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Beni confiscati, la grande sfida è velocizzare l’iter: la Calabria tra le regioni che stanzia più fondi

Più organico e digitalizzazione, ma sempre con trasparenza e aiutando i piccoli comuni. La Calabria «antesignana». L’audizione di Maria Rosaria Laganà alla commissione parlamentare antimafia

Pubblicato il: 17/06/2025 – 16:26
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Beni confiscati, la grande sfida è velocizzare l’iter: la Calabria tra le regioni che stanzia più fondi

ROMA Sono 26.657 i beni confiscati alla criminalità organizzata già destinati, oltre 18 mila quelli in gestione. Circa 2400 le aziende confiscate e già destinate, 3500 quelle ancora in gestione. Sono i numeri presentati da Maria Rosaria Laganà, direttrice dell’Agenzia dei beni confiscati, nel corso dell’audizione alla commissione parlamentare antimafia. Un ingente patrimonio da gestire e tutelare con l’obiettivo di rimettere a disposizione della società i beni prima appartenuti a ‘ndrangheta e mafie: un compito non semplice e che spesso si scontra con la lenta burocrazia e un lungo iter da compiere che scoraggia associazioni ed enti.

Potenziare l’organico e velocizzare la pratica

Sulla velocizzazione della pratica si sta concentrando il lavoro – come spiega Laganà – dei vertici dell’Agenzia, a partire dal potenziamento dell’organico, passato da 30 unità a oltre 300. Numeri che potrebbero ulteriormente crescere (a Reggio Calabria su un organico previsto di 45 unità si è fermi a 36), ma resta anche difficoltà a “reclutare” il personale, anche per via della legge che prevede il “consenso” dell’amministrazione comunale di provenienza: «Per potenziare l’organico abbiamo fatto ricorso ai concorsi Ripam. Abbiamo fatto 18 scorrimenti di graduatorie, ma purtroppo siamo capitati in un momento un po’ complicato in cui tutte le amministrazioni chiedono personale e quindi pochi sono quelli che chiamati accettano. Qualcuno accetta e poi va via».

La digitalizzazione dell’iter

Un altro obiettivo dell’Agenzia è quello di digitalizzare l’iter, sempre con l’obiettivo di ridurre al minimo i tempi della destinazione e del riutilizzo. «Sono stati digitalizzati la fase della rendicontazione e un aspetto che riguarda il trattamento economico del personale, tutti step  che ci serviranno per accorciare – questa è la grande sfida, lo sappiamo bene – il tempo che intercorre tra quando il bene entra in gestione e quando può essere destinato». Un passo in avanti anche all’insegna della trasparenza, spiega, è la realizzazione della Piattaforma unica delle destinazioni, dove al momento ci sono «circa 1400 beni destinabili, cioè i beni per i quali sono state superate tutte le criticità e che possono essere opzionati».

La Calabria tra le regioni che stanzia più fondi

Un modo per velocizzare la pratica, assicurando la trasparenza, è anche supportare i comuni, spesso “piccoli” che si ritrovano a gestire in modo complesso beni confiscati. «I comuni che hanno il maggior numero di beni sono piccolissimi e supportarli nella capacità di metterli a disposizione della collettività è una questione importante sotto due punti di vista, organizzativo e delle risorse». Anche in virtù delle difficoltà che molte amministrazioni lamentano nel fare un bando. «Sulla pagina “Il comune supporta” c’è un modello di bando o indicazioni su come rapportarsi con le regioni, con accordi o protocolli, e la regione Calabria è antesignana in tal senso». Sempre la Calabria – spiega Laganà – è tra le regioni che stanno stanziando fondi molto importanti per puntare sui beni confiscati.

Il caso di Tiberio Bentivoglio

Sul riutilizzo vero e proprio dei beni, Laganà specifica che devono avere un fine sociale. Dal parlamentare ed ex magistrato Federico Cafiero De Raho, viene citato il caso di Tiberio Bentivoglio, l’imprenditore di Reggio Calabria a cui è stato assegnato dal comune un bene confiscato come sede della nuova attività commerciale, dopo che la sua era stata più volte distrutta da attentanti intimidatori. Sull’eventualità di riproporre il modello “Bentivoglio” anche in altri casi, Laganà spiega: «Premesso che siamo molto comprensivi sulle finalità del comune purché non ci siano scopi di lucro, purché sia un fine sociale. Ci possono infatti essere per esempio delle figure esemplari di persone che si sono opposte al racket. Senza andare ad alterare un mercato, quindi senza che possa sembrare un aiuto non corretto, penso che non ci siano difficoltà a che il comune stabilisca ad esempio un canone agevolato e poi quel poco che guadagna lo reimpieghi sempre per attività sociali. Da parte nostra non c’è una preclusione se il comune ritiene che quello sia un utilizzo sociale». (ma.ru.)

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