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il dramma spopolamento

Calabria, tra abbandono e resilienza: pochi giovani, tante sfide, ma anche nuove partenze

In Calabria il tempo sembra seguire un ritmo tutto suo: lento nell’avvio dei progetti, nella loro realizzazione (ci hanno messo meno a costruire le piramide che una qualsiasi infrastruttura qui da no…

Pubblicato il: 19/05/2025 – 9:43
di Domenico Lo Duca
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Calabria, tra abbandono e resilienza: pochi giovani, tante sfide, ma anche nuove partenze

In Calabria il tempo sembra seguire un ritmo tutto suo: lento nell’avvio dei progetti, nella loro realizzazione (ci hanno messo meno a costruire le piramide che una qualsiasi infrastruttura qui da noi), ma impietosamente veloce nei risultati, specie quando si parla di spopolamento. Paesi che si svuotano, scuole che chiudono per mancanza di alunni, bambini che non nascono, attività economiche senza ricambio generazionale. Tutto certificato dai dati. Secondo l’ISTAT, solo nel 2023 la regione ha perso quasi 10.000 abitanti. Un numero che racconta un disagio profondo, non solo demografico ma sociale, culturale ed economico.
Ad abbandonare questa terra non sono più soltanto i giovani in cerca di lavoro, ma sempre più famiglie che qui, non riescono a immaginare un futuro. E se da un lato si guarda con malinconia a chi è partito, restando alla finestra a scrutare l’orizzonte nella speranza che torni, troppo spesso si dimentica di chi invece ha scelto di restare. Giovani competenti, motivati, pronti a investire idee ed energie perché qualcosa cambi, perché s’inverta la rotta della nave demografica. Giovani coraggiosi che puntualmente però, si scontrano con ostacoli spesso insormontabili: burocrazia, mancanza di supporto, sfiducia.
Qui non si tratta solo di un problema strutturale. Esiste anche un blocco culturale. Tanti giovani hanno le competenze, le idee e la voglia di fare, ma non trovano spazio perché non ci si fida e non ci si affida a loro. In molte realtà imprenditoriali e istituzionali, chi è al comando teme di essere messo da parte, come se coinvolgere i giovani significasse dover rinunciare al proprio ruolo. Si preferisce mantenere il controllo, anche a costo di non innovare, di perdere tutto. È così che si perdono opportunità, si scoraggia il talento, si rinuncia al futuro per paura del cambiamento.

Nel commercio, nell’artigianato, nel turismo e nelle imprese familiari, il passaggio generazionale è sempre più difficile. I figli non subentrano ai padri, e quando ci provano trovano spesso un sistema che non li aiuta. Secondo un’indagine Unioncamere, solo il 13% delle imprese familiari calabresi ha un piano di successione strutturato, a fronte di un tessuto imprenditoriale dove oltre il 75% delle aziende è a conduzione familiare. Un dato allarmante, che mostra l’assenza di un ponte solido tra generazioni.
In questo scenario, c’è un altro attore spesso dimenticato: gli immigrati. Invece di considerarli un peso, dovremmo vederli come una risorsa. In molti piccoli centri, soprattutto nell’entroterra, sono gli unici ad aprire negozi, riattivare servizi essenziali, formare nuove famiglie. Sono loro a vedere nella nostra terra quella speranza di futuro che noi non vediamo più. E noi invece di accoglierli, li vediamo come “invasori”. A Riace, Caulonia, Badolato e in altri borghi, l’inclusione e le politiche di accoglienza di persone straniere (non solo immigrate) ha portato effetti concreti: scuole riaperte, case ristrutturate, economie locali rianimate. O come il recente fenomeno dei cittadini del Sud America (argentini, brasiliani, peruviani) con origini italiane, che trascorrono nei nostri paesi il tempo necessario per ottenere la cittadinanza e potersi spostare nel resto d’Europa. Perché non pensare di attuare delle politiche per farli rimanere? Se i nostri borghi si ripopolano magari chi è fuori può aver più voglia di tornare.
Ma serve una visione nuova, lontana da modelli assistenziali. Un sistema come quello tedesco, dove cittadinanza e diritti si legano alla partecipazione, allo studio, al lavoro. In Calabria, troppo spesso agli immigrati si chiede solo di “non creare problemi”, senza offrire reali percorsi di integrazione. Il risultato è che si perdono risorse preziose: giovani nati qui che si sentono stranieri, donne invisibili al mercato del lavoro, uomini costretti al sommerso.

