La pace è più preziosa del trionfo
Ragionare sull’impiego delle risorse pubbliche significa assumersi una responsabilità democratica che va oltre l’aspetto tecnico

In Europa si discute di aumentare le spese per la difesa. La Commissione europea ha proposto di portare progressivamente gli investimenti militari al 3 e poi fino al 5 per cento del Pil. È un obiettivo ambizioso che punta a rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione, a sostenere l’Ucraina e a prepararsi a eventuali crisi. In Italia, questo scenario implicherebbe il passaggio da circa 30 a quasi 100 miliardi di euro all’anno destinati alla difesa.
Una trasformazione del genere avrebbe ricadute importanti sulla struttura della spesa pubblica. I margini si restringono e ogni nuova voce di bilancio richiede delle scelte compensative. In altre parole: se crescono le spese militari, bisogna rivedere le risorse per la sanità, l’istruzione e i servizi essenziali. Ne deriva un quadro di bilanci vincolati e priorità ridefinite, in cui va collocata anche la decisione di investire 13,5 miliardi di euro per costruire il ponte sullo Stretto, opera gigantesca, complessa e finanziata con fondi pubblici. Di questi, 1,6 miliardi provengono dal Fondo per lo sviluppo e la coesione destinato a Calabria e Sicilia. Una parte del Mezzogiorno chiede ora che quelle risorse vengano impiegate per affrontare questioni più urgenti, come la sanità e la tenuta sociale dei territori interni.
Negli ultimi giorni, in Calabria, si è tornati a parlare proprio di aree interne. Vito Teti, antropologo e scrittore, ha rilanciato l’idea che restare in questi luoghi non è una forma di rinuncia. Secondo l’intellettuale calabrese, si tratta piuttosto di una scelta consapevole, di una forma di resistenza civile. Il ministro per il Sud, Tommaso Foti, ha replicato e difeso il nuovo Piano nazionale per le Aree interne, approvato nello scorso aprile.
Doris Lo Moro, già parlamentare e magistrata, ha collegato il suddetto dibattito ai temi concreti della sanità e della fiscalità di vantaggio. L’attuale consigliera comunale di Lamezia Terme ha di seguito rimarcato la necessità di garantire i diritti di base nei piccoli Comuni. Al festival lametino Trame, Roberto Saviano ha parlato di libertà di stampa e di antimafia, con una critica pesante al consenso dei meridionali verso Matteo Salvini. Il deputato leghista Domenico Furgiuele ha risposto duramente allo scrittore campano. Intanto, Lega e Forza Italia hanno chiesto un commissario straordinario per sbloccare i cantieri in Calabria della A2. Il Pd calabrese ha contestato la richiesta e puntato il dito contro il progetto del ponte sullo Stretto.
La discussione intorno al Ponte è da anni al centro di uno scontro politico, tecnico e simbolico. È legittimo che il ministro Salvini, forte del consenso ottenuto, porti avanti un progetto in cui crede e che ha inserito nella propria agenda politica. Ogni forza di governo ha il diritto e il dovere di realizzare le scelte che ha presentato agli elettori. Tuttavia, proprio perché si tratta di una decisione di grande portata economica e strategica, è fondamentale valutare con attenzione se questa scelta risponda alle reali priorità dei territori coinvolti e del Paese intero.
Nello specifico, le critiche all’infrastruttura si sono concentrate prevalentemente sui rischi sismici, sull’impatto ambientale, sulle incertezze geologiche, sui costi oscillanti, sui dubbi normativi, sui pericoli legati alla criminalità organizzata.
È mancata, tuttavia, una riflessione compiuta e diffusa su che cosa si potrebbe realizzare con quei 13,5 miliardi di euro previsti per l’opera.
Il Ponte rappresenta una visione novecentesca del progresso: grande, monumentale, sfidante. È l’idea dell’uomo che piega la natura, che vince le resistenze geografiche con la tecnica. Nel suo libro I filosofi e le macchine, Paolo Rossi ne ha parlato in termini di costruzione moderna: la natura vista come una macchina da smontare e rimontare. Ma oggi, davanti a una crisi ambientale globale, questa idea mostra tutta la sua fragilità.
