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Oltre la retorica del Primo Maggio

«Ogni anno, in occasione della Festa dei Lavoratori, veniamo letteralmente inondati da fiumi di parole: si ricordano le vittime degli incidenti sul lavoro, si denunciano le condizioni inaccettabili c…

Pubblicato il: 01/05/2025 – 9:15
di Giovanni Lefosse
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Oltre la retorica del Primo Maggio

«Ogni anno, in occasione della Festa dei Lavoratori, veniamo letteralmente inondati da fiumi di parole: si ricordano le vittime degli incidenti sul lavoro, si denunciano le condizioni inaccettabili cui sono sottoposti molti migranti impiegati nei campi, si condanna il caporalato e si esalta – giustamente – la dignità del lavoro. Tutto vero. Tutto condivisibile. Ma la politica non può fermarsi alla denuncia o, peggio, alla retorica. Deve assumersi la responsabilità di andare oltre gli slogan, oltre le celebrazioni rituali. Ha il dovere di analizzare con onestà la realtà sociale ed economica del Paese e, soprattutto, di proporre soluzioni efficaci e coraggiose. Il lavoro non è solo un diritto individuale: è la spina dorsale su cui fonda la nostra democrazia. E se il lavoro manca o è sottopagato ovvero, ancora, se si assiste impotenti all’esodo continuo di giovani capaci, il problema non è solo economico: è di tipo culturale e civile.
Le dichiarazioni rilasciate il 30 aprile dall’amministratore delegato di Chery Auto, riportate da Il Sole 24 Ore, dovrebbero farci riflettere. Il colosso cinese dell’automotive ha scelto di investire in Spagna anziché in Italia. Perché? «Abbiamo privilegiato Paesi che offrono energia a basso costo, agevolazioni fiscali, una filiera industriale ben organizzata, forza lavoro altamente qualificata e una logistica efficiente» (Il Sole 24 Ore, 30 aprile 2025). Non si tratta di una decisione isolata. È l’ennesima conferma di quanto il nostro Paese, pur ricco di talenti e intelligenze, sia percepito come poco competitivo. La Spagna, oggi, è il secondo produttore europeo di automobili dopo la Germania. E non è un caso: ha saputo offrire un ecosistema più attrattivo per l’industria, in cui pubblico e privato coesistono e collaborano e nel quale le riforme non si fermano alla teoria. L’Italia, invece, resta spesso impantanata in un sistema che penalizza chi vuole investire e innovare. La giungla normativa, l’instabilità fiscale, la lentezza burocratica e la carenza di infrastrutture digitali ed energetiche rendono il nostro mercato del lavoro rigido e, in molti casi, scoraggiante. Ciò si riflette, inevitabilmente, sul Mezzogiorno e in particolare sulla Calabria, dove l’emigrazione giovanile è diventata un fenomeno strutturale. Chi lascia la propria terra per cercare fortuna altrove lo fa quasi sempre a malincuore e spesso poiché privo di alternative. E ogni giovane che se ne va porta con sé un pezzo di futuro e con esso di speranze: meno risorse per il welfare, meno domanda interna, meno dinamismo sociale. È un’emorragia che non possiamo più permetterci di ignorare. Eppure c’è anche chi resta. Giovani che decidono di investire su se stessi e sulla propria terra. Professionisti – avvocati, architetti, ingegneri, consulenti – che aprono partite IVA e accettano di vivere tra sacrifici, burocrazia e compensi inadeguati, nella speranza di costruirsi un futuro senza dover partire. Lavorano la notte, durante i festivi, spesso senza ferie. Non perché siano eroi, ma perché credono ancora nella possibilità di cambiare le cose dal basso. Molti di loro guardano alla politica con distacco, se non con aperto disprezzo. Li capisco. Ho conosciuto tanti coetanei che si sono avvicinati con entusiasmo ai partiti per poi allontanarsene con amarezza, dopo aver sperimentato dinamiche fatte di favoritismi, clientelismi e promesse disattese. Troppi si candidano alle elezioni locali solo per scoprire un sistema che non premia chi ha competenze e idee, ma chi ha contatti, pazienza e spirito di rassegnazione. In troppi uffici pubblici regna ancora una logica di intermediazione informale, dove si scambiano favori per “consenso” anziché promuovere il merito e l’efficienza. Oggi, nel giorno dedicato ai lavoratori, la politica dovrebbe avere il coraggio di celebrare il valore di chi resiste. Di chi non fa rumore ma costruisce. Di chi non chiede privilegi, ma solo condizioni giuste per poter contribuire. Come ha scritto Norberto Bobbio, «la democrazia non è una conquista definitiva, ma una lotta continua per dare voce a chi non ce l’ha». E oggi, tra i più silenziosi, ci sono proprio quei giovani che hanno scelto di non gridare, ma di fare. Infine, credo sia giusto soffermarsi su un aspetto spesso trascurato: il valore autentico del lavoro, inteso non solo come mezzo di reddito, ma come espressione di dignità, autonomia, responsabilità. In un contesto difficile come quello attuale, dove tanti giovani sono costretti ad andare via o ad accettare condizioni inique, chi sceglie di restare compie un gesto silenziosamente coraggioso. Penso a chi lavora senza garanzie, a chi apre una partita IVA sapendo di affrontare più incertezze che opportunità, a chi si impegna nel proprio territorio nonostante ostacoli e delusioni. Meritano ascolto, rispetto e risposte concrete, non slogan. Come rappresentante di una forza politica e, ancor prima, come cittadino, sento il dovere di essere al loro fianco. Non ho ricette facili, ma sono convinto che la politica debba tornare a impegnarsi seriamente per creare le condizioni affinché restare non sia più una scelta eroica, ma una possibilità reale. A chi ci crede ancora, nonostante tutto, va oggi il mio pensiero. E, più di tutto, il mio impegno.

Buon Primo Maggio.

*Segretario provinciale Azione

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