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L’INTERVISTA

«Non ho fatto nulla e non ho nulla da temere. Costretto a dedicare del tempo a queste stronzate» – VIDEO

Il presidente della Regione Occhiuto a “Quarta Repubblica” parla dell’inchiesta nella quale è indagato. «Sono certo di non aver fatto nulla di assimilabile alla corruzione». E ribadisce di volersi ri…

Pubblicato il: 16/06/2025 – 23:03
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«Non ho fatto nulla e non ho nulla da temere. Costretto a dedicare del tempo a queste stronzate» – VIDEO

ROMA «Sono certo che in questi anni da presidente della Regione non ho fatto nulla che possa essere in qualche modo assimilabile a corruzione, non ho nulla da temere». Lo ha detto il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, intervistato a “Quarta Repubblica” su Rete4 da Nicola Porro con riferimento all’inchiesta della Procura di Catanzaro nella quale il governatore calabrese è indagato con l’accusa di corruzione. «Allora – ha proseguito Occhiuto – ai giudici dico: chiamatemi anche perché lavoro 16-17 ore al giorno su problemi complicatissimi di una regione complicatissima, oggi invece una parte del mio cervello e una parte del mio tempo la devo dedicare a queste stronzate. Voglio essere chiamato perché sono nella condizione di chiarire ogni cosa».

L’intervista a “Quarta Repubblica”

«Rispetto alle accuse che mi vengono mosse ho ricevuto due fogli sui quali non c’è un solo fatto che mi venga contestato», ha detto ancora Occhiuto a “Quarta Repubblica”. Occhiuto poi ha aggiunto: «Avevo delle società private con un altro mio socio, al quale personalmente non ho dato alcun incarico. Mi dicono che avrei tratto dei benefici da queste società perché, per esempio, avrei utilizzato due macchine, una Smart e un’Audi di piccola cilindrata, ma mi sembra che siano rapporti che ci sono in ogni società di Italia tra soci». «Poi – spiega ancora Occhiuto – dicono che avrei tratto benefici da queste società e in cambio avrei agevolato questo mio socio nominandolo. Intanto dico che se fosse stato uno scappato di casa non ci avrei fatto società, è invece uno che aveva incarichi anche ben prima di essere mio socio, è un giornalista che ha fatto l’autore di trasmissioni televisive nazionali, è stato il capo della segreteria di due ministri. L‘avrei anche potuto nominare, ma siccome ho un’ossessione maniacale proprio per il rigore quando amministro, non l’ho fatto», ha spiegato il presidente della Regione.
«Tra le cose che mi contestano è che questo mio socio poi sia stato nominato dalla mia compagna, Matilde Siracusano, che è sottosegretaria di Stato, ed è vero, perché quando lui si offrì di collaborare con Matilde ne fummo entrambi felici perché era stato capo della segreteria di due ministri».

«Chiederò agli elettori calabresi un giudizio su di me»

Ancora un passaggio sulle accuse a suo carico: «Intanto – ha rilevato Occhiuto – io queste società le avevo perché non volevo essere dipendente dalla politica, poi siccome non potevo occuparmene, decido di cedere le quote». Anche perché «annuncio la mia ricandidatura e, combinazione, dopo qualche giorno succede ‘sto casino, dico “mi ricandido” e cedo le quote al mio socio, ma il tutto in una normale trattativa fra due soci».  
«Stimo i magistrati – ha poi sostenuto Occhiuto – perché ci ho lavorato fianco a fianco. Ho costruito un’altra immagine della Calabria, ora sono incazzato perché l’immagine che si dà della Calabria è sbagliata. Non voglio più garanzie dei cittadini, ne voglio di meno perché sono sicuro di poter chiarire tutto e non dico “non indagate” anzi, dico “controllatemi tutto”, e voglio essere chiamato anche al buio perché sono nella condizione di chiarire ogni cosa, sono certo che in questi anni da presidente della Regione non ho fatto nulla che possa essere in qualche modo assimilabile a corruzione, non ho nulla da temere». La conclusione di Occhiuto è anche un chiaro messaggio politico, soprattutto alla sua coalizione di centrodestra: «Altri presidenti di Regione sono stati indagati e sono stati distrutti politicamente, io non lo consentirò a me stesso, e chiederò agli elettori calabresi un giudizio su di me ricandidandomi». (a. c.)

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