Siamo in un tempo che impone scelte nuove, in cui la guerra, l’insicurezza energetica, l’inflazione e la precarietà sociale strutturano un contesto ben diverso da quello per cui erano stati concepiti i grandi progetti infrastrutturali. Ogni spesa pubblica dovrebbe infatti rispondere a un criterio di urgenza e di impatto sociale. In Calabria, dal 2010, la sanità è commissariata. Il Piano di rientro ha portato con sé chiusure drastiche, tagli e la cancellazione di 18 ospedali sui 73 esistenti. Adesso la migrazione sanitaria costa alla Calabria oltre 300 milioni di euro l’anno. Migliaia di persone si spostano ogni anno per ricevere cure altrove. Famiglie intere affrontano spese insostenibili e disagi alquanto grossi, spesso finanche ignorati. Con 13,5 miliardi di euro, secondo una nostra proiezione teorica, si potrebbero realizzare tre interventi fondamentali per la sanità calabrese. La stima si basa su dati medi di costo, ricavati da fonti ufficiali e da esperienze recenti a livello nazionale. In primo luogo, si potrebbero costruire 18 ospedali nuovi, uno per ogni struttura chiusa nel 2010.
Abbiamo preso come riferimento un costo medio di circa 300 milioni di euro per ciascun ospedale, tenendo conto delle spese per la progettazione, la costruzione, le attrezzature e l’organizzazione dei servizi. In secondo luogo, si potrebbero assumere 2.872 medici con una prospettiva occupazionale di oltre 40 anni. Per ciascun medico abbiamo stimato un costo complessivo di circa 1,88 milioni di euro nell’arco di quattro decenni, considerando una retribuzione lorda annua di circa 47 mila euro comprensiva degli oneri previdenziali e dei costi accessori. In terzo luogo, si potrebbero attivare fino a 540 reparti di Pediatria, distribuiti in modo omogeneo sul territorio regionale. Ogni reparto è stato ipotizzato con un costo medio di 5 milioni di euro, includendo la dotazione di personale sanitario, l’acquisto di macchinari, l’arredo e le spese per l’attivazione. Si tratta di una simulazione di massima, pensata per offrire un quadro realistico e verificabile delle possibili alternative a un’opera infrastrutturale che continua a sollevare interrogativi.
Le aree interne della Calabria coprono circa il 70 per cento del territorio e ospitano oltre il 40 per cento della popolazione. In questi territori la sanità è una corsa contro il tempo, come indicano le tragiche vicende di Serafino Congi, dell’anziano di Albidona R. F. e del neonato Elia, di Trebisacce. Norberto Bobbio scriveva che la democrazia si misura nella capacità di trasformare i diritti scritti in diritti vissuti. L’articolo 32 della Costituzione riconosce la salute come diritto fondamentale e interesse della collettività. Ma un diritto negato nei fatti rimane una promessa a vuoto, che magari aumenta la sfiducia popolare all’indirizzo delle istituzioni pubbliche. Noam Chomsky ha invece spiegato che ogni bilancio è una dichiarazione di guerra o di pace sociale. Ciascuna scelta di spesa rivela una visione del mondo. Se si investe nel cemento e non nella cura, si sceglie un tipo di società. Se si finanzia un’opera simbolica e si lasciano sguarnite le Guardie mediche, si prende comunque una direzione chiara.
Confucio, in una massima antichissima, ammoniva: «Governare è prendersi cura del popolo». Young Ghil Park, il maestro in assoluto del taekwondo italiano, soleva ripetere spesso un motto a lui caro: «La pace è più preziosa del trionfo». In quella frase si racchiude il senso di una politica che deve tornare a farsi umana. Non spettacolare ma efficace; non retorica ma concreta; non centrata sul potere ma sulle persone. Ragionare sull’impiego delle risorse pubbliche significa assumersi una responsabilità democratica che va oltre l’aspetto tecnico. È il fondamento di una politica credibile, di uno Stato presente, di un futuro possibile per i giovani calabresi. A loro dobbiamo offrire motivi veri per restare, per credere, per costruire.
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