicurante delle stagioni. Le “Poesie Grigioverdi” restituiscono la complessità e l’intensità di quegli anni di guerra, e si distinguono per il tono basso, il canto pacato, lontano dall’esaltazione teatrale di altri autori suoi contemporanei.

Nel 1914 Corrado Alvaro si trova a Firenze, il mondo letterario lo ha accolto benevolmente, pubblica alcune poesie su varie riviste, traduce autori stranieri, conosce la contessina Ottavia Puccini, figlia di un deputato al Parlamento. Alvaro e la Puccini iniziano una lunga frequentazione e una corrispondenza intensa che durerà per tutto il periodo della guerra. Nel gennaio del 1915, Alvaro sottotenente, lascia Firenze per raggiungere il suo battaglione con destinazione Isonzo, e la Puccini diventerà la sua «madrina di guerra», come la chiamerà nelle tante lettere dal fronte. Tre mesi dopo viene ferito alle braccia sul monte Sei Busi, nella zona di San Michele del Carso. L’entusiasmo patriottico del giovane liceale, sostenitore dell’interventismo, si trasforma inevitabilmente in disillusione. Alvaro comincia a percepire la guerra in tutta la sua crudezza, che lo porta ad allontanarsi dalla retorica nazionalistica, dal mito delle trincee. Nell’agosto del 1915, Aldo Valori recensisce sul Resto del Carlino le “Poesie Grigioverdi”, ancora non pubblicate e gli propone di collaborare attivamente con il giornale bolognese, diretto da Mario Missiroli.

Nel dicembre 1915 la rivista letteraria “La Riviera Ligure”, diretta da Mario Novaro pubblica le “Poesie Grigioverdi”. Prima del 2012, si conosceva poco del giovane Corrado Alvaro. In quell’anno, fu scoperto un blocco di opere inedite, custodite per 53 anni nel retrobottega di una farmacia a Isca sullo Ionio, che apparteneva a Domenico Lico, amico fraterno di Alvaro e compagno di liceo a Catanzaro. Dal Sistema Bibliotecario di Vibo Valentia, diretto da Gilberto Floriani, furono trasferiti presso il “Centro di Ricerca Demoetnoantropologico Raffaele e Luigi M. Lombardi Satriani. Memorie-Futuri-Intelligenze” – Dispes-Unical.
Gli inediti furono esaminati scrupolosamente da Vito Teti, antropologo, scrittore, studioso di Alvaro, assieme a don Massimo, fratello prete dello scrittore e agli eredi Lico. Tra gli inediti venne scoperto “Un paese. Tentativo di romanzo”, la primissima opera narrativa che Alvaro nel 1940 aveva consegnata all’amico Domenico Lico, ma scritta a Livorno nel 1916, tra un’operazione chirurgica e l’altra, a seguito delle ferite riportate in combattimento durante la Grande Guerra. “Un paese” si rivela un’anticipazione di molte tematiche e atmosfere alvariane. Si tratta di un nucleo narrativo importante, che lo stesso Alvaro descriverà più tardi come una prima prova del suo capolavoro, “Gente in Aspromonte” pubblicato nel 1930 dall’editore Le Monnier.
Nel 2014 Vito Teti pubblica per i tipi di Donzelli editore “Un paese e altri scritti giovanili (1911-1916)” di Corrado Alvaro; il libro si rivela un tesoro di materiali preziosi, scritti tra il 1911 e il 1916: poesie, novelle e un dramma che offrono l’opportunità di esplorare la formazione di un grande intellettuale, le sue prime prove letterarie e le inquietudini di un adolescente che si avvicina timorosamente e scrupolosamente all’arte della scrittura. Quel libro è arricchito dalla pubblicazione delle poesie giovanili di Alvaro, del tutto sconosciute, su cui ha scritto un’illuminante saggio Pasquale Tuscano.

Ho appreso, grazie al libro “Un paese” che tra i vari fascicoli del Fondo Lico era anche presente una lettera su carta intestata “Il resto del Carlino” inviata da Corrado Alvaro alla contessa Ottavia Puccini “Amica carissima… Lo sa? Le grigioverdi le aspetto in libro da un giorno all’altro. Gliele manderò. Bo. 9 genn. ‘17”.
Venni a sapere che a Trieste, la Libreria Antiquaria Drogheria, quella che fu di Umberto Saba, custodiva le “Poesie Grigioverdi” di Corrado Alvaro con la dedica autografa per le sorelle Puccini “Alle signorine Puccini – Corrado Alvaro – Bol. 16.1 – 17”. Sapevo che quello era il libro promesso da Alvaro alla contessa Ottavia; la lettera, infatti, è datata una settima prima di quella autografa sul libro. Acquistai il libro, sostenendo una spesa per me importante. Il viaggio di ritorno da Trieste a Torino lo feci stringendo il libro al petto e pensando a don Massimo, quando mi diceva che suo fratello Corrado Alvaro mi avrebbe sempre guidato e premiato nelle mie ricerche.
Descrizione libro Poesie Grigioverdi
Roma, Bernardo Lux Libraio Editore di S.M. la Regina Madre, 1917 (Filelfo Tolentino, Stan. Tipografico F.Filelfo) in 8°, 76 pagine, brossura in cartoncino ruvido lucido. Copertina con incisione rossa di Ugo da Tortona che appare anche nel piatto posteriore con scritta “ Ex Libris. Prezzo di L.1,50”.
Esemplare con dedica autografa di Alvaro “Alle signorine Puccini Corrado Alvaro Bologna 18.1.17” e con il timbro della Libreria di Umberto Saba nel frontespizio.
Raccolta di poesie composte fra il 1914 e il 1921. La prima parte (1914-17) è stata pubblicata a Roma col titolo “Poesie grigioverdi” nel 1917, alcuni brani della seconda (1917-21) sono apparsi la prima volta in riviste. Tutte le poesie sono stare riedite nel 1942 a Brescia insieme a una prosa introduttiva “Memoria e vita”, e al poemetto “Il viaggio” del 1941, che dà il titolo all’intero nuovo volume (da Alvaro stesso definito “pagine d’un diario”).
Pino Colosimo, torinese di nascita e di origine calabrese, è da oltre cinquant’anni un appassionato collezionista ed estimatore delle opere di Corrado Alvaro. Ha conosciuto e frequentato per quarant’anni Don Massimo, il fratello prete di Corrado Alvaro. Pino Colosimo Possiede tutte le opere di Corrado Alvaro (acquistate a sue spese nei posti più vari) dalle prime edizioni a quelle odierne, o più titoli della stessa edizione, con dediche autografe che permettono di seguire alcune delle innumerevoli frequentazioni culturali dello scrittore. Sono presenti nella sua collezione fotografie inedite, manoscritti e oltre 150 testi di critica alvariana, che ha, in parte, presentato in mostre e Convegni e che adesso intende pubblicare. Parlando del suo amore per Alvaro e della venerazione per i suoi libri, Pino Colosimo scrive: «Alvaro non dovrebbe essere un mero pretesto per fare passerella, ma piuttosto una figura da studiare e rispettare. Ridurre la sua immagine a pettegolezzi e superficialità è un insulto alla sua eredità e al suo lavoro». (redazione@corrierecal.it)
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