Cosenza in C e le scuse che non sentiremo mai. Catanzaro, per i playoff serve di più
Retrocessione quasi scientifica, difficilmente Guarascio riconoscerà i suoi errori. “Che fine avete fatto?” hanno chiesto i tifosi giallorossi a inizio gara. La risposta, in campo, è ancora a metà

La vetrina della Crema&amarezza di questa settimana è tutta del Cosenza, retrocesso in C dopo la sconfitta di Bolzano contro il Sudtirol. In leggera ripresa il Catanzaro, che ha pareggiato contro la Sampdoria dopo due sconfitte di fila. Ma i playoff non sono ancora certi.
Cosenza in C e le scuse che non sentiremo mai
Ora è ufficiale, anche per i più ottimisti: il Cosenza è in Serie C. Non che servisse la matematica per capirlo, ma si sa, le retrocessioni hanno bisogno della loro data di nascita ufficiale. Una caduta che sorprende quanto l’acqua calda: era nell’aria da mesi, ma come in ogni tragedia annunciata, finché non arriva il colpo di grazia, si spera sempre in un colpo di teatro. Non è arrivato.
Sette anni di serie B sotto la gestione Guarascio hanno prodotto due retrocessioni e un curriculum fatto di salvezze ai limiti della mistica sportiva, più che del merito calcistico. Quest’anno però il copione è stato diverso. Nessun colpo di reni, nessuna resurrezione. Solo una lunga, silenziosa discesa verso il basso. Come se tutto ciò non sia stato solo frutto del caso, ma quasi il risultato di una strategia: non dichiarata, non scritta, ma perfettamente eseguita. Una pianificazione meticolosa nel non costruire, nel non comunicare, nel non ascoltare. E soprattutto nel non cambiare.
Il calcio è crudele, ma raramente è così puntuale nel presentare il conto. Il club silano ha dato ancora una volta prova della sua invidiabile capacità di auto-sabotaggio. Una stagione costruita male, accompagnata da decisioni societarie che farebbero impallidire anche un manuale di errori gestionali. E allora al patron Eugenio Guarascio e ai suoi fedelissimi (quelli veri e quelli per convenienza, molti dei quali cosentini di nascita) non si può che riconoscere una costanza ammirevole: quella di non imparare mai dai propri errori. E ancor più notevole, la capacità di resistere a qualsiasi forma di autocritica. Ma chiedere scusa ai tifosi e alla città intera? Neanche per sogno. Troppa umiltà, poca coerenza. Non è mai accaduto in passato, figuriamoci ora.
Crema: c’è, però, una nota dolceamara che chiude il cerchio: il destino ha voluto che la retrocessione arrivasse proprio contro il Südtirol. Quella stessa squadra che fu l’ultimo ostacolo prima della festa promozione nel 2018. Allora, il San Vito era un catino impazzito di passione e sogni, e quel Cosenza di Braglia sembrava capace di tutto. Oggi, solo il silenzio. Un cerchio che si chiude con una perfidia quasi poetica.
Amarezza: in una giornata già tinta di tristezza sportiva, c’è un fatto che ridimensiona tutto. A Bolzano, i tifosi del Cosenza sono rimasti in silenzio per i primi quindici minuti. Un gesto semplice e potente per ricordare Riccardo Claris, giovane tifoso dell’Atalanta, ucciso nel corso di una rissa folle tra sostenitori interisti e bergamaschi. La retrocessione, in confronto, è solo un risultato. Il dolore vero è altrove.

Catanzaro, serve di più per i playoff
Alla fine, dal punto ottenuto contro la Sampdoria, qualcosa del Catanzaro si può salvare. Non tutto, certo. Ma nemmeno nulla. Dopo due sconfitte consecutive e un ritiro che sapeva più di rituale scaramantico che di cura vera e propria, il Catanzaro è uscito con un 2-2 che è un po’ balsamo e un po’ allarme. È un risultato che non risolve, non condanna, ma tiene in piedi. E in tempi recenti, non è poco.
L’inizio non è stato promettente: Samp in vantaggio, squadra giallorossa molle e poco ispirata, come se il ritiro fosse servito solo per migliorare la qualità dei pranzi in comune. Poi, però, la reazione: grinta, gioco, qualche segnale di quel Catanzaro brillante che per buona parte della stagione aveva fatto sognare. Brighenti e Biasci ribaltano il risultato, il “Ceravolo” ricomincia a crederci. Poi, il solito Catanzaro. Disattenzioni, leggerezze, una gestione difensiva rivedibile. Il pareggio blucerchiato è quasi un classico, come le espulsioni a tema “ingenuità”: Pompetti questa volta si è preso il cartellino rosso lasciando i compagni a gestire con fatica il resto della gara.
Insomma, il punto finale non è da buttare, certo, ma l’impressione è che si potesse – e dovesse – fare di più. La classifica, in chiave playoff, adesso inizia a fare paura: si è guadagnata una posizione ma il margine sul nono posto si è ridotto a due soli punti a due gare dal termine della fase regolare. E a questo punto, se non si vuole trasformare un campionato da sogno in una beffa, serve qualcosa in più. Tipo: attenzione. E continuità.
Crema: c’è però una dolce nota in tutto questo: Tommaso Biasci si è finalmente svegliato. Tempismo perfetto, visto che i playoff si avvicinano, almeno questo è l’augurio. E se Iemmello sembra aver messo il cartello “torno subito” (forse per ricaricarsi in vista delle partite che contano), almeno l’altro attaccante ha deciso di far sapere che è ancora vivo. Meglio tardi che mai.
Amarezza: ma la vera istantanea della giornata, quella che resta impressa più del risultato, arriva dagli spalti. Uno striscione secco, chiaro, senza bisogno di analisi tattiche: “Che fine avete fatto!!?? Rivogliamo i nostri leoni”. Lo hanno chiesto i tifosi della curva “Capraro” ai loro giocatori. Una domanda giusta, sentita, meritata. Perché chi ha sempre sostenuto la squadra, ora chiede solo una cosa: presenza. Non solo fisica, ma mentale, emotiva. Insomma, cuore. E forse, è proprio lì che il Catanzaro dovrà andare a cercarsi, prima che sia troppo tardi. (f.veltri@corrierecal.it)

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