Qualche numero

Il quadro demografico della Calabria continua a peggiorare, con segnali sempre più evidenti di un lento e costante spopolamento giovanile. Negli ultimi vent’anni la regione ha perso 162.000 giovani tra i 18 e i 34 anni (dati ISTAT), pari al 32,4% di quella fascia d’età: dai 503.000 residenti del 2002 si è scesi a poco più di 340.000. Si tratta di un’emorragia che colloca la Calabria al terzo posto tra le regioni italiane per emigrazione giovanile, superata solo da Sardegna (40,6%) e Basilicata (32,9%). Solo nella provincia di Cosenza, tra il 2013 e il 2023, si sono persi circa 33.000 giovani tra i 15 e i 34 anni, pari al 19,5% del totale.
Un trend che pesa anche sulle prospettive occupazionali: secondo il sistema informativo Excelsior, tra il 2024 e il 2028 in Calabria saranno necessari circa 88.000 nuovi lavoratori, ma solo 20.000 di questi serviranno a coprire una crescita reale dell’occupazione, mentre ben 68.000 saranno richiesti per sostituire chi andrà in pensione. Il fabbisogno occupazionale riflette dunque più l’invecchiamento della forza lavoro che una vera dinamica di sviluppo.
Al 31 dicembre 2024 la popolazione residente in Calabria era scesa a 1.832.147 abitanti, in calo dello 0,35% rispetto all’anno precedente, un dato peggiore della media nazionale (-0,06%). Il calo è determinato da un saldo naturale fortemente negativo (-8.034) e da un saldo migratorio interno altrettanto sfavorevole (-8.376), compensati solo in parte dall’immigrazione dall’estero (+9.989). Anche la natalità continua a diminuire: nel 2024 si registrano solo 6,9 nati ogni mille abitanti (erano 7,2 nel 2023), pur restando lievemente sopra la media nazionale (6,3). L’età media della popolazione calabrese è ormai salita a 46,2 anni, a poca distanza dalla media italiana (46,8).
Eppure, un piccolo lume di speranza sembra ci sia ancora. In questo scenario difficile, si intravede un fenomeno controcorrente: quello della “restanza” e del ritorno. Il Rapporto 2023 di Migrantes racconta di calabresi che decidono di restare o di tornare dopo esperienze di studio e lavoro fuori regione. Una ricerca condotta tra il 2021 e il 2022 in quattro aree interne (Sila, Presila, Reventino-Savuto, Ionico-Serre e Grecanica) ha coinvolto circa 430 genitori con figli minori. Tra coloro che sono tornati, l’85% ha un livello di istruzione superiore, e il 75% si dice soddisfatto della propria vita nei borghi di origine. A spingerli a rientrare sono la qualità della vita, la sicurezza e il forte senso di comunità.
Lo spopolamento non è un destino inevitabile. È anche il frutto di scelte collettive. Possiamo continuare a svuotarci, oppure possiamo decidere di ricominciare. Ripartendo da chi è rimasto, da chi vuole tornare, da chi arriva con la speranza di costruire. Con politiche lungimiranti, imprese che trasmettono saperi, istituzioni che accompagnano, comunità che sanno ascoltare.
La Calabria ha bisogno di numeri in crescita, sì. Ma soprattutto di fiducia. E di un futuro da costruire insieme, qui.

Fonte dei dati: Istat, Unioncamere, Excelsior

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