Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 7:24
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 2 minuti
Cambia colore:
 

l’intervento

Gratteri: «I tossicodipendenti in carcere e i pusher ai domiciliari»

Il procuratore di Napoli: «Sbagliate le decisioni»

Pubblicato il: 29/05/2025 – 15:21
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Gratteri: «I tossicodipendenti in carcere e i pusher ai domiciliari»

CASERTA «I magistrati hanno colpe nel continuare a mandare agli arresti domiciliari gli spacciatori di droga, perché questi da casa scontano la pena in comodità e continuano spacciare 23 ore su 24, visto che le forze dell’ordine hanno carenze di organico e possono andare a controllare al massimo una volta al giorno le persone ai domiciliari. E hanno colpe anche nel mandare in carcere i tossicodipendenti, che così non si riprendono più. Fondamentale per i detenuti è il lavoro, perciò apprezzo questo progetto di Asi e Unicri, l’Area sviluppo industriale di Caserta e l’Istituto interregionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia». Lo ha etto il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, partecipando a un convegno di Asi e Unicri sui risultati del progetto pilota riguardante il reinserimento dei detenuti mediante lavori di pubblica utilità. Gratteri insiste su «un aspetto importante» della crisi del sistema carcerario e cioè il fatto che spesso i trattamenti rieducativi o riabilitativi falliscono, non solo per i noti problemi di sovraffollamento carcerario o per la cronica carenza di personale nella polizia penitenziaria, ma anche per le decisioni dei magistrati, che mettono ai domiciliari i pusher mentre in carcere spesso finiscono i tossicodipendenti. «I tossicodipendenti – afferma Gratteri – devono andare nelle comunità di recupero, non in cella. E’ anche una questione economica: un detenuto dietro le sbarre costa 180 euro, se va in una comunità ne costa 60. E’ necessario che le Asl territoriali e il Dap facciano degli accordi, ma poi bisogna stare molto attenti alla competenza e al pedigree delle varie comunità, visto che capita spesso che tali strutture vengano organizzate da persone che non hanno alcuna conoscenza o professionalità sul come si recupera un tossicodipendente. A Reggio Calabria, quando al Dap c’era Sebastiano Ardita (tra il 2002 e il 2011, oggi Procuratore Aggiunto a Catania, presente al convegno, ndr), facemmo un progetto per non fa andare i tossicodipendenti in cella, andò bene ma poi quel progetto non è proseguito. E poi ci vuole il lavoro, penso che i detenuti potrebbero essere impegnati nel pulire le strade di ingresso delle nostre città, basta crederci».

Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato

Argomenti
Categorie collegate

x

x